Sotto il cielo di Tokyo, Monica Contrafatto è stata protagonista dei 100m categoria t63. Con la conquista della medaglia di bronzo, insieme alla medaglia d’oro Ambra Sabatini e alla medaglia d’argento Martina Caironi ha colorato di verde bianco e rosso il podio, consacrandosi una delle velociste più forti al mondo.
Arrivata alla sua seconda Paralimpiade a quarant’anni, la storia di Monica Contrafatto è l’emblema della forza di volontà e della voglia di rialzarsi riuscendo a trasformare un evento tragico e drammatico in un nuovo inizio.
Nel marzo 2012, Monica Contrafatto ha 31 anni ed è primo caporal maggiore dell’esercito, 1° Reggimento Bersaglieri. Si trova in Afghanistan, sua seconda missione all’estero, e rimane vittima di un attacco. Le schegge la colpiscono all’altezza della femorale, all’addome, a una mano. La gamba destra verrà amputata, un tratto dell’intestino asportato, la mano ricostruita utilizzando un osso della gamba.
Tra terapie e riabilitazione, arriva la folgorazione della corsa. Mentre fa zapping, si imbatte nelle gare delle Paralimpiadi e da quel momento nasce il desiderio in lei di parteciparvi e di vincere una medaglia.
Quattro anni dopo, a Rio de Janeiro, nel 2016, Monica non solo sbarca con gli altri atleti paralimpici, superando selezioni durissime, ma si aggiudica il terzo posto nei 100 metri.
Cinque anni dopo è ancora podio e diventa con le altre due atlete una “Charlie’s Angels”, regalando una delle immagini simbolo dei Giochi Paralimpici di Tokyo 2020.
I Giochi Paralimpici hanno decretato che sono italiane le tre donne più veloci al mondo. A distanza di tempo, quali sono le sue consapevolezze?
È stato un film da quando ho avuto l’attentato a oggi. È di una bellezza infinita occupare i tre gradini del podio, essere tra le tre italiane più forti del mondo. È come l’inizio di un nuovo film. Tutti ci hanno detto che abbiamo fatto la storia, speriamo di continuare a farla.
Qual è il rapporto tra voi?
Non dico che siamo amiche perchè viviamo in tre città diverse, però quando siamo insieme stiamo insieme. Ho un rapporto particolare con Ambra (nda Sabatini) anche perchè è la più piccola. Lei ha diciannove anni, io quaranta: potrebbe essere mia figlia.
Ambra è una bravissima ragazza, non che Martina non lo sia ma è già formata caratterialmente. Stiamo bene durante i raduni, ma non c’è un rapporto. Invece con Ambra mi sento spesso. È la piccolina del gruppo: per me è come fosse mia figlia.
Ha riconfermato la medaglia di bronzo di cinque anni fa di Rio2016, migliorando il tempo. Come ci si prepara per riuscire a riconfermare una medaglia alle Paralimpiadi, impresa per nulla scontata?
Quest’anno abbiamo lavorato tantissimo. Venivo da un infortunio del 2019. La pandemia mi ha pure aiutata a recuperare. Se le Paralimpiadi fossero state nel 2020 avrei fatto fatica, perchè ho avuto la frattura al metatarso.
Speravo di fare meglio in finale, ma sarà stata l’ansia, la pioggia, il campo bagnato, sono partita male ma poi ho avuto un grande recupero. Avrei potuto migliorare il tempo della semifinale e magari arrivare all’argento, invece ho avuto lo stesso tempo. Va benissimo così e non era scontato perchè c’era dietro l’avversaria che mi aveva battuta ai Mondiali. È stata un’impresa straordinaria. Abbiamo realizzato il nostro grande sogno di essere tutte e tre sul podio e di colorare di verde bianco e rosso il cielo di Tokyo e di rendere fiere di noi tutta l’Italia anche perchè io sono siciliana, Ambra è di Grosseto e Martina è del nord. Così abbiamo fatto felice tutta l’Italia.
Ha accennato alla pandemia: che ruolo ha giocato nella preparazione fisica e mentale?
Come dicevo, avendo avuto l’infortunio, mi ha aiutata a recuperare a livello fisico. A livello psicologico no, perchè io vengo da un attentato quindi ho delle paure in più. Con la pandemia, sono diventata ipocondriaca e ho avuto paura ad avvicinarmi alle persone che per me erano tutte portatrici di Covid. Facevo fatica ad andare sul campo di atletica quando c’era gente. Adesso va meglio.
La sua storia sa di miracolo e di rinascita: dove ha trovato la forza?
In ognuna di noi c’è una forza che si chiama forza di volontà. Io pensavo di non averla, ma ce l’abbiamo tutti. A volte bisogna trovarla in qualcosa o in qualcuno. Io l’ho trovata nell’atletica. Ero in ospedale quando vidi per la prima volta correre quella che sarebbe stata la mia gara. Da lì mi sono innamorata dell’atletica che è diventata la mia forza di volontà e la mia luce in fondo al tunnel.
È stato difficile accettare il suo corpo con la novità della protesi?
Io faccio quello che facevo prima e pure di più. Non è stata una grave perdita. Per me non è mai stato un problema aver perso una gamba anche perchè ne ho cinque in più. Ho due gambe da cammino, due da corsa…
Considerando la sua storia, per lei vincere e perdere hanno sostanza diversa?
