Inchiesta

Personale carente e liste d’attesa, i vuoti della sanità siciliana

La Sicilia, volendo usare un gioco di parole, ha un servizio sanitario in degenza e sotto stretta osservazione. La sanità regionale è in piano di rientro, ha accusato il colpo della gobba pensionistica per il personale medico ed infermieristico e non riesce a staccarsi dalla soglia minima dei livelli Lea (Livelli essenziali di assistenza, ndr), per i quali era già stata “adempiente con impegno” nel 2012 e inadempiente nel 2015.

L’ultimo dato elaborato da Agenas è relativo al 2019, prima della pandemia, ed i 173 punti assegnati alla Sicilia non le hanno consentivano di risalire dagli ultimi posti della classifica nazionale. Su sette regioni in piano di rientro, stando alle elaborazioni della Fondazione Gimbe basate sui dati del Ministero della Salute, la sanità siciliana occupa il terzultimo posto per livelli Lea. Prima in classifica l’Emilia-Romagna, ultima la Calabria.

Sanità siciliana in affanno anche sul fronte del personale medico e infermieristico

Dai dati Istat elaborati da Agenas per il 2021 – in periodo Covid con emergenza sanitaria in corso – risulta che anche sul fronte del personale medico e infermieristico il Servizio sanitario regionale siciliano è in affanno. Il personale è in diminuzione, a fronte di un innalzamento dell’età media della popolazione e quindi della necessità di assistenza sanitaria. Al 2021, la Sicilia risultava avere personale del Ssn, tra medici ed infermieri, per un rapporto di 5,38 ogni 1.000 abitanti. Il rapporto peggiore d’Italia. Dodici regioni superavano il rapporto di 7 ogni mille abitanti e il Friuli Venezia Giulia toccava quota 9,06. Le liste d’attesa, senza grande stupore, sono ormai l’evidenza di un sistema sanitario regionale in difficoltà che non riesce a trovare rapida soluzione. Per un esame bisogna attendere anche un anno, salvo ripiegare sul servizio offerto dalle strutture private, ma a pagamento.

La sanità privata è oggi un argine al disastro

La sanità privata è oggi un argine al disastro, ma anche alle prestazioni sanitarie in convenzione c’è un limite. Negli anni che precedono le misure straordinarie per la pandemia, il budget per le prestazioni in convenzione si esauriva prima di fine anno ed ai siciliani non restava che pagare di tasca oppure riprogrammare, se non rinunciare. Secondo i dati Istat, dei circa due milioni di italiani che rinunciano a curarsi la percentuale più alta è nel Mezzogiorno.

La Sicilia non fa eccezione a questo trend. Non aiuta l’amministrazione politica delle 156 strutture sanitarie, tra aziende pubbliche e private accreditate. Alcuni piccoli ospedali sono ormai privi di personale, ma rimangono aperti per accanimento terapeutico territoriale.

Infine, anche sul fronte del management si riscontra precarietà nelle aziende sanitarie e ospedaliere pubbliche: dopo lunga proroga, le nomine dei manager sono infine arrivate in giunta la sera del 31 gennaio, ma ancora oggi la Sicilia ha commissari pro tempore alla guida delle aziende sanitarie.

Giuseppe Bonsignore, segretario regionale di Cimo Sicilia

“L’autonomia il colpo di grazia al Sistema sanitario nazionale”

PALERMO – In Sicilia il Cimo, il sindacato dei medici, è rappresentato dal suo segretario regionale Giuseppe Bonsignore. Medico radiologo all’ospedale Villa Sofia di Palermo. il dottor Bonsignore indossa ogni giorno il suo camice bianco e vive quotidianamente la struttura ospedaliera tra medici e cittadini esasperati. Lo abbiamo contattato per chiedere il suo punto di vista sulla attuale condizione del Servizio sanitario regionale siciliano e in prospettiva cosa potrebbe accadere nel caso di una prossima attuazione dell’autonomia differenziata applicata al Servizio Sanitario Nazionale.

