Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha accompagnato con un messaggio l’anniversario, ieri, dei 30 anni dalla tragedia del traghetto “Moby Prince”, con centoquaranta morti per l’incendio a bordo seguito alla collisione con la petroliera Agip Abruzzo nel porto di Livorno.
“È stato il disastro più grave nella storia della nostra navigazione civile”, ha sottolineato Mattarella indicando che “sulle responsabilità dell’incidente e sulle circostanze che l’hanno determinato è inderogabile ogni impegno diretto a fare intera luce”.
Sul traghetto, diretto a Olbia, morirono passeggeri e marittimi e ancor oggi i familiari aspettano una verità che sfugge.
Ma adesso è Mattarella a chiederla con loro.
“Un’immane tragedia”, ha detto il Presidente ricordando chi “perse la vita”.
“Il primo pensiero – ha affermato – è rivolto alle vittime, alle tante vite spezzate di adulti e di giovani, e al dolore straziante dei loro familiari, che si protrae nel tempo e ai quali rinnovo la vicinanza e la solidarietà della Repubblica”.
Per Mattarella “il popolo italiano non può dimenticare. Come non dimentica la città di Livorno, che vide divampare il rogo a poche miglia dal porto e assistette sgomenta alla convulsa organizzazione dei soccorsi e al loro drammatico ritardo”, “l’impegno che negli anni ha distinto le associazioni dei familiari rappresenta un valore civico e concorre a perseguire un bene comune”.
Proprio i familiari hanno tratto forza dalle parole del Capo dello Stato e gli hanno rivolto un plauso per “il pensiero rivolto alle vittime, alle tante vite spezzate” per aver “rinnovato la vicinanza e la solidarietà della Repubblica e ricordato che è inderogabile ogni impegno diretto a far luce sulle responsabilità dell’incidente e sulle circostanze”.
Familiari che affermano: “Non ci sentiamo più soli”.
Infatti in occasione del trentennale del disastro e delle iniziative pubbliche a Livorno (anche a Cagliari c’è stata una cerimonia, per le vittime sarde), a loro sono pervenute le parole della Ministro della Giustizia.
Marta Cartabia ha parlato di “disastro che ancora oggi presenta punti non del tutto chiariti” e le cui vittime “ancora vivono in una memoria di affetti, mai scalfita dal tempo. Nel loro nome, tutti voi – dopo tre decenni – aspettate ancora di conoscere fino in fondo le cause di ciò che successe”.
“Questa domanda di conoscenza e, quindi, di giustizia – ha sottolineato Cartabia – richiama a un impegno che l’Italia ha il dovere di compiere. Il disastro del Moby Prince resta una ferita aperta per il Paese, che non ha mai smesso di cercare quanto possa servire a illuminare i punti ancora oscuri nella ricostruzione dei fatti”.
“Nuove aspettative – ha detto la Guardasigilli – sono riposte nell’ultima indagine aperta dalla procura di Livorno alla luce dei lavori della Commissione d’inchiesta al Senato”.
Per il presidente della Camera Roberto Fico c’è “l’esigenza di uno Stato autenticamente democratico di non rassegnarsi a reticenze e ambiguità” mentre per il presidente del Senato Maria Elisabetta Casellati “a 30 anni dal disastro è inaccettabile che la verità non sia ancora venuta a galla. Sono vicina ai familiari che non hanno mai smesso di combattere per avere giustizia”.
A Livorno il ricordo ufficiale è partito con la prima iniziativa pubblica, la deposizione di una corona al Monumento in ricordo delle vittime in Fortezza Nuova, presenti i Gonfaloni.
Un trombettista della Marina militare ha suonato il Silenzio.
La pandemia impone le distanze ma l’abbraccio fra la città e le famiglie del Moby Prince è stato saldo.
Luchino Chessa, presidente dell’Associazione 10 Aprile, e Nicola Rosetti, presidente dell’Associazione 140, sono vicini “ai magistrati della procura labronica che stanno lavorando da tre anni nel riserbo più totale” e ricordano che per il Moby Prince “tra i reati non prescritti c’è la strage”.