Inchiesta

Patto Stabilità, Svimez: “Italia ristrutturi la spesa o l’Ue ci presenterà il conto”

“C’è molto lavoro da fare”. Il commissario europeo all’Economia Paolo Gentiloni, ha avviato con queste parole il confronto in seno all’Ue per costruire un consenso attorno riforma del patto di stabilità. Un obiettivo ambizioso ma a suo dire fattibile, forte della consapevolezza che la proposta adottata dalla Commissione è molto equilibrata, “in grado di tenere conto sia del bisogno di avere conti pubblici solidi, sia della necessità di promuovere la crescita. Avere entrambe le cose non è facile, ma è necessario”.

Secondo Antonio Tajani, ministro degli Esteri e parlamentare di Forza Italia, il Patto di stabilità è “un passo in avanti rispetto alla realtà ante Covid, ma riteniamo debbano essere esclusi alcuni investimenti come il Pnrr, alla politica per la lotta al cambiamento climatico, la transizione ecologica, ma anche gli investimenti fatti nella difesa per il sostegno all’Ucraina”.

La questione è cruciale perché la partita del Patto di Stabilità è subordinata ad un’altra partita, quella del Pnrr. Lo sanno bene anche i sindacati: “Noi corriamo il rischio come paese di fare una figura pessima nei confronti dell’Europa – ha sottolineato ieri il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini parlando delle risorse messe a disposizione dall’Unione europea – perché la realtà è che non siamo in grado di spendere quei soldi se non si fanno delle modifiche e nel momento in cui in Europa devi chiedere di superare il Patto di stabilità devi anche dimostrare di essere capace di fare gli investimenti e di spendere i soldi che sono necessari per costruire gli asili, per costruire le infrastrutture”.

Dal canto suo, il vicepresidente della Commissione europea, Valdis Dombrovskis, ha assicurato che ci sarà il pieno coinvolgimento degli Stati membri nella discussione ma la sensazione è che all’Italia verranno concessi pochi margini.

L’Unione europea non ha mai fatto sconti al Belpaese ma non possiamo nascondere il fatto che in questi anni non abbiamo sempre fatto i compiti a casa. La spasmodica ricerca del consenso da parte della politica ci ha portato dritti dritti ad una gestione “allegra” della spesa pubblica e così, per decenni, abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità. Un quadro impietoso lo traccia Alberto Brambilla, presidente del Centro Studi Itinerari previdenziali, nel suo libro “Il Consenso a tutti i costi” ma anche in un’intervista rilasciata qualche tempo fa al nostro quotidiano e che mette a nudo tutte le contraddizioni italiane: “Viviamo in un Paese strano. La spesa assistenziale ha raggiunto i 156 miliardi. Abbiamo il 130% degli abitanti con contratti di telefonia mobile, il 97% degli italiani possiede uno o più smartphone e siamo il Paese con la più alta percentuale di abbonamenti in piattaforme streaming. Non solo. Potrei parlare anche del parco auto circolante. Dopo il Lussemburgo, Stato più ricco d’Europa, c’è il Belpaese”.
Alla luce di questi numeri, forse sarebbe opportuno riflettere sulla necessità di porre un freno.
L’imperativo dell’Ue va proprio in questa direzione.

Adriano Giannola, Presidente Svimez, al QdS: “Governo Meloni dimostri coraggio”

“Via bonus ed esenzioni, riportare le cifre a degli obiettivi più concreti”

Adriano Giannola, Presidente Svimez

Sulle nuove regole per il Patto di Stabilità che l’Europa vuole imporre, il Quotidiano di Sicilia ha chiesto un commento all’economista Adriano Giannola, Presidente di SVIMEZ – Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno.

Presidente Giannola, le nuove regole del patto di stabilità l’UE secondo lei ingesseranno ancora di più i conti o finalmente riusciremo ad orientare in maniera più efficace le risorse verso gli agognati investimenti?

“Ci ingessano sicuramente, perché rispetto alla situazione attuale, in cui lavoriamo sulle emergenze, e sulla scia di un intervento straordinario che è il Pnrr, la prospettiva ora è di ritornare a delle regole, sia pure più blande, ma che non sono molto diverse da quelle precedenti. Per esempio gli investimenti prima erano esclusi dal Patto di stabilità, mentre ora vengono nuovamente inglobati nei calcoli e quindi viene meno quella propensione all’investimento che avrebbe dovuto esserci per due motivi (far crescere l’economia e sottrarsi al vincolo del Patto di stabilità). Queste nuove regole dell’Unione europea stabiliscono il ritorno ad una disciplina che solo apparentemente è più benevola e sostanzialmente mira allo stesso scopo”.

In questi anni l’Italia ha aumentato in modo notevole la spesa assistenziale (oggi a 156 miliardi) ma il numero dei poveri dal 2008 ad oggi è raddoppiato. Come si spiega? Un sistema di questo tipo è sostenibile?

“Il governo dovrebbe avere il coraggio di affrontare una ‘ristrutturazione’ della spesa, eliminando i bonus e le esenzioni, riportando le cifre a degli obiettivi più concreti, che possano dar luogo ad uno sviluppo e ad una sostenibilità del debito, e di fatto alla riduzione dello stesso. Se l’Europa ci vuole imporre nuove discipline è perché ha visto come l’Italia si sta comportando con il Pnrr. è come se ci dicessero che siamo degli incapaci se non riusciamo a migliorare la nostra situazione neanche con questa iniezione di risorse, ristrutturando il tipo di spesa, orientandola agli investimenti invece che alla spesa corrente”.

L’Italia riuscirà ad avere dei margini o non avendo fatto bene i compiti a casa in questi anni “subirà” le scelte europee?

“La ricetta la Svimez l’ha messa in un documento: il Quaderno 65 – numero speciale, che abbiamo consegnato al Presidente della Repubblica e al Governo, dove evidenziamo alcune priorità, quelle capaci di innescare un processo, a nostro arbitrio, che consenta al Paese di riprendere a crescere. L’Europa ha chiesto uno sviluppo smart green, quindi la digitalizzazione e la sostenibilità si devono tradurre in un progetto strategico che fa dell’Italia il fulcro europeo nel Mediterraneo, dove i porti e la logistica diventano i cardini per rimettere in moto una economia ferma da vent’anni. Il Nord Italia invece vuole l’autonomia differenziata, che contraddice tutte le condizionalità che l’Europa ci ha imposto per darci quei soldi, cioè la riduzione delle disuguaglianze e la coesione sociale”.

Dunque, cosa fare?

“Ora che la Germania non può più andare a Est e guarda al Mediterraneo, dovremmo rilanciare la nostra posizione di centralità e controbilanciare i porti di Rotterdam e Amburgo, e diventare noi l’elemento cruciale della nuova globalizzazione. A partire dalla Sicilia che è al centro del Mediterraneo”. (rp)