Dicono esista da qualche parte nel ventre di un monte una grotta magica che offre tesori in cambio del sangue degli uomini. Altri ancora raccontano di creature deformi – o senza forma – che vivono negli specchi d’acqua di pozzi abbandonati e rubano il viso degli incauti che si sporgono per scorgerne le fattezze; ci sono poi cadaveri che tornano in superficie per vendicarsi dei vivi, donne asfissiate che sembrano morte e non lo sono e riappaiono in veste di fantasmi, e ancora serpenti enormi come draghi, sirene che portano sventure, sacrifici umani, satanassi di ogni specie e forma, tesori, spiritati, posseduti, neonati urlanti che inglobano la realtà, bocche per l’inferno.
I mille sussurri popolari di queste e altre storie sono giunti fino a noi grazie al lavoro di Giuseppe Pitrè (1841-1916), medico, folklorista, scrittore, docente universitario, politico, autore di svariati studi e protagonista di pionieristiche raccolte sugli usi e i costumi isolani, sulle fiabe e novelle popolari, sui proverbi. Un impegno che si contestualizza “nella generale attenzione per le tradizioni popolari delle civiltà europee che si registrò in tutta Europa già nell’Ottocento – scrive Loredana Bellantonio in Pitrè dal folklore all’antropologia, edito da Palermo University Press -, e che ricevette un forte impulso grazie all’esaltazione romantica di popolo quale ‘anima della nazione, spontaneo e autentico, depositario di saggezza avita, in opposizione al sapere delle classi superiori la cui cultura appariva artificiosa e spuria”.
Nella marea montante della produzione pitreiana, da sempre al centro delle attenzioni di studiosi e appassionati, c’è una deliziosa “porzione fantastica”, sintetizzata in apertura, che, da qualche anno a questa parte, ha calamitato, anche in forme nuove rispetto al passato, l’attenzione di editori e scrittori: il capitolo specifico si chiama “Esseri soprannaturali e maravigliosi” e si trova al volume quarto della monumentale Usi e costumi credenze e pregiudizi del popolo siciliano. Con qualche accorgimento editoriale sarebbe già da sé una perfetta guida al mostruoso isolano, un breviario che procede tramite una serie di paragrafi stringatissimi e anticipati dal nome della creatura di riferimento: le anime dei corpi decollati, le anime condannate e gli spiriti, gli spiritati, i morti e la vecchia strina, il diavolo, le streghe, le donni di fuora – qui c’è la storia del Curtigghiu di li setti Fati che ha ispirato Nadia Terranova per Il cortile delle sette fate pubblicato da Guanda -, le fate, la monacella della fontana, la sirena, il lupo mannaro e l’elenco potrebbe continuare ancora.
Poi c’è la mappatura dei tesori nascosti, le cosiddette “truvature” e ancora incantesimi, malefici e tutto un campionario di storie che oggi sarebbero, e in parte lo sono diventati, degli spunti ineguagliabili per romanzi e racconti folk horror o da gotico rurale, per dirla alla Eraldo Baldini. Scartabellando virtualmente queste storie – l’opera pitreiana è ormai digitalizzata -, ci si trova di fronte a uno sfavillante “pozzo di meraviglie” (ed effettivamente Il pozzo delle meraviglie è il titolo di una raccolta di oltre 300 novelle e racconti popolari siciliani di Pitrè edita da Donzelli nel 2021). A me ricorda, per spirito e struttura, un lavoro decisamente più recente e dell’altra parte del mondo: “Enciclopedia dei mostri giapponesi” ed “Enciclopedia degli spiriti giapponesi”, entrambi editi da Kappalab in Italia, di Shigeru Mizuki, mangaka, studioso di folklore e specialista di ykai, gli spettri e i demoni della mitologia nipponica. Un tesoro da custodire e lasciare ai posteri per consentire una rigenerazione della tradizione.
È quello che fa Pitrè, in una chiave certamente meno pop di Mizuki e con destinazioni diverse, nella seconda metà dell’Ottocento, animando un universo di creature fantastiche vario e multiforme “che trae alimento dalla mitologia greca ma mostra anche affinità con il folklore nordico – dice Daniela Bombara, docente e ricercatrice di fantastico siciliano -; particolarmente significativo l’approccio antropologico al soprannaturale, che non è inteso come frutto di superstizione ma piuttosto specchio della cultura di un popolo”.
Lo studioso mette assieme “un corpus di credenze ricchissimo – prosegue Bombara -, nel quale sedimentano diverse realtà culturali di area mediterranea e nordica: domina una tendenza al meraviglioso ed una predilezione per eventi inspiegabili e portentosi, per influenza della dominazione araba, ma sono presenti anche elementi gotici di ascendenza anglosassone, in particolare la perturbante contiguità fra realtà dei vivi e creature dell’oltremondo”.
E così il palermitano, con curatele contemporanee, vesti grafiche innovative e illustrazioni, lo vediamo incunearsi nei cataloghi della Spl?n edizioni, ma anche nelle raccolte orrorifiche di Algra editore, permeando inoltre alcuni lavori pubblicati da il Palindromo. In maniera più generale e forse indiretta, si trova – ipotizziamo – anche tra le suggestioni del gotico siciliano di Orazio Labbate. Luigi Musolino, uno dei più apprezzati autori della scena horror e weird italiana, ha scelto la marabbecca, una delle creature rievocate da Pitrè, per un suo racconto di ambientazione siciliana – La Signora delle Cisterne – della raccolta Oscure Regioni pubblicato da Wild Boar Edizioni.
Lo studioso palermitano non ha inventato nulla, ma ha avuto il merito di salvare dall’estinzione centinaia di creature. In un patrimonio che si rigenera di continuo: a fare una ricerca online si scopre che gli esseri descritti da Pitrè hanno ormai preso vie autonome e nei portali che raccolgono le creature del folklore di tutta Italia spesso le sue versioni sono arricchite da dettagli e particolari inediti. Una tradizione che incede in forme nuove e contemporanee – non mi stupirei di vederlo riciclato in qualche creepypasta – anche quando il terreno non è sempre propizio.
“È sorprendente come spesso le credenze raccolte da Pitrè – spiega Fabrizio Foni, docente dell’Università di Malta – siano celebrate come patrimonio culturale siciliano e, al tempo stesso, maneggiate col sorriso della distaccata superiorità, come un bagaglio di spropositi su cui la razionalità ha potuto far sedimentare la polvere. Eppure, alla prima occasione, quelle stesse credenze si riattivano in tutta la loro forza, dimostrando quanto siano in realtà profondamente radicate. Si pensi ad esempio al cosiddetto ‘Samara Challenge’, che nel 2019 ha preso avvio proprio in Sicilia: è impensabile che chi impersonava la spettrale fanciulla della fiction nipponica e, soprattutto, chi se l’è trovata di fronte in strada non abbia pensato, anche solo inconsciamente, alle cosiddette donni di fuora del folclore indigeno”.
Una strada che anima anche la ricerca. Lo scorso anno, nell’ambito del convegno annuale dell’AATI (American Association of teachers of italian) che si è tenuto a Catania, si è svolto il panel “Sicilia oscura e perturbante. Sulle tracce del fantastico siciliano” con ricercatori provenienti da tutta Italia. Ci piace pensare che lo spirito di Giuseppe Pitrè, signore delle creature oscure, abbia abitato le stanze di quell’incontro.