Trasmissioni televisive

Perchè Squid Game ha tanto successo, tra psicologia e vita

Bastava solo un passo a 456 per aggiudicarsi l’ampolla con miliardi di won all’interno.

Aveva sudato, sofferto, promesso, tradito fino ad avere le spine nel cuore per arrivare alla testa del calamaro, gioco che dà il nome alla serie Netflix. Eppure, a differenza degli altri, 456 non aveva ucciso nessuno.

Dentro e fuori la camera, in Squid Game, c’è di tutto un po’: quei patetismi esistenziali della tradizione cinematografica orientale, da Kim Ki-duk a Wong Kar-wai, quel senso di sottomissione angosciante del recente “Parasite”, film capolavoro di Bong Joon-ho anch’esso ambientato in Corea.

IL BIANCO E NERO

Ma anche il bianco e nero dei ricordi d’infanzia, le cupe geometrie dei giochi mortali, il naturalismo artificiale delle metro, i vicoli blu dei mercati asiatici, il vetro dei grattacieli delle grandi metropoli, le foglie d’acanto dorate delle vestaglie dei VIP e i corpi maculati da arredamento nel dietro le quinte delle scommesse sulla vita.

Chiacchierando con l’estroso regista palermitano William Lombardo, autore del cortometraggio “La particella Fantasma” (2020) emerge come: “Squid Game segua la strada tracciata da importanti pellicole cinematografiche, come The Host o Snowpiercer, per raccontare il grande divario sociale e la struttura prettamente piramidale della società sudcoreana, sfruttando generi quali il thriller o l’horror”.

“Squid Game fa parte dei cosiddetti prodotti local di Netflix che stanno riscuotendo un grandissimo successo proprio perché raccontano mondi e personaggi che esulano da quelli del cinema prettamente nord americano – prosegue Lombardo. I tempi della narrazione, il mix di più generi all’interno della stessa opera, il gusto per il grottesco e la recitazione spinta fanno di Squid Game il prodotto perfetto post-Parasite.


Esteticamente ben realizzato, con furbizia mette in scena elementi che il pubblico internazionale sente come ‘riconoscibili’ e quindi di facile gradimento – si pensi ai costumi rossi delle guardie e alle loro maschere, un forte richiamo a Casa de Papel – oltre ai rimandi orwelliani delle maschere dei Vip.
Interessante anche il modo in cui la serie affronta la ferita mai sanata della guerra di Corea attraverso il personaggio interpretato da Jung Ho-yeon (una problematica sexy Nikita, ndr) che si fa espressione di un Paese che non ha ancora superato la questione divisiva tra nord e sud – conclude il regista”.

Squid Game, così, ha stupito il pubblico per quei temi così triti e ritriti che modellano una realtà quotidiana sempre nuova, e per questo risultano originali, sensazionali, inediti. La serie, tutta di un fiato, è una raffica di colpi (anche di pistola) allo stomaco. Un turbinio inarrestabile, con pochi riallacci alla puntata precedente ad ogni successiva perché… perché non serve.
In Squid Game occorre andare avanti, superare il prossimo gioco mortale, fare un passo alla volta, stipulare accordi con una stretta di mano, rinnegarli con un gioco di sguardi, usare espedienti da ragazzini per vincere giochi da bambini.

Un percorso di crescita a ritroso, che parte dal più vecchio (non a caso il numero 1) fino al 456, l’ultimo arrivato e il più infantile del gruppo, un uomo inconcludente e perdigiorno, ladro persino in casa sua e incapace di essere un buon padre.

Ma non ci sono dubbi che per vincere, in Squid Game, occorra essere bambini: bisogna rinunciare ai soldi per guardare allo specchio la propria coscienza, raccogliendo un vecchio moribondo seduto da solo (aggiungiamo anche bugiardo, che ha architettato tutto, ma che si è divertito “a giocare” l’ultima partita della sua vita), facendo squadra, costruendo barricate, piangendo la morte di una donna che ha lottato per l’amore verso i propri cari, perdonando infine un vecchio amico che ha commesso efferati omicidi, accecato dalla luce verdastra dei won.

