PALERMO – Con 523 milioni di dischi nel mondo si posiziona alle spalle del mito Elvis Presley e dei baronetti di Liverpool, i Beatles. Un risultato che inorgoglisce il nostro Paese e che viene ulteriormente impreziosito dalla recente candidatura di Giulio Rapetti Mogol al Nobel per la letteratura.
Insieme con Gianmarco Carroccia, Mogol porta in giro per l’Italia le “emozioni” di Battisti. Il viaggio farà tappa in Sicilia per due date che si preannunciano entusiasmanti: l’11 agosto all’anfiteatro Falcone e Borsellino di Zafferana Etnea (Ct) e il 13 agosto al Teatro di Verdura a Palermo. Organizzazione a cura di Eventi Olimpo.
La cronaca di un successo annunciato?
“Gianmarco Carroccia sta riscuotendo un successo incredibile, perché è molto bravo e canta con la stessa sensibilità che aveva Lucio Battisti. La sua è la cosiddetta ‘interpretazione perfetta’, accompagnandosi a una grande orchestra che rifà tutti gli arrangiamenti originali. Lo spettacolo nello spettacolo è vedere come canta la gente, la vera protagonista”.
Uno spettacolo per gli occhi e per il cuore, l’idea venne al suo ex allievo. Come andò di preciso?
“Devo ammettere che non conoscevo Gianmarco di persona, nonostante lui si fosse diplomato al Cet. Mi fu segnalato dall’impresario della scuola, in occasione di una serata a Sperlonga (in provincia di Latina, ndr). Andai lì e ci trovai questo ragazzo che cantava già accompagnato da un’orchestra importante. C’erano oltre tremila persone ad assistere al suo concerto. Da lì mi resi conto del suo talento e cominciai a collaborare con lui”.
Uno degli oltre tremila diplomati al Centro Europeo di Toscolano, un’esperienza che parte nel 1992.
“A quell’epoca il Cet non era stato ancora ultimato. Facevamo i corsi al palazzo Cesi di Acquasparta (in provincia di Terni, ndr), un edificio del Cinquecento affidatoci in comodato d’uso gratuito dall’università di Perugia. Una volta sparsa la notizia della nostra scuola, fui poi invitato a fare lezione al Berklee College of Music di Boston e all’Harvard University di Cambridge in Massachusetts. Entrambe le università hanno ritenuto la nostra didattica molto avanzata”.
Qual è stata l’esigenza?
“Premetto che il Cet è un’associazione no-profit e, con il ricavato dei miei diritti d’autore, ho sanato gli eventuali passivi. In trentuno anni di lavoro, ho sostenuto la scuola in tutti i modi, investendo ogni centesimo di quello che ho guadagnato nella vita. Decisi di aprirla per un forte senso di responsabilità verso il mio Paese: avevo come l’impressione che la cultura popolare stesse entrando in recessione. Così, volendo dare una risposta concreta, ho creato una suola che permettesse di ovviare a quel ristagno”.
L’arma vincente è e rimane la qualità delle canzoni: quando la gente si appassiona, le impara a memoria, le canta, le tramanda in famiglia ed entrano a far parte della propria vita. Dove stanno andando i testi oggi?
“Appartengo alla schiera degli autori e non mi sento di emettere dei giudizi nei confronti della mia categoria. Però c’è un’innegabile evidenza rispetto alle canzoni scritte, ad esempio, con Mario Lavezzi e Lucio Battisti, solo per citare un paio di nomi. Canzoni trasversali a diverse generazioni e ancora presenti e vive nel nostro Paese. Ecco, mi pare che oggi lo stesso risultato non sia facile da ripetere”.
“Io pensavo a mia madre e rivedevo i suoi vestiti, il più bello era nero coi fiori non ancora appassiti”. La gente sa riconoscere la verità quando la ascolta?
“I giardini di marzo, Pensieri e parole, così come altre canzoni, raccontano vicende realmente vissute. Durante gli spettacoli mi capita di svelare cosa si nasconda dietro alcuni testi e così il pubblico finalmente capisce perché parlo di ‘un amore israelita’ e ‘di due occhi sbarrati che mi han detto bugiardo è finita’. La gente sa riconoscere quando uno scrive per esigenze di marketing o quando lo fa per raccontare la vita. E raccontare la vita credo sia stata la scelta che mi ha portato fortuna”.
Giulio Rapetti Mogol è stato proposto per il Premio Nobel per la letteratura dalla Società Dante Alighieri, che ha lo scopo di tutelare e diffondere la lingua e la cultura italiane nel mondo. Qual è il messaggio, l’atteggiamento che vorrebbe riuscire a trasmettere alle nuove generazioni?
“Sicuramente l’umiltà, la più grande delle doti. Poi il cercare di conquistare l’autostima”.
Sono tanti quelli che le sono debitori, l’elenco sarebbe troppo lungo. Lei, invece, chi vorrebbe ringraziare?
“Sono giunto ormai alla consapevolezza che bisogna accettare serenamente la vita, qualunque cosa accada. Da cattolico, ringrazio ogni mattina il Signore e la Madonna nelle mie preghiere. Poi dico grazie a tutte le parsone che mi hanno aiutato e che aiutano gli altri. Grazie anche a quanti hanno un buon concetto di me, provano affetto nei miei confronti o comunque considerazione”.
Gino Morabito