Cultura e civiltà ebraica

Con il nuovo anno speranza di pace

Lo scorso tre ottobre si è celebrato il capodanno (Rosh Ha Shanah), ed è arrivato per il calendario ebraico l’anno 5785. Festività solenne che ricorda la creazione dell’uomo e il riconoscimento della regalità di Dio sull’intero creato. In Israele le famiglie, la sera della vigilia, si sono messe a tavola, su cui come d’uso, erano in bella mostra le pietanze della tradizione ma questa volta, con lo sguardo sempre rivolto al percorso più breve per lasciare la camera e raggiungere il bunker o i locali di sicurezza, giacché la loro terra è ormai costante bersaglio di missili provenienti dal vicino Libano, dalla Striscia di Gaza ed anche da luoghi più lontani, quali l’Iran e lo Yemen.

Il tempo scorre e la vita deve andare avanti, ma è evidente l’amarezza che ha lasciato in tutta Israele il barbaro pogrom del 7 ottobre dello scorso anno, con 1200 vittime innocenti uccise nei modi più barbari e disumani, i 250 rapiti e mantenuti in ostaggio con il quotidiano strazio loro e dei loro familiari. E poi i 346 soldati uccisi e i 2284 feriti nel corso della reazione militare portata avanti contro Hamas, per impedirle di ripetere l’aggressione già consumata, ed ancora le vittime civili palestinesi, gran parte scudi umani dei terroristi.

È difficile che si possa festeggiare il nuovo anno in queste condizioni, quando il proprio Stato di appartenenza è impegnato militarmente su sette diversi fronti. E soprattutto quando i terroristi il cui unico istituzionale e dichiarato scopo è la eliminazione dello stato di Israele, con una pessima strumentalizzazione dei fatti, abbiano confuso l’opinione pubblica mondiale riuscendo a confondere aggrediti con aggressori, spingendo l’Occidente a combattere sé stesso, anche con minacce ripetute di boicottaggio nei confronti dello Stato aggredito. In questo complessivo sconcertante scenario, che vede anche oltre 100 mila sfollati israeliani dal Nord del Paese, in attesa dell’arrivo del nuovo anno, in quelle case in cui alla vigila della festa, si prepara la tavola, vengono lasciati i posti vuoti per i figli o per i mariti al fronte.

Il più grande desiderio dei partecipanti alla cena sarebbe il ritorno alla normalità, alla pace, alle consuete attività lavorative ed agli affetti; aspirazione che, nella ricorrenza, trova conferma nell’antico detto della tradizione: buttare via con l’anno vecchio le maledizioni, che lo stesso ha portato, ed abbracciare le benedizioni che l’anno nuovo certamente porterà. Tutto ciò però accade mentre fuori ricevono le esequie le vittime uccise a Jaffa, su un autobus, mentre stavano rincasando, nel tardo pomeriggio del giorno precedente, da due terroristi armati di mitra. Tra le vittime anche un giovane italo-israeliano di trentatre anni, deceduto il giorno dopo l’attacco. Stesso giorno in cui, a Bersheeva si è consumato un analogo attentato, costato un morto ed undici feriti. Sebbene la guerra nei confronti di chi non ha nessun interesse ad un compromesso e ad un onorevole accordo, appare di difficile soluzione, giacché l’unico obiettivo realmente perseguito dai terroristi, così come è stato dichiarato, da sempre, sin dall’inizio del conflitto israelo-palestinese è, e continua ad essere spingere in mare gli israeliani, è necessario sperare.

Pertanto, come detto, ancor oggi, nelle case di Israele ci si augura che si apra un nuovo anno, che porti fratellanza e pace, che possa vedere il popolo impegnato in attività produttive e di progresso e non occupato nella difesa da nemici che vogliono, ad ogni costo, la fine di Israele. Risuonano profetiche le parole dell’ex prima ministra israeliana Golda Meir, che ha affermato: “La pace verrà quando gli arabi ameranno i loro figli più di quanto odiano noi”. In ogni caso la pace va ricercata con il massimo impegno ed anche per questo motivo è stato ripetuto, con ancora maggiore fervore, l’ antico e tradizionale augurio:”che il vecchio anno si porti via le maledizioni di cui era carico ed il nuovo ci ricolmi di benedizioni.