PALERMO – Il pre-dissesto, dunque, è realtà. Il Consiglio comunale ha tre mesi di tempo per approvare un Piano di risanamento da novecento milioni di euro in dieci anni. Non rispettare questa scadenza oppure non superare il successivo esame del ministero dell’Interno e della Corte dei Conti comporterà in automatico il dissesto finanziario.
L’Amministrazione Orlando dovrà tagliare tutto quello che si può tagliare (e forse anche aumentare le tasse o vendere immobili o quote azionarie) in un bilancio già di per sé ridotto all’osso per scovare tra gli ottanta e i novanta milioni di euro all’anno da qui al 2031. L’alternativa è un soccorso insperato – normativo (la riscossione fiscale andrebbe completamente riorganizzata), finanziario o entrambi – da Roma.
Un’impresa mica da ridere, soprattutto considerando le tempistiche: Sala delle Lapidi, infatti, ha imposto tempi serratissimi agli uffici. Entro una settimana la Ragioneria generale dovrà presentare una prima bozza delle risorse economiche necessarie, entro trenta giorni la Segreteria generale dovrà inviare all’Aula un’informativa sull’andamento della stesura del piano di riequilibrio ed entro 45 giorni il piano dovrà arrivare in Consiglio, che poi ne avrà altri 45 per l’approvazione definitiva. L’alternativa al pre-dissesto, che può essere revocato o modificato in qualsiasi momento ma che nessuno voterà volentieri a pochi mesi dalle elezioni, sarebbe stato il dissesto, cioè lo scioglimento del Consiglio e l’arrivo di un commissario.
Il paradosso, sottolineato a più riprese in Aula dal ragioniere generale Paolo Bohuslav Basile, è che le cose per Palermo non vanno del tutto male: come si legge nella delibera, “non è mai risultato che l’Ente si trovasse in situazione di deficitarietà strutturale […], a eccezione dell’esercizio finanziario 2018” (situazione superata già l’anno successivo); il Comune “ha sempre fatto fronte, con risorse proprie, al pagamento dei debiti fuori bilancio, e tale fenomeno […] negli ultimi anni si è significativamente ridotto”; e “non ha mai chiuso un rendiconto di gestione registrando un disavanzo di amministrazione”. Tra l’altro, “soprattutto nel corso del 2020, ha già proceduto a una rigorosa revisione della spesa, che ha riguardato anche una riduzione strutturale dei corrispettivi delle società partecipate per un importo annuale pari a 13,6 milioni”.
Il deficit strutturale generato dall’obbligo di accantonamento per il Fondo crediti dubbia esigibilità, però, si è rivelato una montagna troppa alta da scalare: “Al netto del disavanzo da riaccertamento straordinario dei residui, che comporta una rata annuale pari a 13,2 milioni per 30 anni”, a pesare come un macigno sui conti di Palazzo delle Aquile è stato “quello che è risultato al 31 dicembre 2019 a seguito del passaggio dal metodo semplificato al metodo ordinario nel computo del Fcde, pari a 307,8 milioni, per il quale si è fatto ricorso alla facoltà concessa dal dl n. 162 del 2019, che comporta una rata annuale di 20,5 milioni per 15 anni (già stanziata nel bilancio 2020/2022)”. Deficit al quale si è sommato quello una tantum costituito dal Fondo Rischi Spese Legali, incrementato di 73,1 milioni a causa di due sentenze di primo grado (Amia e Immobiliare Strasburgo).
Secondo l’opposizione, però, il passaggio dal metodo semplificato a quello ordinario poteva essere anticipato e l’obbligo di accantonamento per il Fondo rischi spese legali, stando all’emendamento dell’opposizione presentato da Ugo Forello del gruppo Oso, sarebbe stato “sottostimato”: “Già nel 2017 – ha detto in aula Forello leggendo le relazioni dei revisori contabili e della Corte dei Conti – la relazione del Collegio esprimeva una valutazione negativa al rendiconto di gestione perché non condivideva che il Fcde fosse calcolato con il metodo semplificato, seppur consentito dalle norme dell’epoca. La vicenda del Fondo Rischi per i contenziosi, poi, è assurda. Già nel 2018 la Corte dei Conti parlava di una ‘possibile sottostima’ e di ‘criticità inerenti la costituzione del Fondo’ che includeva ‘una serie di voci di importo indeterminato’ e ‘non prendeva in considerazione l’esistenza di alcuni contenziosi in atto di importo significativo’, ad esempio proprio il giudizio inerente la curatela fallimentare dell’Amia. Cosa è stato fatto dal 2018 a oggi? Chi ha vigilato? Dovremmo azzerare l’intera Avvocatura comunale”.
Fratelli d’Italia si è astenuta dalla delibera sul pre-dissesto “che azzopperà la già fragile ripresa economica delle piccole e medie imprese – ha affermato il capogruppo Francesco Scarpinato – e provocherà l’aumento delle tasse e il taglio dei servizi. Una situazione dovuta solo e soltanto al mal governo di questi anni, all’incapacità dell’Amministrazione di risolvere i problemi, all’ostinazione del Professore che, pur di non lasciare la poltrona, ha portato Palermo nel baratro. Orlando non ha più alternative, se ne vada e liberi la città da una pessima amministrazione che i cittadini non meritano”.
Italia Viva “solo per senso di responsabilità – ha detto il capogruppo Dario Chinnici – ha votato una delibera che comunque sancisce il fallimento di Orlando e di un’Amministrazione sorda agli appelli lanciati dalla politica ma anche dalla Corte dei Conti. E siccome è evidente che la Giunta non sarà in grado di presentare un piano credibile, l’unica soluzione sono le dimissioni del sindaco e il ritorno alle urne”.