No profit

“Palermo è fimmina”, per una “vera” rappresentazione della donna

“Palermo è fimmina” è un progetto che mira a incrementare la presenza della donna nello spazio pubblico e a migliorarne la rappresentazione, costituendo al contempo una diversa narrativa sulle donne che faccia emergere le importanti figure femminili legate alla città di Palermo.  Finanziato da “Agenzia Nazionale Giovani” nell’ambito del programma “European Solidarity Corps”, il progetto coinvolge volontarie di età compresa tra i 18 e 25/26 anni, aprendo il dibattito sulla violenza di genere in tutte le sue forme. A illustrare al Qds gli obiettivi e le finalità di “Palermo è fimmina” c’è Emma Esini, referente di “Maghweb”, associazione promotrice che si occupa prevalentemente di informazione e comunicazione per la cooperazione internazionale e le attività sociali.

Com’è nato il progetto “Palermo è fimmina”?

«Noi di Maghweb ci siamo già occupati di violenza di genere, infatti, abbiamo partecipato al progetto di respiro internazionale “The Sound of Silence”, in collaborazione con India e Colombia, sviluppato sulla comunicazione in merito alle tematiche di genere e alla violenza di genere. Pertanto, abbiamo deciso di lavorare sulla comunicazione e sul rapporto tra la donna e lo spazio pubblico in un progetto locale, che coinvolgesse delle volontarie. Siamo partiti da un assunto molto semplice, cioè la scarsa rappresentazione della donna nello spazio pubblico e l’assenza quasi totale di piazze o spazi pubblici intitolati a donne. Spesso la nostra unica rappresentazione presente è quella della pubblicità, in cui non viene raffigurata una donna ma soltanto un corpo. Questa situazione genera scarsa autostima nella popolazione femminile. Andiamo, quindi, a rintracciare e combattere lo stereotipo che vuole la donna appartenente all’ambiente domestico e angelo del focolare, mentre l’uomo va fuori».

Come pensate di ampliare la consapevolezza rispetto al fenomeno del cat-calling?

«Il cat-calling, cioè le molestie di strada, si verificano perché l’uomo (un po’ generalizzando, ovviamente) percepisce lo spazio pubblico come suo e si sente autorizzato a fare questi commenti più o meno espliciti verso le donne, perché lei lì è un’intrusa. Lavorando sul rapporto tra la donna e lo spazio pubblico, secondo noi, si può anche arginare un fenomeno come questo».

Quanto dura il progetto?

«È partito a novembre del 2020 e avrà una durata di 12 mesi. Con le ragazze abbiamo avviato subito un percorso laboratoriale, che per fortuna abbiamo potuto fare in presenza, creando uno spazio con momenti di condivisione. Poi abbiamo deciso di lanciare, in occasione del 25 novembre, la pagina Instagram di “Palermo è fimmina” in cui proponiamo contenuti che possono essere utilizzati quando si trattano queste tematiche, sono strumenti utili anche per professori o educatori che vogliano servirsene».

Come vi state muovendo in periodo di lockdown?

«Quando abbiamo potuto siamo uscite a parlare con i palermitani (donne e uomini), per creare video e reportage. Durante questo periodo stiamo animando la pagina in altro modo, ogni mercoledì ad esempio pubblichiamo una rubrica che si chiama “Leggere tra le righe” in cui si consigliano i libri da leggere per approfondire temi legati al femminismo. Inoltre, curiamo un’altra rubrica dal titolo “Consigli non richiesti” con podcast, film, serie tv, newsletter. Tutto materiale che possa aiutare a sviluppare consapevolezza sulle tematiche di genere. Quando potremo faremo azioni sul campo ed inizieremo con le passeggiate urbane al femminile nel centro storico, scandite da tappe e itinerari. Una specie di tour guidato che vuole dare visibilità ai personaggi femminili del panorama palermitano e siciliano».

Il target verso cui vi proponete è quello di Roberta Siragusa, come avete parlato del tragico evento che ha messo fine alla sua vita?

«C’è stato un dibattito importante, e alle fine l’obiettivo del progetto è proprio questo, che ci sia un confronto tra le volontarie. La riflessione si è concentrata maggiormente su due aspetti. In primis, sono state chiarite le modalità con cui succedono queste cose, infatti, piano piano venivano fuori le testimonianze degli amici, dei familiari, del parroco che hanno disegnato un quadro già allarmante. Nei nostri colloqui, abbiamo cercato di dare più ampio spazio alla vittima che al carnefice. Poi l’attenzione si è concentrata su come questo evento sia stato raccontato dai media. Onestamente sentire parlare di “raptus di gelosia” nel 2021, quando è ormai appurato che la violenza sulle donne è un fenomeno strutturale, ci ha lasciato l’amaro in bocca».

Sonia Sabatino