Editoriale

Nella vita valgono i risolutori di problemi

Sentiamo tante persone che parlano a vanvera, che esprimono periodi inconcludenti, che usano la bocca per fare entrare e uscire l’aria e la testa per consumare shampoo.
Costoro sono una zavorra per la società perché costituiscono un peso, come vagoni di coda che si fanno trascinare; mentre il treno dell’umanità deve avere locomotive funzionali e vigorose, che siano in condizione di motivare la gente con ottimismo ed energia, per migliorare le condizioni di vita di tutta l’umanità sotto ogni profilo (in altre parole, il benessere, non solo economico), pur rispettando i limiti planetari, cioé gli ecosistemi naturali che ci sostengono.

Per raggiungere i risultati prima elencati servono persone di qualità, che abbiano studiato, appreso conoscenze per diventare competenti, che abbiano letto centinaia o migliaia di libri, che conoscano l’informatica, che abbiano acquisito un metodo di lavoro organizzato che consenta di raggiungere obiettivi chiari e funzionali. Insomma, abbasso le parole e viva le azioni concrete.

Per fare quanto prima elencato è necessario avere chiaro che si è apprezzati nella misura in cui si riesce a risolvere i problemi con capacità, metodo, inventiva e grinta. In altre parole, valgono i “risolutori di problemi”.
In questo ambito, scuole e università italiane non vanno in tale direzione perché insegnano ai/alle ragazzi/e questioni teoriche, in qualche caso di cultura fine a se stessa e non di cultura generale che consenta di capire come funzionano le cose in questa vita terrena.

Nelle scuole del Nord Europa e in particolare in Finlandia, invece, i/le ragazzi/e non sono tartassati/e da informazioni scritte sui libri, che vengono spiegati da pagina tot a pagina tot, bensì vengono posti di fronte a problemi attuali a cui – ciascuno per il proprio livello – devono proporre soluzioni e vengono promossi/e in funzione dell’intelligenza individuale con cui pensano a tali soluzioni.
In qualunque campo, sociale, economico e tecnico, prevalgono solo le persone capaci di risolvere i problemi, cioè appunto i “risolutori di problemi” e questo avviene perché costoro hanno imparato il metodo, cioè il percorso necessario per realizzare gli obiettivi che si sono posti.

Ognuno di noi, l’abbiamo scritto più volte, fin da giovane dovrebbe farsi la domanda: “Cosa farò da grande?” e cominciare a darvi risposte, seppure rapportate all’età. Peraltro, la stessa domanda – non sembri paradossale – dovrebbero porsela anche quei soggetti che si preparano alla pensione.
Dobbiamo invece constatare che la maggior parte di essi non vede l’ora di non far nulla, di comportarsi come se fosse un “morto vivente”. Intendiamoci, non diciamo che finendo il proprio ciclo lavorativo bisogna continuare a lavorare nello stesso modo e nello stesso settore, ma affermiamo che una qualunque attività bisogna averla, anche di tipo sociale o assistenziale, di modo che quando ci si alza la mattina si sa già cosa si debba fare, come impiegare utilmente, per sé e per gli altri, la giornata.
Non stiamo indicando uno stile di vita – per carità! – in quanto ognuno/a è libero/a di vivere come vuole e di impiegare il proprio tempo come ritenga meglio, tuttavia è compito dell’informazione illustrare lo scenario, fermo restando le scelte libere di ognuno.

Nella vita valgono i “risolutori dei problemi”, lo ribadiamo ancora una volta, che trainino chi li circonda e più.
I rammolliti, i nullafacenti o quelli che aspettano Godot pesano sulla Collettività. Sia ben chiaro che non ci riferiamo agli ammalati, ai bisognosi o ad altri, ma alle persone sane di corpo e di mente che non utilizzano proficuamente le loro energie e capacità.

Questa non sembri una filippica, ma un modo di vedere il funzionamento dell’umanità, degli otto miliardi e più di persone, tra le quali però alcune cercano di crescere, ma oltre due miliardi di esse si trovano in uno stato di povertà

Non bisogna nascondere l’egoismo di chi possiede, ma non intende condividere la propria ricchezza con altri. È proprio qui il punto: si condivide la ricchezza e non la povertà. La redistribuzione della prima richiede delle riflessioni su come ottenerla e produrla, per poterla redistribuire. Questa riflessione è al momento mancante nella maggior parte dei programmi politici. Condividete?