Chi protesta contro la cosiddetta privatizzazione dell’acqua o è ignorante o è presuntuoso. Va da sé che secondo il ciclo naturale, l’acqua cade dal cielo, riempie i serbatoi, scorre nei fiumi, arriva nei mari e completa il ciclo evaporando e tornando in alto, nelle nuvole.
Acqua nella Terra ve n’è in abbondanza – circa i sette decimi della superficie terrestre sono pieni di acqua – con la conseguenza che per i tre decimi è terra ferma.
Con l’enorme inquinamento atmosferico, ed il surriscaldamento dell’atmosfera, si verifica il fenomeno dello scioglimento dei ghiacciai per centinaia di chilometri, i quali provocano l’aumento del livello dei mari. Conseguenza è che essi sommergono territori interi. Un gruppo di isole nell’oceano Pacifico che faceva parte delle Solomon è scomparso negli ultimi settant’anni ed altre stanno scomparendo, così i loro abitanti cominciano ad andarsene. Questo è il quadro.
Gente orba e con la mente poco lucida continua a predicare: “Risparmiate l’acqua”. Si tratta di un non senso perché non c’è motivo di risparmiare l’acqua in quanto tale, dal momento che essa è continuamente in circolo fra la superficie ed il cielo e viceversa, in un meccanismo continuo (tranne perturbazioni esterne).
L’ignoranza dilagante, dovuta anche ad internet, fa sì che molta gente apprenda fischi per fiaschi e non capisca quale sia l’essenza dei problemi né come funzionino o dovrebbero funzionare le cose.
Dal che nascono proteste stupide, fuor di luogo, che ingannano alcuni in buona fede ed altri che non possiedono sufficienti cognizioni per capire e ragionare con la propria testa.
Ecco qual è il problema della nostra società odierna: il comportamento da mandria di tanti cittadini, i quali vanno appresso a qualcuno senza domandarsi perché, senza chiedersi che cosa accada e senza cercare di capire il come. Domande parziali dei sei famosi interrogativi giornalistici: what, who, where, when, why, how.
È proprio la mancanza di capacità di porsi interrogativi in una sequenza di sette ‘perché’ di ogni cosa e la mancata comprensione dei fatti, nazionali ed internazionali (che accadono quotidianamente) che comporta un alto rischio di turlupinatura.
Torniamo all’acqua. Chiarito senza ombra di dubbio che del liquido prezioso ve n’è in abbondanza e non finisce mai – ripetiamo, per il circuito prima descritto, se questo non viene compromesso – resta la questione primaria di come fare a contenerlo in serbatoi molto grandi e poi, con apposite reti, portarlo sia ai campi per l’agricoltura che alle soglie dei Comuni, in modo da immetterla nelle reti che poi arrivano alle imprese ed alle abitazioni private.
Ecco quello che non capiscono tanti ignoranti: l’acqua è gratuita, ma il servizio per portarla fino ai rubinetti deve essere pagato, in maniera adeguata, ad aziende che possano conseguire un utile, se private, o agire senza scopo di lucro, se pubbliche. Ribadiamo, dunque, che il servizio va remunerato, in un caso o nell’altro.
Non comprendiamo di cosa parlino dei trogloditi quando urlano la frase senza senso, ma del tutto ovvia: “Acqua gratis”. Bella scoperta, l’acqua è gratis, ma il servizio va pagato.
Gli enti pubblici hanno una funzione di gestire la Collettività e per farlo hanno strumenti legislativi ed amministrativi, ma non sono capaci di fare attività di impresa o attività economiche senza scopo di lucro. Ecco perché dovrebbero mettere a bando i servizi pubblici, ma non gestirli; controllare che gli affidatari siano capaci di renderli al miglior livello ed al minor prezzo, essere inflessibili per le mancate manutenzioni, applicare le sanzioni per le eventuali carenze.
È dimostrato che la maggior parte delle aziende partecipate dai Comuni sia in perdita per l’incapacità di gestire i servizi loro affidati, fra cui quello della distribuzione dell’acqua. Reti fatiscenti che perdono come colabrodi.
Ancor peggio è lo stato delle reti che portano l’acqua dai bacini ai terreni agricoli, imprese e cittadini.
Si stima che fra tali reti, la metà dell’acqua si disperda. Un vero peccato perché comunque i motori girano, l’elettricità si consuma e si pagano costi per servizi che non si prestano.