Università

Nuovi corsi, ospedali, musei: il futuro è a Palermo e si chiama UniPa. L’intervista del QdS al rettore Massimo Midiri

UniPa è ormai un brand di successo. Quarto Ateneo italiano, 45.000 iscritti, oltre 1.500 docenti, brevetti depositati, partnership importanti come il colosso high-tech Apple, nuovi docenti ricercatori e una visione chiara e perseguita del futuro. Questa la cifra dell’Università di Palermo, la più grande del sud Italia, che sta diventando sempre più un motore attrattivo per investimenti a Palermo e nella Sicilia occidentale in cui hanno sede i poli territoriali dell’Ateneo. Ed un Ateneo di prestigio ha sempre effetti importanti sul territorio. Inoltre, come condiviso dal magnifico rettore dell’Ateneo di Palermo, il capoluogo siciliano è una grande città e non una città universitaria, ma stranamente negli anni ha patito fin troppo i gravi problemi occupazionali tipici di una città meridionale in crisi. Niente sviluppo, nessuna prospettiva. I siciliani hanno forse troppo e per troppo tempo atteso risposte programmatiche dalla politica sottovalutando le opportunità di ciò che lo Stato aveva già dato loro: una grande Università degli studi. Un centro di ricerca, di sviluppo, di cultura ma anche di costruzione del lavoro che non c’é. Questo sembra saperlo bene Massimo Midiri, rettore dell’Università di Palermo da tre anni, che abbiamo intervistato per sapere cosa sta facendo l’Ateneo che oggi continua a correre verso il futuro, e cosa può rappresentare questo potente bacino di formazione specializzata per il territorio. Primo obiettivo non fa andare via i ragazzi dopo la laurea triennale per completare il percorso al nord.

Il lavoro c’è, e ce lo spiega il rettore in un’intervista esclusiva per il Quotidiano di Sicilia.

L’intervista

Magnifico, un Ateneo ha inevitabili effetti sul territorio, in termini di formazione e quindi anche occupazionale; come l’Università di Palermo in questo momento sta influenzando, o intende caratterizzare l’ambiente imprenditoriale che si può sviluppare nel territorio della Sicilia occidentale?

“La nostra dimensione territoriale è una dimensione un po’ particolare, perché non è quella delle grandi industrie, non è quella dei grandi brand, non è quella delle grandi company, ma è fatta di un tessuto di piccole e medie imprese che in realtà non è affatto trascurabile. Ed è una cosa un po’ strana, perché gli imprenditori lamentano la mancanza di lavoratori specifici, da una parte, e dall’altra i ragazzi lamentano che non c’è lavoro. Quindi abbiamo creato, primi in Sicilia, o quantomeno primi a Palermo, un sistema di competence center in cui abbiamo messo dentro cinque grandi aziende, che creano prospettive di lavoro in chiave di start up o di innovazione, e che hanno nel loro portafoglio da cento a centocinquanta altre aziende ciascuna, non solo nazionali ma anche internazionali; tra l’altro specializzate con temi differenti”.

Questo è un primo elemento. Il secondo elemento sono gli imprenditori. Di quali figure professionali avete bisogno? E soprattutto, quali skill devono avere queste figure professionali di cui avete bisogno? Perché una cosa è dire un ingegnere meccanico ed un’altra è dire un ingegnere meccanico che ha competenze di sensoristica e via dicendo. Quindi i ragazzi cominciano a comprendere che l’Università di Palermo pian piano cambia pelle, si adatta al mondo del lavoro e cerca di fornire figure professionali che interessano.

“Uno per tutti l’informatica, oramai totalmente permeante con l’arrivo dell’intelligenza artificiale. Con chi dovrà gestire questi processi, che dovranno a loro volta gestire un cambio di paradigma in tanti settori produttivi. L’operaio specializzato potrebbe essere sostituito dal robot ed il robot potrebbe essere guidato da un algoritmo intelligente. Ora, chi controlla l’algoritmo intelligente? Ecco che l’informatico non è più quello che fa il software ma è uno che comincia a diventare un gestore di produttività”.

Questo è un indirizzo su cui state lavorando; gli altri, che possono offrire sviluppo anche sul territorio, quali sono?

