di Dario Raffaele
Se viaggiare al tempo del Covid è tremendamente difficile (soprattutto viaggi intercontinentali), amarsi al tempo della pandemia può diventare quasi impossibile.
Già due anni fa, quando le restrizioni ai viaggi e il blocco dei confini divennero realtà, era nato un movimento, “Love is not tourism”, che si schierava a favore della libertà di amare e di continuare a vedersi oltre ogni confine geografico.
Di amori internazionali e diritti degli stranieri al ricongiungimento con una persona con cui si ha una relazione stabile abbiamo parlato con l’avvocato palermitano Giulia Vicari, fondatrice del sito internet di informazione Infoimmigrazione.
Con lei abbiamo approfondito in particolare il tema della convivenza di fatto che permette a un extracomunitario, per l’appunto in una relazione stabile, di convivere con il proprio partner oltre i 3 mesi consentiti attualmente dalla legge per chi non ha un legame definito dal matrimonio o dall’unione civile.
Avvocato, come una coppia che si frequenta da anni (parte italiana e parte extracomunitaria) può superare il limite dei tre mesi per intraprendere una convivenza (e quindi mettere alla prova i propri sentimenti) prima del matrimonio (o unione civile)?
“Sono tantissime le coppie che vivono questa situazione e tutte le volte, mi ritrovo a dire, purtroppo, la stessa cosa: non esiste una legge specifica in merito. Tutte le coppie internazionali che, per motivi personali non vogliono sposarsi, sono costrette – nella maggior parte dei casi – a vivere una relazione a distanza, oppure a vedersi ogni 3 mesi (sempre che il visto di ingresso venga accettato).
Qualora una coppia decida invece di rimanere in Italia, due sono le alternative possibili: 1) rimanere oltre i tre mesi di durata del visto e dunque, il partner straniero diventerà, a tutti gli effetti, un soggetto irregolare a rischio espulsione; 2) stipulare una convivenza di fatto.
Le convivenze di fatto – continua l’avvocato – sono state disciplinate per la prima volta dalla legge n. 76/2016, cd. Legge Cirinnà, la quale regola giuridicamente sia le unioni civili che le famiglie di fatto. Quest’ultime assumono rilievo nei confronti della legge italiana, solo quando i loro rapporti vengono regolati da un apposito patto di convivenza.
Tuttavia, per le famiglie di fatto di cui una parte è straniera, subentrano non pochi ostacoli al fine di ottenere quelli che sono per loro diritti costituzionalmente garantiti.
Infatti, il più delle volte – per poter formalizzare una convivenza di fatto – al partner straniero viene chiesto il permesso di soggiorno e l’iscrizione anagrafica, richiesta del tutto scorretta e illegale””.
Cosa è il patto di convivenza? Da chi può essere stipulato e come?
“Il patto di convivenza è un contratto che, in virtù della legge Cirinnà, deve essere redatto in forma scritta dinnanzi un notaio o un avvocato che ne attesti la conformità alle norme imperative e all’ordine pubblico.
A differenza di un matrimonio o un’unione civile, non ci sono i testimoni durante la stipula, ma è il legale ad assumersi la responsabilità di quanto dichiarato. Il legale provvederà poi, entro i successivi dieci giorni, a trasmettere copia del contratto al Comune di residenza dei conviventi per l’iscrizione all’anagrafe e la trascrizione del contratto.
Ci tengo a precisare che, la stipula del patto di convivenza comporta comunque diritti e doveri reciproci da parte dei conviventi. La coppia infatti, dovrà indicare le modalità di contribuzione alle necessità della vita in comune, in relazione alle disponibilità economiche di ciascuno; può optare per il regime patrimoniale della comunione o separazione dei beni e così via. Ciò per specificare che, se quanto dichiarato sul contratto non venga rispettato da uno dei due conviventi, può regolarmente aprirsi una fase contenziosa”.
Si può stipulare un patto di convivenza nel momento in cui si prende la decisione di convivere (quindi prima della convivenza effettiva)?
“Sono tante le persone che mi chiedono se, per accelerare i tempi, il contratto può essere stipulato a distanza, e cioè quando il partner straniero si trovi ancora all’estero: no, non è possibile, i due compagni devono trovarsi in Italia per poter procedere. Infatti per poter essere considerati una famiglia di fatto occorre, per l’appunto, l’elemento della convivenza. Non bastano singoli eventi saltuari, ma è necessario una vera e propria stabilità del vincolo”.
