Palermo

Pudm aggiornato dalla Giunta, la palla di nuovo alla Regione

PALERMO – La Giunta Orlando ha aggiornato il Piano di utilizzo delle aree demaniali marittime o Pudm, uno strumento di pianificazione che serve a gestire il litorale cittadino disciplinandone l’utilizzo pubblico e privato.

La prima versione, emanata nel 2013 durante la prima sindacatura Orlando e approvata dal Consiglio comunale nel 2014, era conforme alle Linee guida regionali dell’epoca, che però nel 2016 sono cambiate. Per questo, la Regione siciliana ha rispedito il Pudm a Palazzo delle Aquile per aggiornarlo. Nel 2019 il Piano è stato ulteriormente integrato con le nuove norme sugli stabilimenti balneari. Le modifiche hanno riguardato la distanza tra gli stabilimenti balneari, il fronte a mare impegnato dalla singola concessione, la dimensione degli stabilimenti, la dimensione delle aree attrezzate per la balneazione e per le pratiche sportive, la dimensione delle concessioni per i punti ristoro e la superficie coperta dei punti ristoro. Gli ultimi ritocchi sono stati apportati l’anno scorso, dopo che la Regione ha evidenziato “carenze documentali e discrasie negli elaborati del Piano”.

Una lunghissima gestazione, insomma, che per di più non è ancora terminata perché ora il documento tornerà alla Regione e poi in Consiglio comunale per il via libera definitivo. Le nuove Linee guida, come evidenziato in una nota di Palazzo delle Aquile, “prescrivono la classificazione dell’ambito da pianificare in aree, zone e lotti. Le aree individuano gli ambiti costieri tendenzialmente omogenei, e cioè con analoghe caratteristiche morfologiche, infrastrutturali e ambientali; le zone sono relative alle parti del litorale, le cui esigue dimensioni dovessero sconsigliare la costituzione di un’area ma per le quali sembra opportuno definire una disciplina specifica; i lotti afferiscono alle porzioni delimitate di superfici (…) che sono, o che sono destinate ad essere, oggetto di concessioni demaniali marittime”.

“Le Linee guida – hanno aggiunto dal Comune – definiscono, inoltre, la distanza minima tra le concessioni e prevedono che siano indicate, nel Piano, le lunghezze del fronte a mare per la libera fruizione e di quello interessato da concessioni demaniali. Tra i contenuti obbligatori si prescrive una quota non inferiore al 50% dell’intero litorale di pertinenza comunale da destinare alla fruizione pubblica, fatte salve le concessioni già rilasciate”.

Il Pudm consente anche di farsi un’idea dello stato di salute del Golfo di Palermo, che si estende per oltre 25 km tra Capo Gallo a ovest e Capo Zafferano a est. Come tristemente noto, dal Secondo Dopoguerra in poi a farla da padrone è stata la speculazione edilizia: ma se negli anni Cinquanta e Sessanta “la crescita urbanistica è avvenuta con un minimo di criterio”, negli anni Settanta e Ottanta “si è avuta l’assoluta anarchia”, tanto che a oggi l’intero golfo “è un susseguirsi di insediamenti abitativi, molti dei quali costruiti a pochi metri dalla linea di costa, intervallati a numerosi grossi collettori fognari legali (almeno cinquanta) e numerosissimi scarichi abusivi”, come si legge nella relazione tecnica.

L’assetto costiero è stato inoltre modificato fortemente per la creazione di diverse discariche abusive, ricettrici di materiale di risulta proveniente dalle demolizioni e dalle macerie urbane, realizzate lungo la fascia costiera (quattro le più grandi), discariche “approntate in periodi diversi a partire dagli anni Cinquanta”, in coincidenza “con la speculazione edilizia” e che “occupano diverse centinaia di metri di costa”. In alcuni casi “tali discariche si innalzano dall’originale quota del piano di campagna di diverse decine di metri per una quantità di materiale di diversi milioni di metri cubi”. Materiale “molto eterogeneo” che si è distribuito “per decine di chilometri. Sono comparse nuove spiagge dove prima esistevano coste rocciose, i fondali sono stati coperti da enormi quantità di materiale di varie dimensioni”.

Dalla foce dell’Oreto, “che è probabilmente il luogo più degradato in assoluto, prende inizio il tratto costiero maggiormente disastrato di tutto il Golfo”. Il litorale originario “è scomparso, ricoperto da coltri di sabbie e fanghi riportati dalle vicine discariche. Queste ultime restano la fisionomia dominante del litorale. Le maggiori di esse, oltre a quelle sulla foce dell’Oreto, sono ubicate alla Bandita e allo Sperone. Esse appaiono come ripide lingue di materiali terrosi della lunghezza di qualche centinaio di metri e dell’altezza di oltre una ventina di metri, elevantisi su un basamento di blocchi di cemento e massi […]. Blocchi litici di varia natura e rifiuti di plastica tappezzano gli arenili artificiali, formati dallo sbriciolamento e ridistribuzione lungo la linea di costa dei materiali di risulta. Pile di copertoni e di oggetti plastica portati dal mare formano gli scheletri delle spiagge artificiali, e affiorano in alcuni tratti in seguito all’abrasione delle onde”.

A causa dei detriti il litorale si è ormai trasformato in “un arenile che arriva fino alla borgata dell’Aspra, dove riappare la bassa scogliera calcarenitica dell’ambiente originario. La sequenza ininterrotta delle costruzioni più o meno abusive fa da sfondo alla linea di costa. Non esistono misure semplici – concludono i tecnici – per l’eliminazione o la neutralizzazione degli effetti distruttivi” sui fondali devastati da discariche e detriti.