Lo sfruttamento del lavoro in agricoltura è una piaga che colpisce migliaia di lavoratori, soprattutto migranti. Condizioni di lavoro precarie, orari massacranti, salari da fame e mancanza di tutele sono solo alcuni dei soprusi che questi lavoratori subiscono quotidianamente. Il caporalato, sistema di intermediazione illegale che alimenta lo sfruttamento, crea una situazione di dipendenza e vulnerabilità in cui i diritti umani vengono calpestati.
Mentre è stato arrestato Antonello Lovato, il datore di lavoro di Satnam Singh, bracciante indiano abbandonato davanti alla sua abitazione con un braccio tranciato, morto per le conseguenze dell’emorragia, le inchieste per sfruttamento lavorativo aperte dalle Procure italiane aumentano esponenzialmente. Il padre di Antonello Lovato, Renzo, era indagato dal 2019 per reati di caporalato e sfruttamento della manodopera.
Dal “V Rapporto sullo sfruttamento lavorativo e sulla protezione delle sue vittime” realizzato dal centro di ricerca L’altro diritto e dall’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai Cgil, emerge che le inchieste censite in tutta Italia siano 834. I dati indicano una crescita dei casi di sfruttamento lavorativo rilevati fino al 2020, che sembra arrestarsi a partire dal 2021. Aumentano i casi e diminuisce il gap tra il Nord ed il Sud Italia. Mentre si riduce il divario tra i casi registrati nel Mezzogiorno rispetto a quelli nel resto del Paese. A registrare il numero più elevato di inchieste per sfruttamento lavorativo è il Meridione, col 45% dei casi, seguito dal Nord col 28% e dal Centro col 27%. Ma la tendenza indica una progressiva riduzione della forbice tra i casi del Nord e del Centro con quelli del Sud Italia, almeno a partire dal 2020.
Negli ultimi anni, casi di sfruttamento sono emersi anche nel ragusano, nella “fascia trasformata”. Lavoratori ghanesi e nigeriani sfruttati, pagati un euro l’ora e che dovevano restituire parte del salario, in contanti, al “datore di lavoro”. Inoltre vivendo in condizioni igienico sanitarie pessime, senza acqua e senza riscaldamento.
Da anni, Flai Cgil Ragusa denuncia casi di sfruttamento degli immigrati che lavorano per pochi spiccioli ed operano senza garanzie. Sottosalario, lavoro nero, negazione dei diritti della persona sono i fenomeni più diffusi. Per approfondire la questione, abbiamo intervistato Salvatore Terranova, segretario generale Flai Cgil Ragusa. “Nel nostro territorio, purtroppo, è largamente diffuso il fenomeno dello sfruttamento lavorativo – ha detto Terranova al QdS -, di italiani e stranieri in condizioni di vulnerabilità o difficoltà, costretti a lavorare anche 15 ore al giorno per ottenere paghe misere di 25/30 euro al giorno. Alcuni lavorano in nero, senza un regolare contratto, altri vengono assunti con contratti a tempo determinato. Nelle buste paga vengono conteggiate tra le dieci e le undici giornate lavorative al mese, condizione che gli permette la possibilità di ottenere l’indennità di disoccupazione, ma nella realtà lavorano anche 25/26 giorni al mese. Nella sola provincia di Ragusa ci sono circa 28mila lavoratori agricoli, la cui maggior parte vive in una condizione di sotto salariato”.
“L’agricoltura è cambiata – ha sottolineato il segretario -, non è stagionale ma quella attuale è prevalentemente industriale, perché si lavora undici mesi all’anno su dodici. Quello che chiediamo alle istituzioni è perché non si possano assumere braccianti a tempo indeterminato. Occorre una riforma del contratto nazionale, l’agricoltura può essere equiparata ad altri settori, e lo strumento di assunzione prevalente deve essere quello a tempo indeterminato. Seguendo questa strada, molti casi di sottosalariato e quindi di sfruttamento, secondo me, andrebbero a scomparire”.
“Il fenomeno dello sfruttamento dei lavoratori, in alcuni casi è chiaro – ha aggiunto Terranova -. Quando il funzionario di qualche istituzione analizza delle buste paga di lavoratori di aziende che generano volumi di affari di svariati milioni di euro, con enormi estensioni di terreni che per essere lavorati hanno bisogno di un determinato numero di personale e di determinati giorni lavorativi, ed invece risultano lavorate pochissime giornate, come è possibile non porsi un interrogativo? Ho proposto di istituire in Prefettura una commissione per il rientro nella legalità delle aziende che volessero mettersi in regola, affinchè si attengano alle disposizioni della normativa dell’ordinamento del lavoro”. “Lo sfruttamento del lavoro è duro a morire – ha concluso Salvatore Terranova -. A fronte del continuo emergere di casi è inaccettabile la carenza di ispettori del lavoro e la sostanziale indifferenza delle istituzioni. È necessaria una presa di posizione per il rispetto dei diritti e della dignità dei lavoratori”.