COSA FARE DOPO LA STIPULA DEL PATTO (CONTINUA LA LETTURA)
Una volta prodotto il patto di convivenza, cosa occorre fare? Il Comune può rifiutare di dare la residenza all’extracomunitario…
“I passaggi da compiere sono questi: una volta stipulato il patto, questo deve essere trascritto nei registri del Comune di residenza della coppia; con la trascrizione del patto la Questura rilascerà un permesso per motivi familiari e/o la Carta di soggiorno per il familiare di cittadino dell’Unione.
Tuttavia, per la trascrizione del contratto, il Comune pretenderà la residenza del partner straniero, che ovviamente non ha perché non ha il permesso di soggiorno e quindi la pratica si blocca. La Questura dal canto suo invece, non rilascerà il permesso senza trascrizione del contratto. È un cane che si morde la coda e mi rendo conto che non è facile da comprendere.
I Comuni in genere tendono a non assumersi la responsabilità di iscrivere uno straniero senza permesso di soggiorno, la loro è – comprensibilmente – un’attività meccanico-amministrativa. Quindi, se io operatore comunale sono chiamato ad iscrivere all’anagrafe uno straniero senza permesso di soggiorno, automaticamente non lo faccio perché sono abituato a fare così, a prescindere della situazione soggettiva dello straniero.
Tuttavia, essendo un iter non ancora ben definito, capita che alcuni Comuni iscrivano senza opporre resistenza; in altre città invece, è prima la Questura a rilasciare il permesso di modo che il Comune possa iscrivere all’anagrafe e registrare il contratto; in altre città ancora, il Comune iscrive all’anagrafe ma la Questura non rilascia il permesso di soggiorno.
Insomma, essendo una normativa molto frammentata, anche le “reazioni” da parte della pubblica amministrazione sono diverse. E quando la pratica si blocca, in Comune o in Questura, occorre andare in giudizio al fine di ottenere un ordine del giudice all’iscrizione anagrafica o al rilascio del permesso di soggiorno”.
“Il problema è esattamente questo, – continua l’avvocato Vicari – chiunque può stipulare una convivenza di fatto, ma tale atto acquisisce valore solo dopo la sua registrazione nei registri del Comune di residenza. Il legislatore della Cirinnà, probabilmente attento a disciplinare le unioni civili, ha sottovalutato le esigenze sociali delle famiglie di fatto.
In una prima lettura del comma 37 dell’art. 1 della legge, sembrerebbe infatti indispensabile l’iscrizione anagrafica ai fini della registrazione del contratto. A ben vedere però, la legge Cirinnà nel successivo comma 52 dello stesso articolo, specifica che ai fini dell’opponibilità ai terzi, il professionista che ha ricevuto l’atto e che ne ha autenticato la sottoscrizione, deve trasmetterne copia al Comune di residenza dei conviventi per l’iscrizione all’anagrafe.
Si evince dunque che, l’adempimento dell’iscrizione anagrafica assumerebbe rilievo solo ai fini dell’opponibilità ai terzi delle clausole contenute nel contratto, e non costituirebbe adempimento necessario al fine di dare valore alla relazione di fatto”.
DIRITTI E DOVERI DEI CONVIVENTI DI FATTO (CONTINUA LA LETTURA)
“Inoltre, qualora la Cirinnà apparisse poco convincente, – continua l’avvocato – è opportuno specificare che lo status di convivente di fatto comporta il riconoscimento di specifici doveri e diritti. Stessi o simili diritti che spettano al coniuge e al partner unito civilmente: in caso di malattia grave da comportare un deficit della capacità di intendere e volere, il convivente può delegare l’altro a rappresentarlo nelle decisioni in ambito di salute oppure in caso di malattia o di ricovero, i conviventi di fatto hanno diritto reciproco di visita, di assistenza, di accesso alle informazioni personali ecc. Quindi, i conviventi di fatto – per la legge italiana – vengono considerati a tutti gli effetti una famiglia. E lo Stato italiano tutela l’unità familiare e garantisce i diritti inviolabili previsti dalla nostra Costituzione che spettano ai singoli in quanto esseri umani e non perché partecipi di una determinata comunità politica”.
