Politica

Musumeci, “Stati generali inutili, nessun piano per il Sud”

Il presidente della Regione siciliana, Nello Musumeci, torna a battere sul tasto della mancata strategia a favore dello sviluppo del Sud e lo fa in occasione dell’iniziativa del premier Giuseppe Conte che ha convocato gli Stati Generali dell’economia a Villa Doria Pamphili con i rappresentanti delle istituzioni e delle organizzazioni sindacali. Musumeci ha parlato di inutilità degli stessi Stati: “Gli Stati generali sono inutili perché il governo non ha un progetto per il Mezzogiorno e quindi non ha un progetto per la proiezione mediterranea – ha detto il governatore della Sicilia – Sarebbe bastato mettere assieme i governatori del sud e capire di quali esigenze abbiamo bisogno. Serve pragmatismo e buona volontà”.

Come è noto la maggior parte dei rappresentanti dell’opposizione ha declinato l’invito ad andare agli Stati Generali, ritenendo più utile rappresentare le proprie idee e proposte nei palazzi istituzionali. Musumeci invece sarebbe stato disponibile, ma è rimasto bloccato in Sicilia. “Io – ha spiegato – faccio parte della cabina di regia della conferenza, dovevo essere agli Stati generali ma non ho trovato un posto in aereo per partire dalla Sicilia”. “Questo dà l’idea di come i collegamenti aerei siano infelici – ha aggiunto Musumeci – è disarmante questo trattamento. Questo andazzo deve finire”.

Sulla questione dei trasporti con l’Isola e il resto d’Italia, il presidente della Regione si è ripromesso di discuterne domani con il ministro dei Trasporti, nel corso dell’incontro, già fissato la scorsa settimana per risolvere la questione Alitalia. La compagnia di bandiera infatti ha comunicato la decisione di voler abbandonare lo scalo di Trapani, Birgi. “Alitalia continua a fare i capricci a danno di una comunità, quella siciliana, che non chiede elemosina – ha detto il presidente – Per noi la mobilità aerea non è un capriccio ma una necessitò. Vogliamo un trattamento equo e dignitoso”.

E a proposito di sviluppo del Sud, gli industriali di Sicilia e Calabria hanno preparato un dossier con tutte le cifre che riguardano la mancata costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina. “Sono passati 65 anni, spesi 960 milioni di euro, coinvolti circa 300 progettisti, 100 tra società, enti, atenei – è scritto nel dossier – Ma ancora da Messina a Villa San Giovanni ci vuole il traghetto. Per 3,3 km un’ora, se va bene. Unindustria Calabria, Sicindustria, Confindustria Catania e Confindustria Siracusa hanno ribadito che: “Non si può parlare di futuro e di Italia senza ponte. Siamo nel 2020, usciamo da una pandemia: non c’è spazio e non c’è tempo per battaglie ideologiche. Sicilia e Calabria sono distanti 3 miglia. Un trasportatore puo’ impiegare (dipende dal traffico) fino a 3 ore per varcare lo Stretto”.

Gli industriali sono stati chiari: “Occorre programmare la ripresa dell’Italia e questa passa dall’alta velocità, Calabria e Sicilia comprese. Cioè dal ponte sullo Stretto. Occorre scardinare il falso paradigma secondo cui costruire il ponte significa non realizzare e/o completare le altre infrastrutture necessarie. ‘Non si farà mai’ è una formula senza visione. è il pretesto per chi non vuole progettare un modello di sviluppo del Meridione slegato da dipendenze politiche ed economiche. è un alibi per chi preferisce guardare al Sud con lo specchietto retrovisore”.

Gli industriali affermano che per realizzare il ponte ci vuole una gestione commissariale con tempi e costi certi. Nel dossier vengono anche elencati i numeri che riguardano l’industria delle due regioni: in Sicilia ci sono quasi 470 mila imprese, per un totale di ricavi che sfiora i 40 miliardi e circa 500.000 lavoratori occupati. In Calabria sono poco più di 187 mila imprese per un totale di 400 mila addetti circa e ricavi per oltre 20 miliardi di euro. Insieme si tratta di una robusta falange di oltre 650 mila imprese che, unite, sostengono l’improgabilità del ponte. “Per realizzarlo è necessaria una gestione commissariale – concludono – con tempi e costi certi. Per far si’ che non ci sia piu’ un Paese diviso a metà”.