ROMA – Il Piano nazionale di ripresa e resilienza e la sua attuazione sono stati tra gli argomenti ricorrenti in occasione della 39^ Assemblea nazionale dell’Anci, che si è conclusa nella giornata di ieri. A puntare i riflettori sul tema è stata, tra gli altri, il presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che ha evidenziato come l’attuazione del Pnrr non proceda a ritmo spedito. La premier ha sottolineato la necessità di “accelerare l’iter di approvazione dei progetti”, segnalando allo stesso tempo “problemi di regole rigide, complesse” per l’iter burocratico. “L’accelerazione delle procedure – ha affermato la leader del Governo – è la priorità assoluta, servono modalità semplici, stabili”.
Tra le parole della premier, insomma, si legge il timore che l’Italia possa perdere questo appuntamento fondamentale per il suo futuro, vanificando un’opportunità di crescita e sviluppo più unica che rara. La tesi secondo cui le cose non stiano procedendo secondo tabella di marcia la ha recentemente sostenuta anche Confindustria, che in una nota del Centro studi pubblicata lo scorso 28 ottobre, a firma di Francesca Mazzolari e Stefano Olivari, ha messo in evidenza tutte le criticità che la Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza (Nadef) ha sollevato in relazione al Pnrr.
“La Nadef – si legge nel documento in questione – ha evidenziato ritardi nella capacità di spesa da parte dello Stato. È stato speso meno di un terzo di quanto previsto nel 2020/2021 e sarà speso la metà di quanto previsto per il 2022. L’entità del rinvio è preoccupante perché le risorse arriveranno più tardi ai beneficiari finali delle misure. Tuttavia, potrebbe darsi che alcuni investimenti siano stati realizzati ma non ancora adeguatamente rendicontati sul sistema di monitoraggio e rendicontazione Regis, specialmente per i progetti già in essere (per esempio Transizione 4.0 e le misure di efficientamento energetico). Un’altra giustificazione potrebbe risiedere nel fatto che la programmazione originaria delle spese non fosse coerente e commisurata alle reali capacità di spesa della pubblica amministrazione”.
Insomma, non tutto è perduto. Ma i dubbi sono tanti e non sono di poco conto. Per Confindustria, infatti, “la fattibilità economica degli investimenti programmati e il rispetto delle tempistiche sono le due principali incertezze legate all’implementazione del Pnrr. A maggio, l’Ufficio parlamentare di Bilancio stimava che se il Piano fosse attuato con efficienza ‘media o bassa’, la perdita sarebbe quantificabile tra lo 0,9 e gli 1,8 punti percentuali di variazione di Pil in meno rispetto ai 3,2 punti di crescita aggiuntiva prevista a fine 2026, indicata nel Programma nazionale di riforma 2022 sotto l’ipotesi di ‘elevata’ efficienza attuativa”.
Finora il Piano italiano, in linea con quelli degli altri Paesi europei, è stato attuato rispettando le scadenze formali concordate. Tutte le 51 condizioni previste per il 2021 e le 45 previste entro giugno 2022 sono state conseguite per consentire l’erogazione della seconda rata da 21 miliardi di euro. Entro fine anno dovranno essere rispettate ulteriori 55 condizioni per poter ricevere la terza rata da 19 miliardi.
Ma se si passa dagli adempimenti previsti sulla carta alle spese effettive, ecco che i nodi iniziano a venire al pettine. “Se per ora traguardi e obiettivi sono in linea con il cronoprogramma – viene evidenziato dal Centro studi di Confindustria – si è rilevato un ritardo nella capacità di spesa. La Nadef 2022 indica che nel periodo 2020/2021 sono stati spesi solo 5,5 miliardi sui 18,5 programmati, ovvero meno di un terzo di quanto originariamente previsto nel Def 2021. Per l’anno in corso è previsto un dimezzamento della spesa rispetto a quanto ipotizzato nel Def di aprile scorso: dei 29,4 miliardi di euro se ne spenderanno probabilmente solo 15. Di conseguenza, la spesa dei 26,7 miliardi di mancate attuazioni nel triennio 2020-2022 è rinviata agli anni successivi, con un aumento consistente nel biennio 2025-2026”.
Inoltre, per l’associazione degli industriali, “l’entità del rinvio è preoccupante se si pensa che il ritardo di spesa da parte dello Stato implica che queste risorse arriveranno ai soggetti attuatori del Piano (tra cui gli enti locali) e ai beneficiari finali delle misure (tra cui le imprese) più tardi del previsto e insieme alle altre risorse che si era programmato di spendere in quegli anni”.
