Le indagini dell’operazione “Resurrezione” prendono in via il 2 marzo 2019 quando Salvatore Genova, detto “vanchiteddu”, reggente del mandamento Resuttana sino al 2008, esce dal carcere di Opera in cui era detenuto al regime di 41-bis.
Le indagini, sviluppatesi simultaneamente a quelle riguardanti le altre famiglie mafiose del mandamento di Resuttana – composto, oltre che dall’omonimo clan, anche dalle famiglie dell’Arenella e dell’Acquasanta – hanno consentito di delineare gli assetti del mandamento confermando il sospetto che, dal momento della scarcerazione, Salvatore Genova avesse ripreso il comando dell’intero mandamento di Resuttana.
Il ritorno di Genova al comando del mandamento ha favorito un posto di primo piano a Sergio Giannusa, già elemento di spicco della compagine mafiosa e legato al Genova da vecchi vincoli criminali. Contestualmente, anche Salvatore Castiglione, già definito “il braccio destro se non addirittura l’ombra” di Genova ha riassunto un ruolo apicale nella famiglia mafiosa.
Salvatore Genova è stato il fido alleato di mafiosi di rango quali Salvatore, Sandro e Calogero Lo Piccolo, nonché il referente per il sostentamento della famiglia di Francesco Madonia, patriarca mafioso del mandamento di Resuttana, e di quelle dei suoi figli Salvatore, Antonino e Giuseppe, da tempo detenuti.
Il suo prestigio nell’ambito dell’organizzazione mafiosa, è dimostrato dalla sua assidua presenza in numerose riunioni alle quali avevano partecipato altri capimafia all’epoca in libertà. Nei tre anni di monitoraggio, Genova, noncurante dei limiti connessi alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, si è immediatamente reinserito nelle dinamiche affaristiche e di relazione del mandamento di pertinenza tanto che, il 18 aprile 2019, ad appena un mese dalla scarcerazione, si dedicava già alla cura degli interessi mafiosi, pur provando a mantenere un profilo basso e riservato per sfuggire all’attenzione degli inquirenti.
Proprio per il ruolo che Salvatore Genova rivestiva, autorizzò la mediazione del commercialista Giuseppe Mesia sul prezzo della compravendita della gelateria “GELATO2” di via Alcide De Gasperi. Si trattava di una transizione imprenditoriale che riguardava Michele Micalizzi, reggente della famiglia mafiosa di Partanna Mondello, acquirente tramite la società MAGI srl della gelateria. Le indagini hanno dimostrato che tale operazione fosse inserita in un contesto di relazioni e cointeressenza mafiose ad ampio raggio, scaturenti dalla ripresa della regia del mandamento da parte di Salvatore Genova.
Sempre Genova, forte del ruolo che ricopriva, il 28 maggio 2020 avrebbe partecipato, nella sua qualità di capo, a un summit definito dal Gip “di alto valore strategico e riorganizzativo” con Giuseppe Greco, reggente del mandamento Ciaculli-Brancaccio. Il 30 novembre dello stesso anno, poi, avrebbe partecipato a un incontro segreto con Michele Micalizzi, pregiudicato mafioso, oltre a partecipare – il 9 marzo 2021 – a un incontro con i pregiudicati mafiosi Giovanni Giordano, detto “Giampiero”, uomo di fiducia del reggente il mandamento mafioso di Noce-Cruillas, Carmelo Giancarlo Seidita, e Pietro Tumminia, detto “Pierone”, reggente della famiglia mafiosa di Altarello.
Il commercialista Giuseppe Mesia sarebbe l’uomo che, nel momento della sua scarcerazione dal carcere di Opera, si recò a Milano al solo fine di scortare il presunto capomafia Salvatore Genova durante il viaggio di rientro nel capoluogo siciliano.
Già condannato per associazione a delinquere di stampo mafioso, in quanto componente di spicco della famiglia mafiosa di Resuttana, Sergio Giannusa avrebbe un rapporto fiduciario col reggente del mandamento mafioso di Resuttana, Salvatore Genova.
Oltre a organizzare e presenziare alle numerose riunioni e agli incontri di vertice indispensabili per la riorganizzazione delle attività mafiose, il Giannusa risulta aver agito anche come esecutore degli ordini e delle direttive impartitegli dal capo mandamento Genova tanto da partecipare direttamente alla riunione del 9 marzo 2021 ma anche a innumerevoli incontri con soggetti appartenenti a Cosa nostra, fra cui, Gaetano Scotto, esponente di vertice della famiglia dell’Arenella, Girolamo Celesia, Giuseppe Greco, Michele Siragusa, Michele Micalizzi e altri.
Sintomatico anche il suo ruolo di referente diretto dell’organizzazione del mandamento smantellato dall’operazione Resurrezione come nel caso in cui il pregiudicato mafioso Vito Nicolosi, lo informava dell’iniziativa imprenditoriale di suo cugino Girolamo Federico, intenzionato ad aprire un caseificio in piazza San Lorenzo (“Deve fare un caseificio… Disturbiamo qualcuno?”). Giannusa, tranquillizzandolo, rispondeva che avrebbe dovuto portare all’attenzione di chi di dovere la questione (“Va bene! A posto! … Hai parlato con me ed è a posto! Pero è giusto che lo devo fare sapere”) conferma, secondo gli investigatori, del ruolo sovraordinato e non di semplice affiliato del Giannusa.
