Donne e lavoro. L’imprenditrice Flora Mondello, delegata Sicindustria, spiega al Quotidiano di Sicilia il suo punto di vista.
Dottoressa Mondello, la condizione occupazionale in Sicilia è drammatica e la pandemia ha peggiorato la situazione. Abbiamo il doppio della disoccupazione nazionale e solo il 30% lavora. Eppure, secondo i dati di Unioncamere e InfoCamere in Sicilia a fine 2020 c’è stato un incremento di aziende a trazione femminile. È come se ci fossero due isole differenti, come si leggono questi dati?
“Non mi stupisce affatto che, a seguito della pandemia, il tasso di occupazione femminile sia sceso. Del resto, tutto il peso della famiglia, della cura dei figli, che avevano bisogno di supporto seguendo le lezioni da casa, della cura degli anziani, magari privi di badanti perché costrette a stare a casa dal lockdown, grava su noi donne. Non ci sono politiche di welfare a sostegno delle donne, o meglio, quelle che ci sono non sono sufficienti e non sono adeguate al mondo che cambia. Per iscrivere i bambini all’asilo, ci sono liste di attesa lunghissime e spesso non esistono asili nei piccoli centri. Motivo per cui, in questi casi, bisogna scegliere tra crescere i bambini e lavorare.Per quanto riguarda invece quella piccola fetta che apre imprese e sceglie la via imprenditoriale, io farei un’ulteriore scrematura tra quelle donne che realmente conducono un’azienda e quelle che figurano e basta, perché poi di fatto fa tutto il marito. Quindi la realtà può essere ancora peggiore di come la descrivono i dati.
Come lavora Sicindustria da questo punto di vista?
“Purtroppo in Sicilia c’è un disfattismo atavico, figlio del nostro pregresso culturale, che è difficile da scardinare. E anche i modelli che hanno le ragazze possono influire negativamente. Noi come Sicindustria vogliamo lanciare modelli di sviluppo femminile legati fortemente allo spirito imprenditoriale, al credere in se stessi, all’indipendenza al di là del genere. Chiaramente possiamo arrivare fino a un certo punto, poi abbiamo bisogno di essere supportati da politiche di welfare e dalla presenza di servizi che possano aiutare in concreto lavoratori e lavoratrici, come asili nido o baby parking. La politica deve affrontare la questione con serietà e determinazione, evitando una volta e per tutte finte e ipocrite soluzioni, prese sempre dagli uomini, come quella delle ‘quote rosa’. Date a una donna la possibilità di essere madre, moglie e lavoratrice senza dover anche fare l’equilibrista travolta da sensi di colpa, e vedrete che ci saranno tante di quelle donne pronte a mettersi in gioco da dover studiare poi le ‘quote azzurre’”.
La pandemia ha acuito il gap donne-uomini all’interno delle aziende, eppure è un momento storico in cui molte donne occupano posizioni di rilievo per la prima volta. Le competenze e lo studio sono alla base della competitività, forse dovremmo ripartire da qui e forse non è un caso che la Sicilia abbia numeri non certo positivi riguardo l’alfabetizzazione?
“È esattamente così. È un processo che deve partire da lontano, deve partire dalle scuole. Guardi, le racconto un episodio personale. Una scolaresca di terza media del mio paese è venuta a far visita alla mia azienda enologica. Nessuno dei ragazzi era mai venuto insieme ai genitori, nonostante si tratti di un’azienda rinomata e conosciuta nella zona, e questo già presuppone scarso interesse verso il proprio territorio. Ho chiesto loro cosa volessero fare da grandi e otto ragazzine su dieci mi hanno risposto le ballerine, solo due hanno risposto professoressa e medico. Forse non ci sono modelli adeguati o forse non si spinge abbastanza verso modelli adeguati di sviluppo femminile.La sensibilizzazione è importantissima, e noi lavoriamo in questa direzione. Veicolare modelli di donne indipendenti, che ce l’hanno fatta, è fondamentale”.
Il Pnrr mette 10 milioni a disposizione per ridurre il divario salariale tra uomini e donne a parità di mansioni, delle opportunità di carriera e della tutela della maternità. Può da solo risanare la situazione o per il post-Covid abbiamo bisogno di nuovi strumenti e di guardare al problema in maniera differente?
“Il problema è sempre culturale. Si è ancora convinti che la cura della casa e della famiglia debba gravare esclusivamente sulla figura femminile e che la donna-lavoratrice sia quella da sacrificare in condizioni di difficoltà. Ecco perché bisogna partire dalla scuola e creare innanzitutto i presupposti culturali per il cambiamento. Le dico un’ultima cosa che potrà rendere ancora più chiara la situazione: per un imprenditore donna non è prevista indennità di maternità, a meno che non risulti dipendente della propria azienda. Forse si pensa, erroneamente, che essere imprenditrici permetta di gestire la maternità con facilità e senza aiuti. Ma non è così. E fino a quando questo non sarà chiaro a tutti, sarà difficile per una donna coniugare ogni cosa senza essere costretta a delle rinunce”.