Anche Confagricoltura è intervenuta sul tema della sicurezza sui luoghi di lavoro e del rispetto dei diritti dei lavoratori che secondo loro sarebbero prioritari e andrebbe affrontati attraverso una forte sinergia tra Organizzazioni di categoria, imprese, sindacati e organi di sorveglianza. Abbiamo dato voce all’organizzazione di tutela e di rappresentanza delle imprese agricole, sentendo il parere del presidente di Confagricoltura Ragusa, Antonino Pirrè.
“Come Confagricoltura Ragusa, siamo fermamente impegnati nel contrastare l’indegna forma di sfruttamento e di intermediazione illecita della manodopera rappresentata dal fenomeno del caporalato – ha detto al QdS Antonino Pirrè -. Chi si associa alla nostra Unione Provinciale, sottoscrive un codice etico che vede nel caporalato una pratica da combattere, ponendo il rispetto per i diritti dei lavoratori come una pre-condizione per far parte della nostra Organizzazione. Inoltre, abbiamo siglato un importante accordo di collaborazione con la Prefettura di Ragusa e altre istituzioni competenti, per mettere in campo azioni concrete volte a debellare il caporalato. Riteniamo infatti che, solo attraverso una sinergia tra pubblico e privato, e un rafforzamento dei controlli in modo più funzionale e mirato, si possa arginare questo fenomeno”.
“Lavorare sulla prevenzione è fondamentale – ha precisato Pirrè -, migliorando la pianificazione e la gestione dei flussi di manodopera stagionale in agricoltura. Ciò richiede un maggiore coordinamento tra le istituzioni e le associazioni di categoria, per garantire condizioni di lavoro dignitose e alternative valide all’intermediazione illecita. Confagricoltura Ragusa è in campo per continuare a dare il proprio contributo in collaborazione con le istituzioni competenti sulla tematica, promuovendo la Rete del lavoro agricolo di qualità e sistemi di certificazione etica dei prodotti, al fine di aumentare la trasparenza e la legalità nel settore”. “Siamo convinti che solo attraverso un impegno sinergico si possa contrastare attivamente il caporalato e garantire il rispetto dei diritti dei lavoratori agricoli”, ha concluso Antonino Pirrè.
Proprio ieri alcuni controlli straordinari del Comando Carabinieri per la tutela del lavoro e dell’Ispettorato nazionale del lavoro, nell’ambito del contrasto al caporalato, ha permesso di scovare 206 aziende irregolari su 310 controllate (pari al 66,45%), mentre i lavoratori controllati sono stati 2.051, rispetto ai quali 616 di essi sono risultati irregolari (30,03%) e, in particolare, di questi ultimi 216 sono risultati completamente “in nero” (10,53%). Dieci persone sono state denunciate, tra le province di Latina, L’Aquila, Torino, Cuneo, Rieti e Caltanissetta per il reato di caporalato.
ROMA – La piaga dello sfruttamento del lavoro e del caporalato continua a mietere vittime sul territorio nazionale. Persone sfruttate, vite spezzate da condizioni di lavoro disumane, un fenomeno che si insinua nei confronti di soggetti come migranti, donne e minori che si trovano in condizioni di difficoltà. Nel 2016 veniva approvata la legge 199 per il contrasto al caporalato e allo sfruttamento del lavoro. Sono passati ormai otto anni in cui si sono susseguiti migliaia di processi con centinaia di arresti che hanno fatto emergere quanto sia diffuso lo sfruttamento. Tra i “padri” di questa legge, vi è Bruno Giordano, magistrato di Cassazione ed ex direttore dell’Ispettorato nazionale del lavoro, siciliano di Vittoria, che da anni è impegnato sulla sicurezza del lavoro.
