Riflessioni circolari

Pnrr, all’economia circolare soltanto l’1 per cento dei fondi

di Chicco Testa
Presidente Assoambiente

Mentre imperversa il dibattito nazionale su quanto stiamo davvero utilizzando le risorse del Pnrr, il Ministero dell’Ambiente ha finito di pubblicare tutte le sette graduatorie dei bandi per l’economia circolare. Possiamo quindi fare un primo bilancio su cosa il Mase ha finanziato e che impatto potrà avere sul settore rifiuti ed economia circolare in Italia. Per adesso il Pnrr ha stanziato in tutto 2,1 miliardi di Euro per interventi sull’economia circolare articolati in due misure: una dedicata ai gestori dei rifiuti urbani e alle Autorità di Ambito (1,5 miliardi) e una dedicata ai rifiuti speciali e alle imprese, i cosiddetti “progetti faro” (600.000 di euro). Una cifra non grande, pari all’1,1% dell’intero Pnrr (191 miliardi circa). Evidentemente l’economia circolare non è stata considerata questa grande priorità dal Governo italiano.

Il valore totale dei finanziamenti Pnrr per l’economia circolare è pari a meno del 10% del fatturato complessivo annuo delle imprese del settore gestione rifiuti urbani e rifiuti speciali, pari a circa 25 miliardi di euro. Considerata in questo modo l’iniezione di risorse a fondo perduto nel sistema rappresenta un valore non piccolo. Va vista quindi la qualità di questa spesa, per capire se potrà davvero contribuire alla innovazione gestionale ed impiantistica di questo settore delicato e strategico. E qui iniziano i problemi.

Il Mase ha proceduto esclusivamente per “bandi”, organizzati in tre misure per i rifiuti urbani (dedicati ai gestori dei rifiuti urbani tramite le ATO o i comuni) e quattro per i “progetti faro” (destinati alle imprese di mercato). Un percorso formalmente complesso, che si è avviato nel dicembre 2021 e solo alcuni giorni fa (16 mesi dopo) si è conclusa la fase della pubblicazione della graduatoria definitiva di tutte le 7 misure (al netto di ricorsi e accessi agli atti). Ora verranno perfezionate le aggiudicazioni ed i contratti di finanziamento e le aziende avranno tempo fino al 2026 per realizzare le opere e non perdere i finanziamenti. Molto tempo perso per le procedure di gara e poco tempo disponibile per realizzare le opere. Si poteva scegliere una strada più di mercato (come Industria 4.0) consentendo un accesso diretto delle aziende ai finanziamenti, come credito di imposta oppure come agevolazione fiscale, individuando impianti e servizi prioritari, dando più tempo alle aziende per la fase di progettazione, autorizzazione e realizzazione. Ma ormai è andata così.

L’esito finale delle graduatorie, come era prevedibile, presenta un forte carattere di frammentarietà e non sempre di aderenza alle reali necessità del Paese. Il caso più incredibile è l’assegnazione di risorse ad un certo numero di impianti di digestione anaerobica per la frazione organica dei rifiuti urbani e la produzione di biometano, in tutte le regioni meno che nelle tre che ne hanno più bisogno: Toscana, Lazio e Campania. Una assurdità cui il Ministero sta provando a dare una risposta finanziando i progetti di queste regioni “a rischio” con i fondi di React EU. In compenso le commissioni di valutazione dei progetti hanno ritenuto meritori progetti di singoli comuni con dimensioni molto piccole, un controsenso.

La frammentazione dell’effetto graduatorie sta nei numeri. Le tre graduatorie della misura “rifiuti urbani” hanno finanziato oltre 1000 progetti per una spesa globale di 1,5 miliardi, quindi un finanziamento medio di poco più di 1,5 milioni. Soprattutto la misura che finanziava cassonetti intelligenti e centri di raccolta, ha premiato 985 progetti, per un importo medio di 600.000 euro. Ha senso finanziare progetti cosi piccoli in un piano di modernizzazione del settore come il Pnrr? Vanno meglio le misure per gli impianti, con una spesa di 900 milioni divisi in una settantina di progetti per una spesa media di 10/15 milioni di euro. Circa 400 milioni di euro sono dedicati a nuovi digestori anaerobici. Un dato più ragionevole, ma limitato ad impianti spesso piccoli e di dubbia redditività. Era preferibile semplificare i processi autorizzativi per gli impianti medio grandi, lasciar fare al mercato ed eventualmente usare i fondi Pnrr per migliorare gli incentivi di mercato al biometano e al biogas.

Più interessanti le quattro graduatorie dei “progetti faro”, con il finanziamento di 192 progetti e con una spesa totale di 600 milioni, quindi una spesa media per progetto pari a oltre 3 milioni di Euro. Si tratta di impianti industriali di filiera, proposti da imprese che operano nei diversi settori e che si concentrano sull’ammodernamento degli impianti esistenti e la realizzazione di nuovi per il riciclo dei rifiuti di apparecchiature elettriche, elettroniche, di carta e cartone, dei rifiuti plastici (inclusi i cosiddetti rifiuti marini), per il riciclo delle a delle frazioni di tessili pre e post consumo. Il finanziamento pubblico copre il 35% delle spese del progetto, quindi l’incentivo genererà un volume complessivo di investimenti pari a poco meno di 2 miliardi di euro. Se i processi autorizzativi e sindrome Nimby non saranno di ostacolo è possibile che questa misura produca effetti interessanti. Si poteva quindi spostare su questa linea di finanziamento una quantità superiore di risorse.

Insomma forse il settore dei rifiuti sarà fra quelli che spenderà le risorse del Pnrr (sempre che autorizzazioni e dibattito pubblico lo consentano). Conclusa la fase della scelta dei progetti ora restano tre anni scarsi per fare gli interventi. Ci sarà da correre. Una parte dei progetti potrebbe produrre buoni risultati industriali. Una parte sono finanziamenti a pioggia di piccoli progetti (specie al Sud) e di soluzioni impiantistiche destinate ad alterare il mercato.