“Gli altri sono quelli che ci ha indicato l’Europa. Cioè, le linee vettoriali su cui l’Ue ha voluto sviluppare un percorso sono quelle della transizione digitale – e ne abbiamo parlato – e della transizione ecologica. Quindi abbiamo cominciato a mettere su un centro studi fatto da diciassette docenti, che corrispondono guarda caso ai diciassette Sustainable Development Goals dell’agenda delle Nazioni Unite 2030 sulla sostenibilità, con esperti sui rispettivi temi, che danno delle linee guida e delle direttive generali non soltanto ai nostri studenti, che cominciano a capire che c’è una linea di studi e di investimento sull’ambiente, ma anche agli enti territoriali che cominciano a chiederci consulenze per figure professionali che diventano centrali. Perché con il clima ci dovremo combattere, con le modifiche provocate dal clima ci dovremo combattere, per cui ci vorranno agronomi esperti di produzioni su terreni desertificati. La Sicilia si sta progressivamente trasformando, quindi le colture devono cambiare. Non è più la coltura degli anni ’50 ma una coltura che improvvisamente produce ananas, papaya e mango; come se fossimo nell’area sub tropicale, tanto è il clima che si è modificato. Quindi sempre di più un Ateneo che porta a supporto dello studente tutto un background di imprese.
L’idea di start up – che purtroppo in questo Ateneo ho trovato quasi totalmente azzerata – in realtà è un’idea che stiamo riportando in pieno regime perché la start up è una cosa che porta il ragazzo a creare impresa, ad assumere altri colleghi, amici e conoscenti. Devo dire che i nostri settori più performanti sono quelli sulle linee dure: fisica, ingegneristica, chimica, chimica dei materiali. Sono tutti settori con un tasso di laureati che trova lavoro immediatamente; al di là dei medici e di tutta l’area biomedica che ovviamente fa sold out sempre”.

Il dubbio – in cui spero riconosca legittimità – è che l’Ateneo può anche rappresentare il futuro, ma se intorno persiste il deserto si rischia di vanificare gli sforzi dell’Ateneo. Oppure si è avviato un dialogo per cui il territorio e chi lo governa iniziano a prendere atto di questa presenza per sviluppare il territorio?

“Certo, i due linguaggi possono non comprendersi. Ma devo dire che ci sono dei segnali molto importanti. L’assessore alle attività produttive tiene in forte considerazione il ruolo delle Università siciliane, in modo particolare quella di Palermo, anche per un fatto di vicinanza geografica. A breve spunterà un bando su innovazione e ricerca, che vedrà la potenzialità di sviluppo di centri di trasferimento tecnologico. I rapporti che abbiamo anche con altri enti importanti, come Ri.MED e ISMETT, sono chiari significati di cominciare a lavorare in sinergia pur avendo origini completamente differenti. Nel 2025 partirà il polo di Carini del Ri.MED e sarà una struttura di ricerca avanzatissima, ed è fin troppo chiaro immaginare che una buona parte del rifornimento di scienziati e operatori arriverà dall’Università di Palermo.
Quindi ci sono tutta una serie di condizioni che ci stanno mettendo in un palcoscenico, chiaramente internazionale, molto alto per la qualità della professionalità che viene richiesta, che potrebbe portare anche a una delocalizzazione dei corsi di laurea dentro casa altrui. Per esempio, niente di strano che nel polo di Carini del Ri.MED collochiamo il corso di laurea in biotecnologie. Dare l’idea che tu studi in una struttura in cui sei circondato non soltanto da aule, banchi e visori, ma dove effettivamente si fa quello che studi, quindi un laboratorio reale che diventa il momento dell’esercizio pratico che è il valore realmente aggiunto rispetto alle lauree telematiche”.

Lei parla di ricerca, crescita e sviluppo, ma il risultato è che poi ci sono stati tagli ulteriori e quindi le Università italiane – e forse in Sicilia il prezzo lo si paga di più per il livello occupazionale siciliano – regrediscono o quantomeno non reggono il passo di altre Università all’estero, in paesi che stanno investendo moltissimo nella ricerca. Questo gap come lo si colma?

“Si colma con difficoltà, perché se non c’è denaro è chiaro che … Per fare un esempio, noi abbiamo assunto nel biennio più di 150 ricercatori del PNRR che molto probabilmente non avranno alcun futuro. Quindi abbiamo fatto un investimento, hanno sorretto titoli di studio perché sono docenti di riferimento, e alla fine del PNRR non ci sono le risorse per farli entrare – i più meritevoli ovviamente – nel sistema universitario generale. Perché non abbiamo i punti organico, che poi sono soldi, adatti per creare ruoli. Questa è una scommessa fallita. Quindi forse dobbiamo cominciare a ragionare come fanno gli americani, per cui cominciamo ad aprire il mondo delle fondazioni alunni, cominciamo a chiedere aiuto alle imprese. Ecco, il contatto con le imprese potrebbe cominciare a diventare una imprevedibile risorsa. Questa è una suggestione che sto cominciando a fare perché mi sto rendendo conto che se mi fermo soltanto a una logica di conflitto con lo Stato, che è chiaramente perdente, non arrivo da nessuna parte”.

