Ieri Mario Draghi al Meeting di CL a Rimini ha detto una cosa chiara. Io ci sono, oggi e domani. Di fatto ha sottolineato il suo ruolo, e quello non può toglierlo nessuno, di garante internazionale dell’Italia presso due fondamentali istituzioni che ha citato nel suo discorso. Europa e Nato. Ovviamente non ha citato la terza perché è implicita e sarebbe stato volgare e pleonastico evocarlo, l’establishment finanziario globale.
Questa sua presa di posizione, su rotte e allineamento, che vuole condividere con tutti gli attori in campo, è in gergo bancario come l’emissione di una lettera di Patronage, una fideiussione per dare credito all’Italia nelle difficili stagioni a venire. Un credito sull’atlantismo italiano e sui rischi dell’isolazionismo, un credito sul liberalismo, sull’impronta di quello dei padri fondatori, da De Gasperi ad Adenauer, che rifugge il protezionismo, mettendo d’accordo su questo tema Keynes ed Adam Smith. Un credito sul fatto che l’Italia non sta e non starà dalla parte di Putin.
E su questo punto Draghi, alza il suo sguardo politico sagace sugli attori in campo, e soprattutto sulla Meloni, non solo perché è la leader di maggioranza, ma anche perché non ha particolare stima degli altri due partner. E il monito paternalistico qua sa di avvertimento. Qui in Italia potete fare tutti i vostri giochetti parlamentari, elettorali e di comunicazione, avverte Draghi, ma poi c’è il campionato del Mondo, la Fifa della politica e dell’economia mondiale, e in questo mondo, molto più grande e meno provinciale dell’Italia, il mio rating è overworld. E se per un caso malaugurato, a cui io non credo nemmeno per un istante, scantonate dai fondamentali del gioco, il mio Patronage salta in un attimo, con una di quelle secche, ficcanti, semplici frasi che pronunciò in un inglese comprensibile al mondo intero. Game over.
In quel caso l’Italia, il secondo paese più indebitato del mondo, rimarrebbe senza fideiussioni, non solo finanziarie, ma soprattutto di credibilità politica internazionale. E saremmo alla deriva di mercati ed istituzioni. E considerando la fragilità del tessuto politico e sociale, oltre che economico, del Paese, e si è visto durante la Pandemia, il rischio di rompersi il collo spaventa qualunque politico italiano, anche quelli che fingono temerarietà e spavalderia. La folla degli elettori italiani e mutevole come la tifoseria di una squadra nei playout, e gli allenatori sono la categoria più a rischio.
Draghi c’è, ci ricorda, e comunque rimarrà, perché il suo ruolo è personale, non legato alla momentanea Presidenza del Consiglio, come un Conte qualunque, quella è solo un lavoro aggiuntivo ad uno standing insuperabile.
Così è se vi pare.