Ecco di cosa sono stati accusati gli arrestati a seguito dell’operazione “Resurrezione”, che ha portato il gip Fabio Pilato a emettere un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 18 persone appartenenti al mandamento di Resuttana.
Salvatore Genova, Sergio Giannusa e Giuseppe Di Maria sono accusati di avere, recita l’ordinanza, “mediante minaccia posta in essere manifestandosi quali componenti e comunque emissari di Cosa nostra, compiuto atti idonei, diretti in modo non equivoco a costringere Meola Carmelo, amministratore unico della società EDI.M sri, a corrispondere una somma di denaro a Giuseppe Di Maria, da quest’ultimo pretesa a titolo di presunto credito, e a procurare, in tal modo, a sé e ad altri ingiusti profitti con altrui danno con lo scopo di affermare e rafforzare il controllo della famiglia mafiosa Resuttana nel territorio di influenza”.
Per altri indagati dell’operazione Resurrezione – Sergio Giannusa, Angelo De Luca, Carlo e Giuseppe Pesco – l’accusa è di aver “mediante minaccia posta in essere manifestandosi quali componenti e comunque emissari di Cosa nostra, compiuto atti idonei, diretti in modo non equivoco a costringere Lucia Calafiore, titolare della agenzia di onoranze funebri con sede in Palermo in via Crocerossa n. 179, a corrispondere una somma di denaro a titolo di ‘pizzo’“.
Giannusa e De Luca avrebbero riscosso il “pizzo”, i due Pesco avrebbero fornito indicazioni per identificare Calafiore e un suo collaboratore. In più, Carlo e Giuseppe Pesco avrebbero convocato davanti a Giannusa il collaboratore dell’imprenditrice “affinché sollecitasse Calafiore al pagamento impostole”.
Sergio Giannusa, Michelangelo Messina, Carlo Giannusa e Mario Napoli sarebbero accusati di un caso di riscossione del “pizzo” (Messina e Sergio Giannusa come esecutori materiali, gli altri due come mandanti) ai danni dell’agenzia di pompe funebri Chiofalo, con sede in via Giacomo Besio n.121.
Giannusa e Messina (il primo mandante, il secondo esecutore) sono accusati di avere costretto “un imprenditore non ancora identificato a corrispondere una somma di denaro a titolo di ‘pizzo’ pari a 1.000 euro, procurando a sé e ad altri ingiusti profitti con altrui danno”. Episodio simile, sempre a carico di Giannusa (esecutore) e Messina (mandante) a carico di un altro imprenditore non identificato: la somma di denaro riscossa come “pizzo” sarebbe stata di circa 4mila euro.
Carlo Giannusa (mandante) e Agostino Affatigato (esecutore) sono accusati – nell’ambito dell’operazione Resurrezione – di un altro episodio di riscossione del “pizzo” ai danni di un imprenditore non identificato.
Salvatore Genova e Giuseppe Mesia sono accusati di avere “mediante minaccia posta in essere manifestandosi quali componenti e comunque emissari di Cosa nostra, costringendo Giulio Mutolo, titolare della ‘Carni Mutolo’, a rinunciare all’aumento del prezzo richiesto all’impresa gestita da Alerio Benedetto per la fornitura di pollame e a sottostare a condizioni ritenute più favorevoli per l’impresa, procurato a sé e ad altri ingiusti profitti con altrui danno”.
Carlo Giannusa, Mario Napoli, Agostino Affatigato e Giovanni Quartararo sono accusati di avere “compiuto atti idonei, diretti in modo non equivoco a costringere Davide Scafidi a corrispondere una somma di denaro a Giovanni Quartararo, da quest’ultimo pretesa a titolo di presunto credito, inizialmente individuato nella somma di 20mila euro, e a procurare, in tal modo, a sé e ad altri ingiusti profitti con altrui danno”.
Per gli indagati dell’operazione Resurrezione Sergio Tripodo, Sergio Giannusa, Michelangelo Messina, Mario Muratore e Michele Siragusa l’accusa è di avere, “Tripodo quale mandante, gli altri quali incaricati dell’esecuzione del mandato loro conferito da Tripodo, mediante minaccia posta in essere manifestandosi quali componenti e comunque emissari di Cosa nostra, compiuto atti idonei, diretti in modo non equivoco a costringere Francesco Crivello, Salvatore Crivello e altri residenti nell’immobile di Tripodo, sito in Palermo, alla via Alaimo Da Lentini n. 12, a rilasciare detto immobile”.
Federico Girolamo – indagato nell’ambito dell’operazione Resurrezione contro il clan di Resuttana – è accusato di avere “costituito, diretto, organizzato e finanziato l’associazione, anche predisponendo le basi operative e quelle logistiche, mettendo a disposizione del sodalizio e comunque reperendo i mezzi per il trasporto delle partite di stupefacenti, conducendo le trattative per l’acquisto e la vendita di droga, reclutando i soggetti da impiegare nelle fasi di acquisto e trasporto e occupandosi, anche direttamente, dell’acquisto, del trasporto, della distribuzione e delle vendita degli stupefacenti mentre Francesco Balsameli per avere costituito e comunque finanziato l’associazione mediante ingenti somme di denaro, pari almeno a ottantacinquemila euro”.
Federico Girolamo e Francesco Balsameli sono inoltre “accusati di avere, acquistato, trasportato e detenuto diverse partite di stupefacenti, destinate alla vendita o alla cessione a terzi”. Per Girolamo c’è anche l’accusa di “aver detenuto illegalmente un fucile a canne mozze, portandolo anche in luoghi pubblici e gli viene contestato di avere trasformato un fucile riducendo la lunghezza delle canne, alterandone le caratteristiche meccaniche e le dimensioni, aumentandone la potenzialità di offesa e rendendone più agevole il porto, l’uso e l’occultamento”.