Inchiesta

Next Generation Eu: sono tutti in ritardo. Due anni per evitare un flop continentale

ROMA – Adeguarsi alle nuove sfide della digitalizzazione, potenziare servizi fondamentali come quelli legati al mondo della sanità e dei trasporti, diversificare le fonti di approvvigionamento energetico, guardando sempre alla sostenibilità e al rispetto dell’ambiente. E ancora, traguardo non meno importante, ridurre (se non eliminare) l’enorme divario territoriale che spacca in due il Paese. Quanto promesso dall’attuazione del Pnrr (il Piano nazionale di ripresa e resilienza), tramite l’accesso alle risorse del Next generation Eu, rappresenta davvero un’occasione unica del nostro tempo. Un processo che aspira a proiettarci verso un futuro improntato all’innovazione, alla crescita sostenibile, al superamento delle disparità. Questo, almeno, sulla carta. In concreto le cose non sembrano poi così semplici, e il percorso di attuazione dei progetti potrebbe dimostrarsi più accidentato del previsto.

Questione non da poco, soprattutto se si considera che sono già trascorsi tre anni dall’approvazione del Pnrr e che ormai incombe inesorabilmente la scadenza di spesa per i Paesi membri, fissata al 2026. Secondo alcune fonti, infatti, nella selva di dati che si sovrappongono tra i chiaroscuri delle statistiche, l’attuazione del Piano sarebbe interessata da seri ritardi. Una situazione che, per di più, non si limiterebbe soltanto alla spesa nel nostro Paese.

Nei giorni scorsi, la Banca centrale europea ha diffuso un cosiddetto Occasional paper nel quale, trascorsi quattro anni dalla nascita del Next generation Eu, si analizza l’impatto che il circuito di finanziamento produce sull’economia dell’area euro. Il report dedica una certa importanza proprio all’Italia, in qualità di principale destinataria dei fondi messi a disposizione dall’Ue: al nostro Paese, infatti, spetta una dotazione pari a circa il 37% del totale delle risorse assegnate ai vari Paesi, con un finanziamento…

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