Come sappiamo, nei giorni scorsi, i pagamenti col bancomat sono stati bloccati a causa di una problematica nella rete di Worldine che comunque, a quanto pare, si è risolta. E proprio alle carte digitali Unimpresa ha dedicato uno studio, uscito di recente, dal quale emerge che nel 2023 in Italia al bancomat sono stati prelevati 360 miliardi, una cifra maggiore di dieci mila euro rispetto al 2022. Analizzando i dati della Banca d’Italia, il report evidenzia anche come la nostra penisola sia invece in fondo alla classifica per pagamenti digitali con un totale di 199,5 operazioni pro-capite. Come stanno le cose in Sicilia sul fronte dei pagamenti con il bancomat?
Il QdS.it ne ha parlato con Giuseppe Spadafora, coordinatore regionale di Unimpresa Sicilia.
Per la Sicilia che dati ci sono sui prelievi al bancomat?
“A carattere generale, per prelievi bancomat, utilizzo pos, quindi tutti gli strumenti elettronici siamo fra gli ultimi posti in Italia. Su una scala da uno a dieci siamo posizionati, se non ricordo male, a 5,33 e sotto di noi ci sono soltanto la Puglia, la Campania, la Basilicata e la Calabria. Questo perché abbiamo anche un tessuto sociale un po’ diverso rispetto, ad esempio, alla Lombardia con un tasso di persone anziane più alto rispetto ad altre regioni. Questo cosa vuol dire? L’utilizzo degli strumenti elettronici, del pos e altri, è molto più favorito nelle fasce di età che vanno dai 18 ai 40 anni e trovano avvantaggiate quelle regioni dove c’è una gioventù un po’ più consistente rispetto alle regioni del Sud Italia”.
E il pagamento con carte di credito in Sicilia quanto è esteso? Ci sono dei numeri a tal proposito?
“Il pagamento, a carattere generale, rispetto alla totalità delle transazioni che vengono effettuate con i sistemi tradizionali, è fermo al 12%, quindi, ogni 100 transazioni che vengono effettuate tra assegni, bonifici e altri strumenti, l’11% è relativo a transazioni effettuate con strumenti di altra natura. Il pos è una particolarità perché molte transazioni, a livello commerciale, effettivamente vengono effettuate con quello tradizionale: col pin da inserire per intenderci. Ma negli ultimi due anni specialmente, con l’ammodernamento dei sistemi software avvenuto all’interno delle banche, sono stati agevolati moltissimo e in questa fascia c’è un incremento effettivamente anche in Sicilia dell’utilizzo dei pos per le transazioni di piccola entità, sotto i 50 euro, perché non è necessario inserire il pin. Ma ancora, rispetto al resto d’Italia e più in generale rispetto all’Europa con il pagamento elettronico siamo molto indietro”.
Le persone anziane in Sicilia sono quelle che ancora utilizzano maggiormente i contanti. Potrebbe indicarci qualche dato?
“Le regioni del Sud hanno un numero più alto di residenti anziani e di conseguenza il tasso di utilizzo dei bancomat è minore rispetto ad altre regioni, o per mancata conoscenza o perché ormai hanno l’abitudine che è difficile da cambiare. Il dato è questo. Poi c’è anche la volontà dell’utilizzo del contante perché il tessuto sociale ritiene molto più sicuro utilizzare il contante rispetto alla transazione attraverso il pos, attraverso gli strumenti elettronici. È un atteggiamento secondo me molto condivisibile, non tanto per la sicurezza dello strumento considerando che i pagamenti con gli strumenti elettronici sono super sicuri, quanto perché da noi manca la coscienza, a livello politico, dell’utilizzo del contante”.
A livello nazionale, l’utilizzo del bancomat sta superando quello dei contanti?
