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Per la carne coltivata è questione di tempo

L’Italia ha detto no alla produzione e alla commercializzazione della carne coltivata, della quale tanto si parla da mesi. In questo momento, probabilmente, il nostro Paese ha fatto bene, perché il sistema economico italiano non è ancora pronto, in quanto le aziende zootecniche e l’occupazione nel settore verrebbero danneggiate, perché la nostra cultura alimentare è lontana da ipotesi alternative a quelle correnti, perché le nostre industrie agroalimentari non sono attrezzate, ecc…

Al fianco del Governo si sono schierate le organizzazioni degli agricoltori e degli allevatori, Coldiretti in testa, che ovviamente difendono gli interessi dei loro associati, che vedono la carne coltivata come il fumo negli occhi, almeno fino a quando non saranno, a loro volta, pronti. Il no dell’Italia, e non solo dell’Italia, a questo prodotto, però, gioco forza, è transitorio per una serie di motivi che proverò a sintetizzare.

  1. Produrre un chilo di carne fresca costa parecchio sia in termini economici, sia in termini ambientali, dato che serve tantissima acqua, tantissimo foraggio, tantissimi passaggi per lo smaltimento dei rifiuti, ecc…;
  2. Perché la popolazione del mondo cresce e gli allevamenti attuali non sono in grado di soddisfare quelle che saranno le esigenze del mercato;
  3. Perché la cultura animalista tollera sempre meno, o non tollera affatto, l’uccisione degli animali, a volte molto crudele, ed il loro allevamento intensivo e del tutto innaturale;
  4. Perché il costo della carne coltivata, che non è affatto sintetica, in quanto si produce attraverso le cellule staminali, esattamente come accade per diversi altri processi umani, sarà di gran lunga più basso di quella prodotta con gli attuali sistemi;
  5. Perché le novità si accettano con difficoltà, ma poi ci si adatta, in quanto sono convenienti;
  6. Perché la scienza non si può fermare e chi, in passato, ha provato a farlo ha fatto sempre una brutta fine.

Personalmente penso che gli allevatori italiani, molto presto, si divideranno in due categorie: quelli che produrranno con i sistemi tradizionali rivolgendosi a un mercato per ricchi, che sono sempre più ricchi, ma sono minori di numero, e quelli che si adegueranno ai nuovi modelli e invaderanno il mercato con un prodotto sempre migliore e sempre più accettato. Sono sicuro che il percorso sarà veloce, perché la fame e la povertà nel mondo crescono in maniera esponenziale e la scienza, che non è affatto democratica, non ha nessuna intenzione di attendere i tempi della politica.

A non attendere i tempi della politica italiana, poi, non è disponibile neanche l’industria agroalimentare globale che, prima o poi, troverà un paese nel quale poter produrre legalmente la carne coltivata e qualche altro paese in cui commercializzarla. Subito dopo troverà dei bravissimi chef che elaboreranno ricette straordinarie a base di carne coltivata e dei ristoratori che apriranno locali specializzati, in cui i prezzi saranno più bassi e più competitivi di quelli praticati altrove.

L’ultimo passaggio sarà affidato ai media, ai pubblicitari e ai giornalisti, che ci spiegheranno come il potere nutrizionale della carne coltivata non ha nulla di diverso di quello della carne prodotta con i sistemi tradizionali; che l’uccisione di animali è eticamente sbagliato (ed hanno perfettamente ragione); che l’acqua serve per rendere fertili le terre incolte, che sono tante; che la carne coltivata è più democratica dell’altra; ecc… Insomma, non ci giro più intorno: se fossi nei panni degli allevatori italiani non perderei tempo a contestare più del necessario e proverei a non subire il progresso, ma a cavalcarlo e magari proverei a farlo in fretta perché, in caso contrario, le loro recenti proteste per impedire la produzione di carne coltivata, si trasformeranno presto in pressanti richieste per ottenere i sussidi necessari per salvare le loro aziende destinate a chiudere.

In fondo, se per una volta riuscissimo a guidare il progresso e non a rallentarlo o a subirlo passivamente, vivendo inutilmente nel passato, che non torna, non sarebbe male. Ancora siano in tempo a cambiare rotta, ma non approfittiamone troppo perché neanche il tempo è democratico.