PALERMO – Sulle note dell’Inno d’Italia, il canto degli italiani, eseguito dagli allievi dal Conservatorio di Musica Alessandro Scarlatti, si è aperto l’evento di memoria della Shoah organizzato dalla Prefettura di Palermo ieri, 26 gennaio, nella cornice della Sala Dalla Chiesa di Villa Whitaker. Tra i partecipanti le massime autorità civili e militari, ma l’evento ha visto anche la partecipazione degli studenti del I° Circolo Don Milani di Villabate, della Scuola primaria dell’Istituto comprensivo statale Rosario Livatino di Ficarazzi, dei Licei dell’Educandato statale Maria Adelaide di Palermo, del Liceo scientifico statale Benedetto Croce di Palermo e del Liceo classico internazionale Umberto I di Palermo, che hanno condiviso elaborazioni artistiche e multimediali di loro produzione realizzate sul tema, diventando così i protagonisti della giornata.
“Oggi – ha dichiarato il prefetto Massimo Mariani in apertura dell’evento – è veramente un giorno speciale. Non è assolutamente un passaggio burocratico dovuto. Vivere oggi, nel 2024, il ricordo della Shoah ha un significato molto particolare perché nel Medio Oriente è in atto un conflitto terribile e per quanto questo conflitto ha suscitato e sta suscitando nel mondo occidentale. Sono stati risvegliati dei demoni che credevo fossero stati rimossi dalla nostra Europa. Assistiamo ad attacchi da parte del mondo della cultura con le Università ‘colpevoli’ di avere la sede nello Stato di Israele”.
Rivolgendosi direttamente ai ragazzi, inoltre, il prefetto Mariani ha puntualizzato che è necessario “capire chi siamo, in che cosa crediamo di dover lottare perché, se accettiamo questo possiamo accettare qualunque cosa. Dobbiamo ricordare che, proprio cento anni fa, molti docenti universitari furono costretti ad abbandonare le Università europee perché ebrei. Proviamo orrore per quanto sta succedendo, orrore per le vittime del 7 ottobre ma orrore anche per quelle che ogni giorno si stanno provocando a Gaza. Come occidentali dobbiamo usare le armi della cultura per aborrire tutto ciò”.
Il lavoro realizzato dalle ragazze e i ragazzi ha da subito dimostrato di non essere un banale esercizio di stile ma la dimostrazione che, grazie agli insegnanti, all’interno delle loro aule hanno vissuto un lungo percorso di conoscenza che li ha portati non soltanto a raccontare alcune delle storie degli italiani deportati nei lager ma a incarnarli, indossando una casacca a righe con la stella, come quella che dovevano indossare quanti erano segregati nei campi di concentramento. “La casacca che indosso – ha raccontato al QdS il piccolo Roberto – è come quella che indossavano gli ebrei. Ho visto il film ‘Il bambino con il pigiama a righe’ (adattamento dell’omonimo romanzo di John Boyne, nda) e mi sono emozionato moltissimo. Alla fine mi sono chiesto: perché tanto orrore se siamo tutti uguali?”.
Interessante il confronto presentato tra l’articolo 3 della nostra Costituzione e le Leggi razziali fasciste, quell’insieme di provvedimenti legislativi e amministrativi emanati il 17 novembre 1938 e applicati in Italia fino al 1945, inizialmente dal regime fascista e poi dalla Repubblica sociale italiana, rivolti prevalentemente contro le persone ebree.
Il ricordo delle ragazze e dei ragazzi è andato oltre le possibili opinioni personali e lontano da qualsiasi logica di schieramento, ricordando che il sangue dei morti ha lo stesso colore e, quando è sparso, porta lo stesso dolore, indipendentemente dalla nazionalità.
“Historia magistra vitae – ha detto al QdS la giovane Greta citando Cicerone – e la nostra presenza, qua oggi, vuole testimoniare che siamo pronti a prendere in mano la storia per meglio comprendere gli errori fatti per non commetterli mai più”.
È intervenuta, inoltre, la professoressa Luciana Pepi, presidente dell’Istituto siciliano di Studi ebraici, che ha affrontato il tema della “Memoria della Shoah oggi”. “Viviamo – ha detto – un momento molto difficile e ciò rende più difficile intervenire. Oggi più che mai non dobbiamo appiattire la cultura ebraica soltanto alla Shoah, ma evidenziare che essa è cultura di vita e non di morte”.