La cronaca degli ultimi giorni ha raccontato di attacchi ed aggressioni nei confronti dei pescherecci italiani nel Mediterraneo. Dal 1966 al 2018 sono stati 660 i sequestri di imbarcazioni italiane in quello specchio di mare. In molti di questi casi si sono verificate delle sparatorie, che hanno anche causato dei decessi.
Il “Quotidiano di Sicilia” ha voluto approfondire la questione intervistando Giuseppe Messina, segretario generale di Ugl Sicilia, nonché responsabile regionale del comparto agroalimentare del sindacato, all’interno del quale cura in particolare il comparto pesca.
Perché i nostri pescatori si spingono verso i confini africani o asiatici?
“Storicamente la marineria mazzarese è caratterizzata da un assetto strutturale di natanti d’altura, ciò significa che le imbarcazioni pescano nel Mar Mediterraneo oltre le 40 miglia dalla costa italiana. Chi fa attività d’impresa, a parità di costo sostenuto complessivo, guarda all’aspetto dell’utile e quindi cerca di individuare quegli spazi dove c’è la possibilità di catturare una maggiore quantità di prodotto.
Bisogna considerare che questa è un’attività particolare, il rischio che la battuta di pesca vada male è una condizione di partenza. Questo è il principio di base, che spinge i bravi pescatori mazzaresi e siciliani a cercare sempre dei luoghi dove si possa lucrare il più possibile e, soprattutto, dove si possa trovare pesce pregiato, al fine di garantirsi il sostentamento e di rispondere ad una sempre più esigente domanda di mercato”.
“E poi, gli spazi marini per pescare si sono ulteriormente ridotti a seguito dell’introduzione, lo scorso 10 luglio, di un regolamento UE, trasposto in Italia da un decreto del ministero dell’Agricoltura, che vincola definitivamente gli Stati membri ed in particolare l’Italia a chiudere tre zone di salvaguardia marina ad Est di Banco Avventura, ad Ovest del bacino di Gela e ad Est del Banco di Malta, che interessano la marineria di Mazara del Vallo, costretta a spingersi sempre oltre, alla ricerca di nuovo banchi di pesca produttivo, per garantirsi il sostentamento”.
“La situazione di pericolo e di conflitto è determinata dalle limitazioni poste, nel tempo, dai vari stati che si affacciano sul Mediterraneo, i quali a vario titolo hanno allungato la traccia della propria competenza statale negli specchi acquei.
Nel caso della Libia, molti anni fa, è stata tracciata – in maniera unilaterale – a 74 miglia, ben oltre le 12 stabilite dalla Convenzione Onu di Montego Bay del 1982. Questa decisione, chiaramente, non è mai stata oggetto di confronto con i governi italiani. Questo è stato un limite di tutti gli esecutivi succedutisi nel tempo che, al di là del colore politico, non hanno saputo affrontare fino in fondo la questione. Oggi il tema diventa centrale perché il Mediterraneo si assottiglia sempre di più. D’altra parte la cosiddetta zona di ripopolamento ittico, che consente agli stati di gestire una porzione di acque superiore alle 12 miglia, non dà né il diritto né la facoltà di sparare a chiunque provi a passare, per una battuta di pesca o per altre ragioni di natura commerciale”.
“Il problema centrale è quello della sicurezza sul luogo di lavoro, questa è una battaglia di primaria importanza per il sindacato. Certe cose accadono ormai da mezzo secolo, ma hanno visto una recrudescenza negli ultimi mesi. Non possiamo non citare, ad esempio, quello che è accaduto recentemente al largo della Siria: un peschereccio mazzarese è stato letteralmente preso a pietrate, oltre ad essere speronato più volte da altre imbarcazioni turche. Il motivo? Ritengono che quello sia il loro mare, sebbene si tratti effettivamente di acque internazionali. Il peggio è stato evitato grazie all’intervento di una vedetta turca e della Marina Militare Italiana che, lo voglio sottolineare, svolge un grande lavoro nel Mediterraneo, per vigilare e difendere i lavoratori italiani e siciliani. Così come si è evitato il peggio il 3 ed il 7 maggio scorsi, sempre in acque internazionali, al largo della costa libica. Proprio per questo, come UGL, chiediamo al governo nazionale il potenziamento della vigilanza da parte della Marina”.