“E’ una sorta di mano tesa dal cielo per chi ha problemi economici – dice Lorenzo Pileri, autore del film “Glitch” (2021) – che permette ai giocatori di cambiare la propria vita, di realizzare il proprio sogno; ma è anche il gioco dei potenti, il divertimento di chi guarda la classe media in scena, che rischia (ogni giorno, ndr) la propria vita per uscire dalla miseria.”

“Si noti  – prosegue Pileri – come tra le scene finali della serie, il protagonista Seong Gi-hun riveda il suo passato in quel barbone morente al freddo, scommettendo con il suo Gganbu su un atto di solidarietà umana prima della mezzanotte. Una scommessa da uomo ricco solo sulla carta (456 non aveva ancora speso i soldi del premio, perché macchiati del sangue degli altri partecipanti) perché lui sa cosa significa toccare il fondo nella vita reale”.

LA PSICOLOGIA

E su questi temi profondamente etici ed esistenziali, la psicologa palermitana Claudia Corbari precisa:

“Nella società in cui oggi viviamo, sia orientale che occidentale, l’influenza del denaro è notevole sugli adulti e, a cascata, anche sui più piccoli, come lo status quo che si raggiunge possedendo abiti di marca o nuovi cellulari. Il narcisismo comporta una perdita del sé, perché si è orientati a raggiungere obiettivi perdendo di vista la nostra unica personalità, la nostra individualità, la nostra verità”.

“In terapia – prosegue Claudia Corbari – lavoriamo su un aspetto inverso, ossia l’importanza di fermarsi di fronte al frenetico desiderio umano di primeggiare, di prevalere gli uni sugli altri, di essere sempre un passo avanti verso nuovi traguardi (quello che accade in Squid Game, ndr).
Molta gente, oggi, non è abituata a fermarsi. Perché ad ogni successo ecco che subito l’asticella si alza per un nuovo obiettivo che spesso va oltre le possibilità di ognuno di noi. Ciò si lega all’essere disposti a tutto per accumulare ricchezze come il denaro, e indubbiamente l’incapacità di raggiungere quell’obiettivo crea uno stato di sofferenza dentro di noi”.

Squid Game dimostra che per vincere, nel gioco come nella vita, occorra seguire delle regole.
E in questo aspetto gli adulti, più che i bambini, faticano

“Mi faccia dire una cosa…”.

Prego

“I bambini hanno una visione più candida del successo, quindi più sincera del denaro. Un adulto vede il futuro con ansia, un adulto è costretto a pensare al momento successivo (emblematico, in tal senso, il suicidio di Cho Sang-Woo nel duello finale con 456, ndr) mentre il bambino vede solo il presente (456 in quel momento vede il vecchio amico morente a terra e vuole interrompere il gioco, torna indietro senza compiere l’ultimo passo decisivo verso i won, ndr). La carta vincente dei bambini – conclude la psicologa – è la creatività (456 lecca la forma di pasta di zucchero per superare il gioco, una mossa leale e imitata dal resto del gruppo, ndr) e la consapevolezza (456 si sente in colpa per aver truffato numero 1, ndr).
I bambini comprendono molto più del mondo adulto, grazie ai loro sviluppati canali non verbali, di quanto noi grandi possiamo immaginare”.

456 vince, dunque, perché si comporta come un bambino. Segue più di tutti gli altri le regole, non è ossessionato dal montepremi rispetto a chi è disposto a dare la propria vita per aiutare economicamente i propri cari. Certo, tradirà numero 1, e piangerà (proprio come un bambino) per questo. Fin qui tutto chiaro, ma…

Possiamo dire che, nella vita, gli adulti un po’ bambini, capaci di conservare quell’animo positivamente puerile, sono persone “di successo”?

“Molti di noi tendono ad accantonare i loro istinti creativi, tendono a lasciare per strada il loro animo sognatore. Spesso proprio da qui si generano i disturbi d’ansia.
Gli adulti che custodiscono un istinto creativo indubbiamente riescono ad affrontare con un animo diverso, più positivo, più propositivo, la routine giornaliera e le sfide, spesso complicate, che la vita riserva ad ognuno di noi”.

Gioacchino Lepre