Scrive Bonhoeffer (in Etica):
“Chi vuole affrontare il problema di un’etica cristiana deve sottostare ad un’esigenza particolarissima, quella cioè di scartare a priori come irrilevanti le due domande che l’hanno condotto a occuparsi di questioni etiche (“come posso essere buono?” e “come posso fare del bene?”) per sostituirle con la domanda, radicalmente diversa, di quale sia la volontà di Dio. Il senso della ricerca cristiana del bene è la partecipazione al tutto indivisibile della realtà divina!
Con questa messa in discussione dei presupposti tradizionali dell’etica normativa, Bonhoeffer apre la via per una rinnovata fusione tra eticità e azione nel mondo. Ciò che conta è l’azione responsabile del mondo e “solo partecipando alla realtà partecipiamo al bene”. Su questa premessa Bonhoeffer approfondisce, con estrema concretezza, i contenuti dell’azione responsabile. Azione responsabile che non vuol dire adesione o meno a una astratta normativa etica, ma un’adesione e un contributo allo sviluppo della vita. Se il centro è l’azione responsabile nella concretezza della vita di ogni giorno, è su questa che bisogna concentrarsi.
E cosa è “il cammino al cuore delle virtù” di Don Adriano se non una ricerca per sviluppare l’azione responsabile nella concretezza della vita e così sviluppare il “Bene che ci costruisce”. Ma mi rendo conto che sto andando verso temi troppo complessi per il tempo a disposizione. E dunque concludo con poche riflessioni e una raccomandazione.
La prima riflessione è che il metodo di passare dai grandi principi ai fatti e poi dai fatti rimontare ai grandi principi è tipico anche del grande illuminismo lombardo sino a Cattaneo. Dai fatti ai pensieri e dai pensieri ai fatti. Per contribuire al processo di incivilimento, per “far che si crei una società di uomini operosi, sagaci, onorati, nella quale ogni attitudine ha il suo campo, ogni merito la sua ricompensa” (C. Cattaneo).
A questo serve l’economia politica. Se non serve a questo non serve a niente. Ma questo impegno non cade mai nel costruttivismo, nell’ingegneria sociale, in quella che Roepke chiamò “abuso della ragione” del “razionalismo moderno”. La tradizione lombarda non cade mai in quel genere di hybris scientista che prevale in epoca positivista nel corso del XIX secolo. Questo è il positivismo del Cattaneo e degli studiosi dei quali è erede. Un positivismo che è tutt’altro che cieco, tutt’altro che ingenuo, tutt’altro che vittima dell’illusione “sulle magnifiche sorti e progressive”.