Dottor Bonsignore, da segretario regionale del sindacato dei medici oltre che da medico in servizio, come vede la possibile svolta dell’autonomia differenziata in sanità?
“Come Cimo, a livello nazionale, non facciamo altro che ribadire che sarebbe il colpo di grazia al Ssn; soprattutto nell’ottica della differenziazione che si avrà ulteriore tra nord e sud. Sappiamo perfettamente che già abbiamo in Italia venti sanità differenti, perché ogni regione va per i fatti suoi, ma soprattutto abbiamo due sanità principali: quella del centro-nord e quella del centro-sud, o del sud; e noi siamo sicuramente ben più indietro rispetto a quella del nord. L’autonomia differenziata rischia – e probabilmente lo farà se dovesse passare la legge così come è stata incardinata – di acuire ulteriormente questa grande diseguaglianza tra le regioni, e soprattutto tra la Sanità del nord e quella del sud. Ovviamente tutto a nostro discapito”.

Qual è la situazione in questo momento in Sicilia tra aziende ospedaliere e sanitarie e quali differenze ci sono con le regioni del nord?
“In Sicilia abbiamo appreso, a più riprese, dell’iniziativa del presidente della Regione Siciliana Renato Schifani di assumere medici cubani, albanesi, argentini, peruviani e quant’altro. Mancano circa 1.500 medici negli ospedali siciliani, secondo un report fatto dall’assessorato regionale della Salute a novembre del 2023, ma che ancora non si è modificato di tanto. Sono riusciti a prendere trenta medici stranieri. Intanto non si capisce come il tetto di spesa rimane invariato; di concorsi se ne fanno pochi e quindi non si fa nulla per reclutare anche medici italiani. Si va a cercarli in Sud America e mi sembra davvero un paradosso. Mancano soprattutto i medici della medicina d’urgenza, quindi nei Pronto soccorso, ma mancano anche tante altre discipline: mancano i cardiologi, i chirurghi generali, i gastroenterologi, gli ortopedici, i pediatri, gli anestesisti e altro ancora.”

Inevitabile quindi un’altra domanda: tra carenza di personale e aggressioni e rischi per il personale medico ed infermieristico, voi lavorate in condizioni difficili e sotto forte pressione; i privilegi richiesti dalle tre regioni che spingono per l’autonomia differenziata, come borse di studio e libertà contrattuale, le farà vedere colleghi che la saluteranno prima di trasferirsi in Veneto o in Lombardia?
“Non c’é il minimo dubbio. Perché già sta succedendo ed è successo con le famose cooperative e con i medici gettonisti. Io ho visto nel mio ospedale, Villa Sofia, medici del Pronto soccorso licenziarsi dopo quindici anni perché si son detti: ‘Sai che c’è? Li mi danno centoventi euro l’ora, faccio tre turni al mese e guadagno tanto quanto guadagno qui ma lavoro molto più serenamente’. Quindi se ne sono andati al nord”.

Quindi, se oggi mancano 1.500 medici solo in Sicilia e il problema del personale riguarda tutta l’Italia, con l’autonomia differenziata in sanità assisteremo a medici italiani del Mezzogiorno che migrano verso le regioni più ricche del nord Italia e sempre più bandi per medici stranieri per le regioni più povere del sud?
“Lei ha centrano perfettamente il problema. L’autonomia differenziata porterà a questo. Perché chiaramente, ad un certo punto, il medico di Palermo, di Catania o di Messina dirà: ‘perché io devo guadagnare mille, quando andando in Veneto, in Emilia-Romagna o in Lombardia guadagno tremila?’. Questo è il succo del discorso; quindi se ne andranno e noi avremo una sanità a questo punto con i medici stranieri”.

Ernesto Melluso, portavoce del Forum sanità pubblica Palermo

“Per una scintigrafia miocardica ad Agrigento un anno di attesa”

Il dottor Ernesto Melluso è un ginecologo del Servizio sanitario nazionale in pensione, che però continua a lottare per il diritto alla salute dei cittadini dettato dalla Costituzione italiana. Oggi è infatti portavoce del Forum sanità pubblica Palermo. Il Forum, insieme a FederConsumatori, ha avviato una campagna a sostegno dell’utenza vittima delle liste d’attesa troppo lunghe che, troppo spesso, dirottano sul privato quanti non rinunciano del tutto alle cure. Dopo il sit in davanti l’Assessorato regionale alla Salute, abbiamo intervistato il dottor Melluso.