“Infatti, per chi non lo sappia, – ci dice l’avvocato – un cittadino straniero irregolare domiciliato in Italia, può sempre contrarre matrimonio o unione civile; sono sufficienti solamente un documento di identità e il nulla osta. Il primo comma dell’art. 116 cc rubricato “matrimonio dello straniero in Italia”, stabilisce che “lo straniero che vuole contrarre matrimonio nello Stato deve presentare all’ufficiale dello stato civile una dichiarazione dell’autorità competente del proprio paese, dalla quale risulti che giusta le leggi a cui è sottoposto nulla osta al matrimonio [nonché di un documento attestante la regolarità del soggiorno in Italia*]. *Quest’ultimo comma è stato dichiarato incostituzionale con sentenza della Corte Costituzionale n. 245 del 25 luglio 2011, sempre per la logica di garantire i diritti inviolabili dell’uomo. La condizione giuridica dello straniero infatti, non deve essere considerata come causa di trattamenti peggiorativi”.
“Quindi – continua Giulia Vicari – la domanda che sorge spontanea è: se lo Stato italiano garantisce l’unità familiare, riconoscendo ai cittadini stranieri irregolari la possibilità di sposarsi o di unirsi civilmente, perché le coppie di fatto – considerate una famiglia – non godono degli stessi diritti?
Potrebbe farsi un elenco infinito delle norme fondamentali che vengono quotidianamente violate: alcune riportate nella CEDU (Convenzione europea dei diritti dell’uomo, nda), altre in direttive europee e in norme internazionali.
Fondamentale in tal senso è, ad esempio, l’art. 3, comma 2, lett. b) del d.lgs. 30/2007, che recepisce la direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri. La direttiva riconosce il diritto all’agevolazione dell’ingresso e del soggiorno anche al partner con cui “il cittadino dell’Unione abbia una relazione stabile debitamente attestata dallo Stato del cittadino dell’Unione”.
La direttiva garantisce quindi espressamente il diritto di soggiorno nel territorio degli Stati membri a coloro che, ai sensi dell’art. 3 d.lgs. 30/2007, abbiano una stabile convivenza con il partner italiano.
In altre parole, il “convivente di fatto”, ove sia stata costituita una famiglia di fatto, acquisisce lo “status di familiare” a prescindere dalla registrazione anagrafica o dal permesso di soggiorno”.
LA PROVA DELLA CONVIVENZA DI FATTO (CONTINUA LA LETTURA)
Come si fa a provare la convivenza? (Possono bastare prove fotografiche, ospitalità data alla persona durante più anni, sostegno economico, viaggi compiuti insieme, ecc.)?
“Innanzi tutto, se l’iter si conclude positivamente prima di un’eventuale fase contenziosa, non è detto che sia necessario provare la convivenza. Come ho già specificato, è il legale che durante la stipula del contratto si assume la responsabilità di quanto dichiarato. E se una coppia non è una coppia, si nota subito e a quel punto, un legale onesto, non procederà mai con la stipula del contratto. Se invece si rende necessario fare ricorso in Tribunale, allora fotografie, viaggi compiuti insieme, note di accompagnamento che certificano la relazione stabile o una semplice testimonianza di un amico della coppia, possono tornare utili”.
In attesa che il permesso di soggiorno venga rilasciato, come viene tutelato l’extracomunitario (per quanto attiene l’assistenza alla salute e tutti i più elementari diritti)?
“Purtroppo se lo straniero non viene iscritto nei registri dei residenti del Comune, non si hanno molte tutele, parte tutto da lì. Chi non è iscritto all’anagrafe sostanzialmente non esiste e di conseguenza non può, ad esempio, usufruire del servizio sanitario nazionale, non può lavorare, non può esercitare altri diritti inviolabili della persona.
Per quanto riguarda il discorso salute, agli stranieri irregolari presenti sul territorio viene riconosciuto il tesserino STP (straniero temporaneamente presente) che viene rilasciato agli stranieri che necessitano di cure mediche essenziali ed urgenti, cioè quelle tipologie di cure indispensabili per la vita della persona, può essere rilasciato dall’ASL o dal Pronto Soccorso”.
Dario Raffaele