“Si cerca di togliere il contante quando, come in Germania, il suo utilizzo non ha limite. Solo in Italia c’è questa idiosincrasia nei confronti del contante, che è una ‘baggianata’ enorme perché, se si vuole combattere l’evasione fiscale non è con l’utilizzo del contante che questa si previene. Si cerca di fare diventare un ‘mantra’ l’utilizzo dello strumento elettronico celando le vere motivazioni con il fatto che nel 2024 è molto più agevole e agile: ed è vero, anche perché grazie alle applicazioni si acquista tutto con le carte di credito; questo però non vuol dire escludere completamente l’utilizzo del contante, uno strumento che ha creato ricchezza”.
“Ormai, con i sistemi di accertamento che ci sono presso tutti i commercianti, a ogni scontrino che viene rilasciato, il tracciamento arriva automaticamente all’Agenzia delle Entrate; quindi, la certificazione dell’avvenuto pagamento attraverso strumenti validanti esiste. Togliere il contante non fa altro che favorire ancora di più gli istituti di credito, che massificano ancora di più i loro guadagni. L’atteggiamento degli anziani che per qualsiasi cosa preferiscono il contante o il blocchetto degli assegni o vanno in banca a prelevare la pensione invece che allo sportello delle poste è tutto sommato sano”.
Il 30% dei siciliani utilizza gli strumenti di pagamento digitali
Si conosce la percentuale di coloro che utilizzano le carte digitali tra chi è più avanti negli anni?
“Per quanto riguarda la Sicilia, nella fascia di età tra i 18 e i 40 anni, il 56% che si serve degli strumenti digitali utilizza questo strumento; nella restante parte, tra i 40 anni e i 50 c’è circa un 15%-20% e un 20%-25% nella fascia di età oltre i 60 anni che utilizza il contante. Ripeto, la percentuale all’interno di chi utilizza questi strumenti è bassissima rispetto alla popolazione. In Sicilia siamo più di cinque milioni ma l’utilizzo degli strumenti digitali è appannaggio di circa il 30% della popolazione”.
Qual è l’importanza degli sportelli in Sicilia (visto che i prelievi sono frequenti, soprattutto fra gli anziani) e cosa si fa per prevenire la scomparsa del servizio?
“Purtroppo, sono politiche che dipendono da centri di coordinamento esterni alla Sicilia. Alle banche, specialmente quelle grandi, interessa poco del dato sociale e delle necessità del territorio. A loro interessano altri aspetti, si muovono con logiche di business completamente diverse dalle necessità del cittadino per cui si cerca di accorpare gli sportelli per ridurre i costi e questo ovviamente diventa un problema per realtà come la Sicilia, la Sardegna e la Calabria che sono regioni molto parcellizzate dal punto di vista delle comunità”.
In quali zone gli accorpamenti creano maggiori problemi?
“La banca è un’azienda, chiaramente deve fare gli interessi economici dell’azienda e da questo punto di vista gli accorpamenti fanno parte di una logica volta a massificare i guadagni ed è un atteggiamento comprensibile; quello che non comprendo è la completa desertificazione. In alcune zone d’Europa, ad esempio, anche se non c’è lo sportello bancario ci sono degli Atm distribuiti che consentono di effettuare delle operazioni a prescindere dallo sportello stesso. Detto ciò, in alcuni Comuni con popolazioni di qualche migliaio di abitanti, per effettuare una transazione o se è necessario recarsi in banca a risolvere un problema, bisogna mettersi in auto e fare chilometri per arrivare allo sportello più vicino anche per problemi banali come la consegna del blocchetto di assegni. In alcuni Comuni le banche mancano ormai fisicamente”.
Ci sono dati sulla “scomparsa” degli sportelli e sulla desertificazione bancaria?
“Certo che ci sono. Ormai rispetto a 15 anni fa andiamo oltre il 50% di sportelli in meno con punte del 70% in alcune zone più interne. A livello città, nei capoluoghi di provincia, la media è del 50%, mentre a livello di comuni all’interno delle province, si arriva a punte del 70% e anche dell’80%”.
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