Economia

Pensione a 64 anni: ecco chi può andarci, i requisiti e gli importi

Raggiunta l’età di 64 anni è possibile per tutti i lavoratori poter terminare finalmente la propria attività ed andare in pensione. In proposito, sono interessati tutti coloro che hanno cominciato a lavorare e versare contributi dal primo gennaio 1996 in poi e che sono anche iscritti a una forma di previdenza complementare.

La manovra

Con un emendamento della Lega riformulato e approvato in commissione alla Camera si stabilisce che i lavoratori soggetti al sistema contributivo (quelli che hanno cominciato dopo il 1995, appunto) possono utilizzare la rendita maturata presso la previdenza complementare per raggiungere gli importi minimi per accedere alla pensione anticipata a 64 anni. Finora si poteva usare solo l’importo della pensione obbligatoria maturata. Ora quest’ultimo si potrà sommare con la rendita ottenuta con la previdenza integrativa.

I requisiti per andare in pensione a 64 anni

Secondo la riforma Fornero e le modifiche successive, bisogna stare integralmente nel sistema contributivo, avere versato almeno 20 anni di contributi e aver maturato una pensione pari ad almeno tre volte l’assegno sociale (1.603 euro nel 2024), soglia che scende a 2,8 volte (1.496 euro) per le donne con un figlio e a 2,6 volte (1.389 euro) per quelle con due figli.

Dal primo gennaio 2025 i lavoratori del contributivo che siano anche iscritti a un fondo pensione possono far valere la rendita maturata, sommandola a quella raggiunta nel regime obbligatorio, per superare le soglie richieste per accedere alla pensione a 64 anni. Per esempio, se un lavoratore ha 64 anni e presso l’Inps ha maturato una pensione di 1.300 euro al mese, se ha raggiunto con il suo fondo pensione privato una rendita di 350 euro al mese, potrà lasciare il lavoro a 64 anni, perché sommando le due quote (Inps e fondo) ha un totale di 1.650 euro. La manovra, però, se da un lato facilita l’accesso alla pensione anticipata dall’altro la frena sotto due aspetti. Il primo con l’aumento, sempre a partire dal 2025, del requisito degli anni di contributi versati, che sale da 20 a 25 e poi, dal 2030, a 30 anni. E tale requisito sarà adeguato agli incrementi della speranza di vita. Il secondo aspetto che frena i pensionamenti anticipati è l’aumento, disposto dallo stesso emendamento, della soglia d’importo da raggiungere da 3 volte a 3,2 volte l’assegno sociale a partire dal 2030.

Che succede a chi sta nel contributivo ma non ha la previdenza integrativa o non la utilizza?

Potrà continuare ad andare in pensione a 64 anni secondo le regole in vigore finora, senza subire aumenti delle soglie d’accesso e degli anni di contribuzione richiesti.

Quanti pensionamenti in più si possono prevedere dopo le novità introdotte?

La relazione tecnica che accompagna l’emendamento non contiene stime di questo tipo, anche perché ci sono molti fattori in gioco (il pensionamento anticipato è volontario, le quote di pensione e di rendita maturate dipendono dalla continuità lavorativa e dall’entità dello stipendio, eccetera). Tanto è vero che la norma prevede un «monitoraggio» sulle conseguenze delle novità introdotte. E, per il momento, stima un piccolo aumento della spesa (da 12,6 milioni nel 2026 fino a un massimo di 406 milioni che verrebbe raggiunto nel 2043) che sarebbe in parte coperto grazie ai risparmi ottenuti con l’aumento della soglia a 3,2 volte l’assegno sociale e in parte con tagli di precedenti autorizzazioni di spesa.

Cumulabilità con altri redditi

L’emendamento approvato alla Camera (che può considerarsi definitivo perché il testo della manovra non subirà altre modifiche al Senato, dove sarà approvato entro il 31 dicembre) introduce un divieto di cumulo tra la pensione così raggiunta e i «redditi da lavoro dipendente o autonomo, ad eccezione di quelli derivanti da lavoro autonomo occasionale, nel limite di 5mila euro lordi annui».

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