La giustizia bloccata dall’emergenza Coronavirus, con difficoltà a ripartire a causa dei protocolli differenti tra i vari tribunali e il rinvio dei processi. A Palermo sono 10.800 i procedimenti penali rinviati nel periodo del lockdown (9 marzo-11 maggio) ed entro luglio saranno, secondo una stima, circa ventimila.
A tutto ciò si aggiungono le lunghe code che gli avvocati sono costretti a fare in tribunale e l’impedimento nello svolgere anche le azioni più semplici come notificare un atto. Senza dimenticare le crescenti difficoltà economiche denunciate dai professionisti: solo a Palermo sono stati circa tremila (il 60 per cento) a chiedere il bonus Coronavirus.
“La giustizia è ferma” hanno fatto sapere dall’Organismo congressuale forense nel corso di una conferenza on line con il presidente del consiglio dell’Ordine degli avvocati di Palermo, Giovanni Immordino, il delegato alla Cassa forense del Distretto della Corte di Appello di Palermo, Pietro Alosi, il presidente dell’Unione dei fori siciliani Giuseppe Di Stefano e il delegato all’Ocf (Organismo congressuale forense) del Distretto della Corte di Appello di Palermo, Accursio Gallo.
“Nonostante l’uso delle tecnologie – ha detto Immordino – e la continua e apprezzata collaborazione con i capi degli uffici giudiziari, il sistema stenta a ripartire. Come si fa a condannare un imputato a trent’anni senza guardare negli occhi giurati, avvocati e pm? Per non parlare delle code che si formano per entrare nell’Ufficio notifiche, con il sistema telematico saltacode non ancora attivato. Chiediamo la possibilità di rientrare nei tribunali: non si capisce perché si possa andare in discoteca e non nelle aule giudiziarie”.
Attualmente l’autorità centrale ha demandato a quelle locali le decisioni, con la conseguenza che ci sono protocolli differenti in ogni tribunale. “Le udienze – ha sottolineato il delegato all’Ocf del Distretto della Corte di Appello di Palermo, Accursio Gallo – sono rinviate al 2021, a volte al 2022. Non si sa ancora quando riprenderà la normalità”.
Per il presidente dell’Unione dei fori siciliani, Giuseppe Di Stefano, “va sicuramente salvaguardata la tutela sanitaria, ma occorre tornare a lavorare in maniera concreta. È rischioso non amministrare giustizia e non dare risposte ai cittadini: ci saranno altri tribunali che funzioneranno al posto di quelli ufficiali, soprattutto in Sicilia”.