A Palermo sembra di essere in quei film anni Settanta, con Maurizio Merli: c’era una serie che coinvolgeva Milano, Roma, Napoli, in cui la violenza dilagava.
Era nello stesso filone americano dell’ispettore Callaghan-Eastwood. Ma Palermo in quegli anni era esclusa, la mafia controllava, mandamento per mandamento, e la violenza era solo mirata al controllo di cosche e affari, non era gratuita ed estemporanea. Si sparava per soldi, non per narcisismo violento, per machismo, per un’occhiata di troppo a una ragazza. L’altra sera invece in via Gaetano Daita è scoppiata una rissa nel pieno della movida, non è la prima, conclusasi con una sparatoria. Nessuna vittima per fortuna, ma fine dell’idea di una città estranea ad alcune tendenze diffusesi altrove.
A Palermo si stupra (eclatante è il caso di quest’estate), si picchiano i poliziotti, si smercia crack a più non posso, si accoltella, si usa violenza su anziani ed autisti di autobus nei mezzi pubblici, ora si spara. Come in un OK Corral in salsa agrodolce, quella della caponata. La mafia per esaurimento finanziario, e per la repressione dello Stato, si è ritirata a macchia di leopardo dal territorio, ma nessun altro ha preso il controllo. Se qualche poliziotto, vedi alla Vucciria, si mette in mezzo rischia di essere linciato da folle di ragazzi, spesso minorenni.
Mi secca dare ragione a Vannacci, ma l’Operazione Strade Sicure, con l’esercito di pattuglia, era molto precedente al generale dei Parà. Senza un controllo reale, fisico, del territorio si liberano istinti incontrollati e la solita, rituale e ormai stantia prevenzione tramite le scuole, lascerebbe solo il tempo che trova.