Come indicato dal Procuratore De Lucia, subito dopo l’arresto di Matteo Messina Denaro, esisterebbe una “zona grigia” all’interno della quale la “borghesia mafiosa” opera in stretta relazione con Cosa nostra. Nel corso delle investigazioni sarebbe emerso uno strettissimo rapporto tra Michelangelo Messina, oggi indagato, e il notaio Sergio Tripodo. Il notaio, pubblico ufficiale al quale lo Stato affida il potere di attribuire il valore di prova legale agli atti che stipula, dopo aver acquistato alcuni appartamenti nei pressi del Mercato Ortofrutticolo di Palermo, si sarebbe rivolto alla famiglia mafiosa perché, a causa dell’indisponibilità degli inquilini a liberare gli appartamenti nonostante un provvedimento di sfratto esecutivo, si occupasse della faccenda.
Ovviamente il metodo di convincimento utilizzato da Giannusa, Messina e Siragusa, che si occuparono della questione, si basò sull’intimidazione. Potrà sembrare un paradosso ma pare che i tre mafiosi abbiano chiesto agli inquilini il rispetto della sentenza emessa dal Tribunale, sostituendosi così allo Stato anche se attraverso minacce. Dalle intercettazioni, autorizzate, dall’incontro con gli inquilini emerge anche il fatto che uno di essi abbia affermato “di conoscere con quale modalità era stato consentito a Tripodo di concludere a suo tempo l’affare”. Sempre le intercettazioni dimostrano senza alcun dubbio come il notaio Tripodo, oltre ad essere il proprietario dell’immobile, ed in quanto tale l’unico diretto beneficiario dell’iniziativa intimidatoria in danno dei residenti, avesse in passato incaricato altri pregiudicati, come Giuseppe Vallecchia, al fine di ottenere l’immediato sgombero del suo stabile.
I rapporti fra il notaio Tripodo e gli esponenti di vertice della famiglia mafiosa di Resuttana, in particolare Messina, sono emersi in relazione a tre vicende, la prima relativa a un edificio ecclesiastico, la seconda relativa agli appartamenti della via Patti e la terza ai quattro appartamenti di via Alaimo Da Lentini, acquistati dal Notaio.
Sempre dalle intercettazioni emerge il rapporto tra Giovanni Quartararo, socio della “ESSENZE SHOES srl”, proprietaria di diversi negozi di calzature siti in diversi quartieri del capoluogo e diversi mafiosi della famiglia di Resuttana. Rapporto estremamente ambiguo, quello tra l’imprenditore e la famiglia di Resuttana, tanto che lui il gip ha ipotizzato il concorso in associazione di stampo mafioso ed estorsione aggravata dal metodo mafioso Messina.
Gli investigatori hanno accertato il capillare controllo delle imprese di pompe funebri operanti all’ospedale di Villa Sofia, storicamente appannaggio esclusivo della cosca mafiosa di Resuttana. Dalle intercettazioni emerge che, oltre all’agenzia di pompe funebri del pregiudicato Salvatore D’Ambrosio, anche l’agenzia di “Pompe Funebri Chiofalo” fosse soggetta al controllo e alle perduranti richieste estorsive della famiglia mafiosa di Resuttana e che sia stata messa in atto una tentata estorsione aggravata nei confronti di Lucia Calafiore, proprietaria di altra agenzia di pompe funebri.
Dalle intercettazioni emerge che Giannusa e il sodale Mario Napoli si occupavano direttamente della riscossione delle somme richieste alle imprese di pompe funebri. Tra le minacce operate dalla consorteria mafiosa nei confronti degli imprenditori del settore pompe funebri, anche quella dell’impossibilità di lavorare nel territorio d’influenza della famiglia mafiosa se non avessero ottemperato alle richieste estorsive.
Le società oggetto del sequestro preventivo.
Due sono le società per le quali, nell’ordinanza, sono richiesti i sequestri preventivi. Si tratta della “ALMOST FOOD srls”, con esercizio commerciale in via San Lorenzo n. 24/A, in via Catullo 13, nella borgata marinara di Sferracavallo e in via Mattei nella località palermitana di Mondello, tutte a insegna “Antica Polleria Savoca dei F.lli Alerio” e della società “GBL FOOD srls”.
Secondo il gip Pilato “sussistono i presupposti normativi per procedere al sequestro preventivo delle società poiché “questi, al di là delle intestazioni formali, sono risultate essere nel controllo e nella disponibilità di Benedetto Alerio, del fratello Giuseppe, di Giuseppe Mesia e Salvatore Genova” e che “può affermarsi che tali attività economiche siano totalmente controllate dalla famiglia mafiosa di Resuttana e dal suo capo Genova, e, proprio in virtù di ciò, abbiano trovato opportunità di espansione economica, mediante l’apertura di nuovi punti vendita, possibilità imporre ai fornitori prezzi ritenuti più vantaggiosi e, ovviamente, godere della protezione mafiosa”.