Dottore, cosa non funziona nel Servizio sanitario regionale siciliano?
“Serve una riforma radicale del sistema. Il sistema, come è stato concepito fin’ora, non può andare avanti anche se rifinanziato, perché è come mettere acqua in un recipiente sfondato. Se lei non chiude il buco del recipiente è inutile mettere acqua”.

Ma “l’acqua” che si sta mettendo, ad esempio in Sicilia, va soltanto al Ssn o anche al privato?
“Le faccio un esempio: dei 48 milioni di euro per il 2023, per l’abbattimento delle liste d’attesa, ne sono stati dati 24 al servizio sanitario pubblico e 24 al servizio privato. Anzi, alla ‘medicina privata’, perché io non parlo di sanità privata e non ne parlerò mai perché la ‘sanità privata’ semplicemente non esiste. La sanità pubblica in Sicilia ha dieci volte il personale medico e cinque volte il personale infermieristico della cosiddetta ‘sanità privata’”.

Però abbiamo bisogno dei medici del privato per ridurre le liste d’attesa nel pubblico; perché?
“Questa è una conseguenza. Non è una causa, ma la conseguenza di una politica in cui fanno il blocco del turnover delle assunzioni, da una parte, e mettono il numero chiuso nelle facoltà di medicina perché non hanno posti sufficienti per i tirocini dei medici in formazione. Però i posti per far fare il tirocinio a quelli dell’università ‘italo-bosniaca’ li trovano negli ospedali e nelle università, per gli studenti dell’università fasulla!”

Circa un centinaio di medici stranieri hanno risposto al bando della Regione, come vede questo contributo estero per sopperire alla carenza organica nelle strutture sanitarie siciliane?
“Siamo in una situazione di emergenza, e lo vedo bene. Ho avuto a che fare con i medici cubani che sono stati presi in Calabria e sono bravi professionisti. Certo, è una pezza che mettono, ma nell’emergenza mi sta pure bene. Ma sono pochi, è una goccia nel mare”.

L’autonomia differenziata in Sanità potrà ridurre le diseguaglianze tra le regioni del meridione e quelle più ricche del nord Italia, oppure rischiamo una ulteriore migrazione di medici e di pazienti verso le regioni del nord?
“Guardi, noi abbiamo un saldo negativo di 174 milioni di euro l’anno per la migrazione sanitaria, a fronte di un saldo lordo di 250 milioni. Questo dato ci dice molto. Poi, andando ad esaminare le tipologie di migrazione sanitaria, ci si accorge anche del cambiamento: ora la gente va a fare la colecisti a Milano, o a Bologna. Non so se rendo l’idea. Ricordo che il saldo lordo, dieci anni fa, era 250 milioni di euro esattamente come oggi. Non è cambiato nulla, se non la tipologia delle prestazioni che vengono richieste agli ospedali del centro-nord. Quindi, che ci sarà ulteriore migrazione, è sicuro”.

Secondo lei è perché l’utenza siciliana non si fida della sanità regionale oppure per le liste d’attesa o altri motivi ancora?
“Perché le liste d’attesa sono insopportabili. Al contrario di quello che dice l’assessore regionale alla Salute. Lunedì (8 aprile 2024, ndr) l’assessore Giovanna Volo ha detto che in provincia di Agrigento la situazione delle liste d’attesa non è così tragica. Ho fatto delle verifiche ed ho appurato che per una scintigrafia miocardica, che chiaramente non è un esame che si fa ad una persona che sta bene ma ad una persona che ha dei sintomi e quindi discretamente urgente, le prenotazioni ad Agrigento sono per maggio del 2025. Un anno! Non è un problema delle aree metropolitane ma dell’intera regione. Forse si salva lievemente Trapani. Nel senso che le liste d’attesa a Trapani ci sono pure ma sono meno pesanti di quello che sono a Palermo, Catania, Messina e tutto il resto della Sicilia”.