Dico sempre che quando si cade, bisogna rialzarsi. La vera vittoria è rialzarsi. Tutti riusciamo a fare imprese straordinarie se ci lavoriamo sopra.
Ha dedicato la medaglia all’Afghanistan. Lei è tra i pochissimi che davvero ha vissuto quella realtà. Secondo lei cosa ha davvero bisogno l’Afghanistan oggi?
Io non sono un politico e quindi non so dire di cosa ha bisogno. Ho vissuto quel paese e per quanto possa essere antico, si vivono sapori che noi abbiamo scordato come quello del sentimento. Noi ci soffermiamo tanto sulle cose materiali e dimentichiamo che la vita è fatta di cuore e di mente. Non solo di oggetti. Mi dispiace tantissimo per quello che stanno vivendo perchè di quel posto mi sono innamorata la prima volta che sono andata.
Tante volte loro ci hanno aiutato e non meritano di vivere questo momento. Spero un giorno loro trovino pace e riescano a vivere la loro vita con la loro cultura senza cambiare nulla.
In occasione della Paralimpiadi, si è parlato di voi atleti. Come si rapporta con l’attenzione dei media?
I media sono molto importanti per noi. Non tanto i giornali, ma di più la televisione perchè pochi comprano i giornali, ma molti guardano la televisione. Sono contenta che quest’anno abbiano fatto vedere molte delle nostre gare su Rai 2.
Il dispiacere che ho è che pochi di noi atleti sono conosciuti perchè magari quelli conosciuti hanno moltissimi sponsor e gli altri, anche se vincono moltissime medaglie com’è accaduto nello sport, hanno poco o nulla.
Non capisco come funzioni questo meccanismo. Negli altri paesi l’attenzione sul Paralimpiadi è diversa. Spero che le cose cambino e che il monopolio degli sponsor e dei media sposti la sua attenzione anche su altri atleti che hanno storie straordinarie e sono forti altrettanto.
Io ho avuto sempre difficoltà nel trovare sponsor così come molte altre colleghe. Anche dai messaggi che ricevo, ho notato che quest’anno gli italiani hanno seguito di più le Paralimpiadi. Forse con questi Giochi è iniziata la rivoluzione.
Hanno definito gli atleti paralimpici supereroi. Le piace?
Mi piace perchè mi ci sento (nda ride). Non per quello che faccio, ma perchè davvero ognuno di noi ha una storia straordinaria. C’è chi si è fatto veramente male quando è caduto, ma ha avuto la forza di rialzarsi e di essere incredibile. Molti di noi abbiamo avuto grandi traumi e abbiamo fatto molto meglio dei normo.
Qualcuno ha detto: “gli olimpici sono degli eroi, i paralimpici dei supereroi”. Per me va benissimo, sono d’accordo perchè abbiamo avuto la forza di rialzarci dopo una grande caduta. Non è questione dell’aver vinto una medaglia, ma perchè siamo persone che si sono rimboccate le maniche e hanno raggiunto risultati straordinari.
Sono supereroi tutti quelli che hanno la forza di rialzarsi dopo essere caduti.
Ha scritto “Non sai quanto sei forte”, un libro sulla sua storia. Scrivere è una delle sue passioni?
(Nda ride) Ricordo che quando ho scritto il libro, ho finito pure l’inchiostro della penna. Io penso di essermi riuscita a raccontarmi bene, per come sono fatta, anche perchè è un libro leggero dove ridi e piangi.
Quali sono le sue passioni?
Mi piace molto dormire…(nda ride) no scherzo! Io ho un cane, un cocker nero che si chiama Raul. La mia passione è lui. È come fosse mio figlio. Io amo i cani e casa mia sarebbe piena di cani se potessi.
Lei è siciliana: c’è qualcosa che le manca della Sicilia?
Io penso che i siciliani siano le persone più dure di capoccia che esistano. Io, quando mi prefiggo una cosa, la devo fare. Sono delle persone caratterialmente forti. Della mia terra mi manca tutto. Essendo di Gela, la cosa brutta è che ci posso tornare pochissimo perchè ho sempre bisogno di un campo di atletica che lì non c’è. Visto che mi alleno sempre, non posso tornarci mai.
Mi manca tanto la Sicilia, ma alla Sicilia mancano un po’ di cose che potrebbero allietare la mia villeggiatura e formare tanti campioni perchè penso che in Sicilia ci stanno molti campioni, ma mancano tante strutture per poterli far nascere.
Monica, quali sono i progetti futuri?
A livello sportivo, spero di arrivare a Parigi 2024, concludendo questa seconda vita con la carriera da atleta paralimpica sul grandino più alto del podio. Lavorerò in questi anni per questo. Se non ci arriverò, l’importante nella vita è mettercela tutta. Ho cominciato con una cosa che mi piaceva tantissimo e vorrei finire con la realizzazione del mio più grande sogno.
Vasco Rossi canta “Vivere e cercare di star meglio”. Per lei cosa è vivere?
Vivere è godersi la vita, facendo quello che ti piace e rispettando tutti senza combinare guai. E lasciare perdere le cose negative perchè se ti ci si soffermi, le cose positive non arriveranno mai.
Sandy Sciuto