“È giunta l’ora il Parlamento italiano istituisca finalmente la zona economica esclusiva, come hanno fatto da tempo cinque stati dell’area mediterranea. Deve essere inserita, con valore prioritario, nel calendario dei lavori d’aula. Da troppo tempo c’è un disegno di legge rimasto in sospeso. Questa legge non risolverebbe il problema, ma creerebbe le condizioni affinché si inizi a dialogare. A volte, infatti, può essere utile mostrare i muscoli, usare la forza dal punto di vista politico-istituzionale. Il Presidente del Consiglio Mario Draghi si è recato in Libia per la sua prima visita istituzionale fuori dall’Italia, allo scopo di riattivare rapporti di cooperazione e collaborazione, difendo così gli interessi italiani in campo energetico ed infrastrutturale. Tutto giusto, però a nostro avviso, all’interno di questi dialoghi, andrebbe calato anche il tema della sicurezza sul luogo di lavoro della marineria siciliana.
“Chiediamo, inoltre, al governo nazionale di farsi parte in causa, presso l’Unione europea, per riaprire il confronto con questi stati. Serve che tutti si mettano intorno ad un tavolo, per definire regole comuni di accesso, gestione, ripopolamento nel Mar Mediterraneo. Non vogliamo che si decida di aprire un dialogo solo dopo aver pianto dei morti. Non va dimenticato, infatti, che tra gli anni ’60 e ’70 alcuni lavoratori hanno perso la vita per attacchi tunisini e libici.
Il nostro paese, da questo punto di vista, potrebbe svolgere un importante ruolo di mediazione. Ruolo che compete anche al governo regionale siciliano, dal momento che il Presidente Nello Musumeci ed il suo vice Gaetano Armao, presiedono due importanti commissioni all’interno del Comitato delle Regioni dell’Unione Europea.
Un impegno forte, chiaramente, dovrebbe venire anche dai parlamentari siciliani eletti nel consesso europeo. Lo ripeto, il tema centrale rimane quello del partenariato, che deve essere potenziato sempre di più, allargandolo alle parti sociali ed ai territori, perché è da lì che arrivano le istanze più urgenti… E dalla Sicilia arriva questa istanza: l’Ue non può più occuparsi soltanto dei mari del Nord Europa o dell’Atlantico, ma deve mettere al centro della propria politica estera il Mediterraneo, lo specchio d’acqua più importante al mondo”.
La tracciabilità e la qualità del pescato: quali assicurazioni per i consumatori?
“Parlando sempre di pesca d’altura posso dire, con certezza, che le imbarcazioni sono altamente strutturate. La filiera inizia proprio a bordo del natante, perché il prodotto catturato viene subito stivato e congelato seguendo le regole stabilite circa la salubrità e il trattamento del pescato.
Una volta arrivato in porto, poi, il prodotto viene trasferito su camion, sui quali viene mantenuta la giusta temperatura, per raggiungere i mercati dove è richiesto.
Mi permetto di dire che, così come il prodotto, anche l’intera catena del freddo che viene attivata è di altissima qualità. È importante, inoltre, garantire al consumatore la possibilità di scegliere – in base al proprio potere d’acquisto – cosa comprare. Da questo punto di vista è fondamentale l’etichetta, che deve indicare correttamente il luogo di cattura, l’azienda che l’ha effettuata, la catena del freddo. In questo modo si distingue nettamente, ad esempio, il gambero pescato nel Canale di Sicilia, da quello proveniente dall’Oceano Pacifico o dall’Oceano Indiano. Il governo italiano e la regione siciliana dovrebbero salvaguardare e tutelare sempre di più le specie siciliane di altissima qualità, per garantire appunto l’identificazione del loro valore effettivo”.
Vittorio Sangiorgi