La lettura di Confindustria, però, non è del tutto pessimista, tant’è che vengono evidenziati almeno due fattori potrebbero giustificare i rinvii di spesa osservati: il primo, già citato, è legato al funzionamento della piattaforma Regis: alcuni investimenti, infatti, potrebbero essere stati realizzati ma non ancora rendicontati adeguatamente sul sistema di monitoraggio e rendicontazione “bottom-up” attivo da luglio, dove i soggetti attuatori del Piano caricano i dati sullo stato di avanzamento dei singoli progetti. Questa ipotesi è tanto più probabile per quegli interventi che erano stati avviati prima dell’approvazione del Pnrr, già nel 2020-2021, e per i quali si prevedeva che i finanziamenti nazionali sarebbero stati sostituiti con le risorse del Piano. Per questi appare piuttosto improbabile che le risorse non siano state ancora spese; nel secondo caso la programmazione originariamente ipotizzata potrebbe non essere stata coerente con i rispettivi traguardi e obiettivi del Piano. Sin dall’origine, infatti, non sono stati chiari i criteri con cui le risorse sono state quantificate e distribuite temporalmente per ciascun investimento, non essendoci alcuna relazione tecnica sottostante. Quindi, è possibile che gli importi non fossero commisurati alle reali necessità e alla capacità di spesa della pubblica amministrazione. In ogni caso, se ne saprà di più alla fine dell’anno, anche in considerazione dell’accelerazione promessa dal Governo nazionale.
Nonostante gli interventi a livello centrale, occorre tenere conto anche dell’attuale congiuntura economica, che rende tutto più complicato. Nonostante i provvedimenti adottati da Roma per contrastare gli extracosti, le tempistiche sono piuttosto strette e i rincari, soprattutto dell’energia, possono non rendere conveniente alle imprese partecipare alle gare di appalto, lasciando di fatto alcuni progetti irrealizzabili. Inoltre, la carenza di alcuni materiali può rendere concretamente difficoltoso realizzare alcuni investimenti nei tempi previsti. Basti pensare che l’Associazione nazionale dei costruttori edili (Anci) ha quantificato i maggiori costi per le imprese derivanti da rincari e carenza di materiali in circa il 35% in più rispetto ai prezzi già aggiornati a inizio 2022. “La scarsa convenienza economica di alcuni bandi – viene spiegato da Confindustria – ha sicuramente contribuito a che diverse gare d’appalto andassero deserte”.
Permane poi il problema strutturale dell’effettiva capacità delle Amministrazioni, specie territoriali, di bandire ed eseguire le gare d’appalto successive alla ripartizione dei fondi Pnrr. Il raggiungimento quantitativo di alcuni traguardi potrebbe infatti essere minacciato dalle elevate differenze tra le performance delle Pa coinvolte. Si pensi, per esempio, alla carenza di tecnici più volte denunciata a livello siciliano.
Ma che cosa accadrebbe se gli obiettivi fissati dalla Commissione europea per la concessione delle risorse non venissero rispettati? Anche su questo, lo studio prodotto da Confindustria ha cercato di fare chiarezza: “In caso di ritardo, si potrebbe concordare un posticipo ragionevole con la Commissione. Se uno Stato membro si rendesse conto di non riuscire a rispettare una scadenza potrebbe concordare con la Commissione un posticipo della stessa (es. dal 31 dicembre 2022 a 31 gennaio 2023). Una volta raggiunta anche la condizione posticipata, come di consueto, lo Stato membro presenterà la richiesta di pagamento della rata e sottoporrà i traguardi e obiettivi alla valutazione della Commissione”.
“In caso di un mancato raggiungimento di un obiettivo – aggiungono gli industriali – la rata è sospesa. Potrebbe altresì accadere che la Commissione giudichi che un traguardo o obiettivo in scadenza non sia raggiunto dallo Stato in maniera soddisfacente. In tale circostanza, il pagamento di una parte o della totalità della rata viene sospeso e inizia un dialogo con la Commissione, scandito da tempistiche rigorose, in cui lo Stato membro è chiamato a presentare le proprie osservazioni e ad agire entro certi termini per evitare una sospensione dei pagamenti via via crescente e proporzionata al grado di inazione. In caso di grave inadempimento, la Commissione può addirittura risolvere gli accordi di prestito e recuperare l’intero prefinanziamento. Invece, se lo Stato membro decide di adottare le misure necessarie per raggiungere il traguardo o l’obiettivo mancante, riceverà il pagamento non appena la Commissione giudicherà soddisfacenti i risultati raggiunti”.
Ma vi sono anche altri scenari possibili, come spiega ancora il Centro studi di Confindustria: “Esistono alcune fattispecie in cui è possibile modificare il Pnrr, tra cui il caso in cui circostanze oggettive ne impediscano la realizzazione. Infatti, il Regolamento europeo del dispositivo Recovery and Resilience Facility ha previsto che, qualora ‘circostanze oggettive’ impediscano la realizzazione parziale o totale degli interventi previsti nel Pnrr, uno Stato possa chiedere alla Commissione una modifica o sostituzione di alcuni interventi e dei relativi traguardi e obiettivi. Tra le ‘circostanze oggettive’ rientrano l’elevata inflazione e la crisi energetica attuale. In ogni caso, in sede di eventuale revisione, la Commissione valuterà ogni singola misura proposta chiedendo indicazioni dettagliate sul perché una certa condizione non è più raggiungibile e altre informazioni per valutare al meglio le modifiche”.
Citando il celebre sceneggiatore, scrittore e umorista Ennio Flaiano si potrebbe dire che “la situazione è grave ma non seria”, ma certo il monito di Meloni non può essere ignorato. Serve uno sprint sul Pnrr e serve già dai primi mesi del 2023, anno che sarà decisivo per capire se l’Italia sarà davvero in grado di vincere questa sfida o di perdere un’occasione epocale per rilanciare l’economia e migliorare il benessere dei cittadini.