Si continua a strombazzare una vergognosa menzogna e cioè che il Sud Italia cresce più del Nord Italia. Cosicché i vari mezzi di comunicazione fanno da cassa di risonanza a una comunicazione che intossica l’opinione pubblica perché trasmette notizie non vere.
Non riusciamo a comprendere la posizione di chi fa informazione e, in particolare, della categoria dei giornalisti, che hanno il dovere di comportarsi in linea con il Testo Unico dei Doveri e, cioè, con quelle norme etiche che devono essere il fondamento di chi fa un’attività così delicata come quella dell’informazione, che ha il potere di condizionare chi la riceve.
Spieghiamo meglio il senso di quanto abbiamo scritto. L’informazione ha comunicato che in quest’ultimo anno il Pil del Mezzogiorno è aumentato di più di quello del Nord in base ad incrementi percentuali: per esempio, il Sud più 1,5 per cento, il Nord più un per cento.
A prima vista l’informazione non fa una grinza. Dov’è l’imbroglio da noi portato in evidenza? Ve lo spieghiamo attraverso un esempio numerico elementare: se il Pil del Sud è mille e quello del Nord è duemila, l’incremento dell’uno per cento su mille è dieci; l’incremento dello 0,8 per cento su duemila è sedici. Dal che, come è ovvio, si deduce che sedici è più di dieci e, quindi, il Pil è aumentato di più nel Nord e molto di meno nel Sud, col che, appunto, il divario si incrementa.
Questo gap sarà presente negli anni futuri perché tutti i Governi dal Dopoguerra a oggi non hanno messo in campo azioni che potessero diminuire tale divario. Ancora oggi esiste una legge che destina al Sud il quaranta per cento delle risorse pubbliche, cioè una misura pari alla dimensione del Mezzogiorno. Dal che si deduce, in modo elementare, che finché vengono ad esso destinate le stesse risorse ordinarie che vengono date al Nord e al Centro, non vi potrà essere una restrizione del maledetto divario.
Perché in questi numerosi decenni i Governi non hanno tentato di diminuire la forbice? Vi sono almeno due risposte: la prima riguarda le pressioni dei gruppi di potere delle stesse regioni del Nord per aver quantomeno la stessa fetta di risorse di sempre.
La seconda riguarda l’atavica mentalità di chi gestisce il potere consistente, nel fatto che è sempre meglio avere una popolazione povera e ignorante che non ricca e sapiente, per la semplice ragione che un popolo bisognoso e poco colto è molto più gestibile perché tende la mano per ricevere l’elemosina, proprio a causa di quei bisogni che spingono ad avere un comportamento subordinato.
La questione che oggi vi scriviamo parte dal 1860 quando Cavour, spinto dalla massoneria inglese, e soprattutto dagli enormi debiti che il Regno di Sardegna aveva, ideò l’ingegnoso progetto di annettersi il Regno delle due Sicilie, che invece era ricco di danaro, cultura e commerci. Cavour, come a tutti/e è noto, utilizzò Giuseppe Garibaldi – che di professione faceva le guerre, come in Brasile e in Argentina – il quale si prestò al gioco fino a quando lo scoprì, ribellandosi e andandosene in esilio a Caprera.
La storia si ripete come vedete e, contrariamente a quanto si pensi, non insegna nulla.
Il reddito pro capite dei/delle siciliani/e è la metà di quello dei/delle lombardi/e. La Sicilia ha un Pil inferiore a cento miliardi; la Lombardia ha un Pil vicino ai cinquecento miliardi, più di qualche Nazione europea.
La Lombardia è in Europa, la Sicilia è in Africa. Ciò è accaduto anche perché la Sicilia non ha mai avuto grandi leader, soprattutto negli ultimi decenni, se togliamo dal conto Rino Nicolosi e Piersanti Mattarella.
Nella nostra Isola la cappa di mafia e massoneria è soffocante; va da sé che non possiamo non evidenziare come le due organizzazioni funzionino anche nel Centro e nel Nord Italia, ma è ovvio che dove vi è una debolezza sociale ed economica la loro cappa è molto più asfissiante.
Nella nostra Isola abbisognano urgentemente investimenti in infrastrutture, in riparazioni idrogeologiche del territorio e in modelli organizzativi che attraggano investimenti, soprattutto nel turismo.