A proposito di scommesse, avete avviato dei corsi in management ad indirizzo sanità e corsi su acquisti nella pubblica amministrazione. Questa che scommessa è secondo lei?

“Una scommessa importante, e andiamo sempre a competere con le telematiche. Perché io sto cominciando a creare quattro o cinque corsi di studio telematici – sono in preparazione – ma controllati da un sistema sempre di laboratori in presenza, rivolti alla pubblica amministrazione. Quindi rivolgendoci ad una popolazione che oggi non si iscriverebbe all’Università o si iscriverebbe inevitabilmente ad una telematica generica. Allora, cominciamo a crearne anche noi, su settori molto attrattivi che sono poi di pubblica utilità, per il pubblico impiego ma anche per le Forze armate, perché per tutti i concorsi nelle Forze armate, per salire di livello, la laurea è un elemento centrale”.

Lei sembra avere uno scrigno pieno di tesori. State lavorando e producendo su sicurezza informatica, su digitalizzazione nel settore sanitario, su intelligenza artificiale. Tutto questo troverà una applicazione diretta nel settore pubblico e non soltanto in quello privato, visto che è ad esempio argomento di questi giorni la cyber sicurezza dei sistemi sensibili del governo ma anche lo snellimento di alcune procedure in ambito di amministrazione pubblica?

Assolutamente si, perché tra l’altro in questi percorsi abbiamo coinvolto il Ministero della Difesa, quindi abbiamo messo dentro chi poi di fatto crea i meccanismi di garanzia del dato informatico. Quindi un corso di questo tipo è chiaro che poi immagino avrà una proiezione su quel personale che si deve iperqualificare per avere competenze superiori.

Apple è stato un avvio molto interessante ed avete anticipato che potrebbe svilupparsi anche un settore intelligenza artificiale con il gigante di Cupertino, e lei se non erro è stato recentemente di nuovo all’estero, negli States. L’Università di Palermo in questo settore si sta ulteriormente elevando rispetto a quello che era la media degli Atenei nazionali?

“Noi riteniamo che i rapporti internazionali siano fondamentali, perché siamo fortemente convinti che Palermo non sia una città del sud ma che sia una città al centro del Mediterraneo che deve fare da porta per l’Europa. Quindi in realtà noi abbiamo l’incredibile prospettiva di potere attrarre l’attenzione dei paesi magrebini – parlo soprattutto della Tunisia che sta subendo un processo di fortissima trasformazione ma anche di Algeria, Egitto e di tutta l’area rivierasca del Mediterraneo – coinvolgendoli in una interpretazione di Palermo come punto di accesso per proiettarsi ad una dimensione lavorativa di carattere europeo. Proprio per questo sono anche aumentati i corsi di inglese che ora sono giunti già a diciotto”.

Prossimi traguardi o work in progress di grande rilievo?

“Ne abbiamo sicuramente due: stiamo per consegnare alla città di Palermo due ospedali nuovi di zecca. Uno è il nuovo Policlinico e l’altro sarà il nuovissimo ospedale veterinario. Quindi abbiamo due cose che non esistevano. Il Policlinico era del 1910, cioè più di cento anni di storia, ed avrà un nuovo ospedale iper moderno che quindi sarà una grandissima risorsa; ma anche partire con l’ospedale veterinario significa fare un percorso di laurea molto attrattivo. Ed anche dal punto di vista lavorativo è un settore gigantesco, perché ci sono gli animali da adozione, i ‘pet’, ma da noi in Sicilia c’è tutto il settore della zootecnia con tutte le problematiche di salute che il tema evidentemente coinvolge.
E poi c’è un grande impegno anche per una terza missione, cioè di valorizzazione culturale delle risorse non soltanto proprie. Perché noi abbiamo un sistema museale che è gigantesco, l’Orto Botanico in testa, ma stiamo facendo una operazione anche per creare nuovi musei. Ci sarà una riqualificazione di via Lincoln, abbiamo acquisito dei magazzini che sono in prosecuzione dell’Orto Botanico, e quello diventerà il primo museo della scienza. Sarà una cosa anche molto divertente per il coinvolgimento dei cittadini e dei bambini. In Sicilia c’è un patrimonio museale inestimabile, e noi dobbiamo portare i turisti per un turismo che io chiamo di eccellenza, non mordi e fuggi. Non ci interessa il turista che sta tre ore, da crociera; ci interessa il turista che viene a Palermo perché vuole vedere alcuni percorsi e l’Università è uno di questi”.

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