“Questi otto anni di applicazione della legge 199 hanno dimostrato che la realtà dello sfruttamento del lavoro esiste in molti campi, non solo nelle campagne e nei cantieri edili – ha dichiarato Giordano al QdS -. Ci sono ancora delle norme che devono essere applicate, ma in gran parte ha dato degli ottimi risultati. Prima dell’entrata in vigore di questa legge c’erano stati soltanto una trentina di processi in materia di caporalato. Con questa legge siamo nell’ordine di migliaia di processi aperti in tutte le procure della Repubblica e centinaia di arresti e di condanne. Da ciò è emerso un quadro criminale molto diffuso in tutto il territorio italiano, non soltanto nelle regioni del Sud, e non soltanto in agricoltura. Lo sfruttamento è diffuso in molti settori, in edilizia, in agricoltura, nella logistica, nei servizi alla persona, nel turismo. È evidente che oggi abbiamo una fotografia completa delle condizioni di lavoro particolarmente disagiate nel nostro Paese e caratterizzate dallo stato di bisogno del lavoratore. Lo sfruttamento del lavoro è caratterizzato da una da parte dal datore di lavoro che approfitta di una condizione di vita disagiata del lavoratore, e dall’altro da chi versa in uno stato di bisogno per cui è costretto ad accettare delle condizioni di lavoro che, altrimenti, non accetterebbe. Quando in un settore vastissimo come l’agricoltura o l’edilizia avvengono di frequente delle violazioni contrattuali è ovvio che viene meno tutto il regime del diritto e delle tutele del lavoro. Chi è sottoposto ad una condizione di sfruttamento non ha diritti sociali e sindacali”.
La morte atroce del bracciante Satnam Singh dimostra quanto sia diffuso il fenomeno di persone che vivono in condizioni di sfruttamento: lavorano fino a 15 ore al giorno, senza tutele, e con una paga di pochi euro all’ora. “Dove vi è sfruttamento, vi è violazione della sicurezza – ha sottolineato Giordano -, come dimostra il caso di Satnam Singh, successo nell’Agro Pontino. Irregolarità e incidenti sul lavoro possono coincidere. Quando parliamo di sfruttamento, parliamo innanzi tutto di lavoro nero e parliamo anche di lavoro insicuro che produce un notevole incremento di infortuni. Chi sfrutta non pensa a tutelare la salute del lavoratore, cioè a fornirgli mezzi di prevenzione protezione, perché già questo sarebbe un costo maggiore da sostenere”.
I casi di sfruttamento sono in aumento sia al Nord che al Sud. La “fascia trasformata” non è esente da tale fenomeno, un territorio lungo circa 80 chilometri, che si estende da Licata, nell’agrigentino, fino a Pachino, nel siracusano, in cui le attività agricole tradizionali, a partire dagli anni Sessanta, sono state sostituite da quelle intensive per aumentare la produzione e la redditività.
“Il tema dello sfruttamento nell’area della fascia trasformata siciliana è comune ad altre zone d’Italia di cui ho avuto modo di occuparmi – ha precisato il magistrato -. Zone come ad esempio il trapanese, il foggiano, il Tavoliere delle Puglie, le langhe, la zona del Chianti, sono delle aree in cui vi è una forte presenza di agricoltura intensiva che necessita di manodopera. Lo sfruttamento del lavoro è una costante delle aree economiche avanzate, non delle aree economiche depresse in cui il bisogno di manodopera è calante. Il fatto di cronaca di Satnam Singh dimostra che al di là della violenza, delle disumanità dell’accaduto, si parla di un lavoratore di un’azienda con un fatturato di oltre un milione di euro, e che, inoltre, era stata sovvenzionata con fondi europei. Quindi, in questo caso, non possiamo parlare di un’azienda disperata o in fallimento, ma di un’impresa ricca che lo diventa sempre di più sfruttando i lavoratori. Questo vale anche per l’economia della fascia trasformata siciliana. Non è più accettabile il ricatto occupazionale”.
Un punto chiave della sicurezza sul lavoro è rappresentato dalla prevenzione degli incidenti e dalla repressione dei comportamenti errati. A vigilare che le aziende rispettino le norme sulla sicurezza nelle campagne, nei cantieri, nelle fabbriche e negli uffici è l’Ispettorato Nazionale del Lavoro. Mancano, però, all’appello gli ispettori del lavoro. “In Sicilia l’Ispettorato del Lavoro fa capo alla regione, ha effettivamente un organico ridotto, circa 45 ispettori, a un numero insufficiente per poter affrontare qualsiasi attività ispettiva, per questo in tutte le attività economiche siciliane la regola è non essere in regola – ha concluso Bruno Giordano -. Nella provincia di Ragusa c’è un solo ispettore rimasto operativo per tutto il territorio. I controlli sono materialmente impossibili, ma non possiamo arrenderci all’illegalità”.