Sappiamo bene che il debito pubblico non va né cancellato, né rimborsato e che se, tenuto nella giusta misura (= sostenibile) è una benedizione dei popoli (copyright Hamilton, primo ministro del tesoro americano, inventore del dollaro).
Va solo contenuto in limiti meno esagerati e pericolosi di quelli attuali per riguadagnare un po’ di flessibilità strategica e di sviluppo, per togliere dal collo la corda del ricatto, che ci tiene esposti al rischio permanente di essere impiccati.
Sappiamo anche che questa opera di contenimento non si fa dalla sera alla mattina. Essa richiede l’uso coincidente di altri strumenti, (controllo e contenimento della spesa pubblica corrente, cessione dei cespiti patrimoniali non produttivi, ripresa dello sviluppo) e richiede tempo e progettualità.
Abbiamo bisogno di un piano triennale, cinquennale, decennale, una grande operazione nell’ambito della quale rientri anche l’emissione del Prestito della Rinascita. Nessuno chiede miracoli all’Italia ma chiediamo un piano ragionevole e credibile di buone regole.
E i primi a chiederlo, anzi a pretenderlo, devono essere gli italiani. Per questo e per i loro figli e nipoti devono essere pronti a lottare. Basta giocare alle tre tavolette. Il ricatto del debito pubblico può fare molto più male del Covid-19.
Il terzo punto di forza è la capacità diffusa tra la popolazione. Non mi riferisco solo alle capacità imprenditoriali ma in generale all’homo (e donne) faber italiane, nelle sue varie forme e manifestazioni, come tecnico, manager, artigiano, operaio, agricoltore.
Io potrei scrivere un libro di mille pagine di storie bellissime che ho raccolto nelle mie esperienze, girando l’Italia e gran parte del mondo.
Basta osservare quanti bravi manager italiani e quanti bravi ricercatori italiani hanno fatto, nelle multinazionali e nei laboratori di ricerca di grandi università internazionali, quelle brillanti carriere che il loro paese negava loro per le tante corporazioni che lo stringono.
Infatti è assolutamente vero quello che disse una volta Innocenzo Cipolletta quando, come direttore generale della Confindustria, disse: gli italiani sono innovatori, l’Italia non lo è.
Uno dei temi centrali della nuova Italia è di riuscire a superare questa dissociazione.