Editoriale

Pochi medici, aprire il numero chiuso

I mass media trasmettono le lamentazioni di questo e di quello relativamente al fatto che mancano medici nella sanità italiana. Non è la verità. Complessivamente i medici non mancano, ma essi vanno dove trovano più soddisfazioni professionali ed economiche.
Non ci risulta che tutto il comparto della sanità pubblica a conduzione privata si lamenti della carenza di medici, anzi sostiene che il pronto soccorso dovrebbe essere consentito sempre, anche a esso.

Dunque, il problema esiste solo per la sanità a conduzione pubblica. Perché? Perché in essa non vi è la sufficiente organizzazione che premi il merito e che consenta di aumentare la produttività di chi vi lavora, con la conseguenza che il personale sembra non bastevole, ma in effetti ve n’è in quantità sufficiente, però funziona male per una disfunzione organizzativa. Questo accade perché il modello non è idoneo a strutture di migliaia di persone.

È stata posta la questione del numero chiuso, che non consente l’accesso libero alle facoltà universitarie di medicina. La spiegazione è stata che i corsi debbono avere un’alta qualificazione professionale e perché ciò avvenga non possono essere saturati in soprannumero.
Non sappiamo se questa motivazione sia vera o meno, sappiamo però che non vi dovrebbe essere un divieto di accesso a tutti, bensì una selezione rigorosa per potervi accedere. In altre parole: numero aperto, ma con selezione per far passare solo i/le giovani più meritevoli, quelli/e che hanno il fuoco nelle vene, che intendono crescere e riuscire professionalmente.
Tutto questo, però, confligge con le esigenze delle università, le quali non sempre gestiscono le loro attività nell’interesse generale, ma in quello di parte.
A tal proposito poniamo la questione che più volte abbiamo rilevato e cioè che i corsi terminali, quelli della magistrale, dovrebbero consentire ai/alle giovani di trascorrere lunghi mesi nelle aziende, nei laboratori di ricerca, negli ospedali e in altri luoghi, per cominciare sin da quel momento a comprendere come funzionano le cose nel mondo del lavoro.

Non scopriamo l’acqua calda perché tutto questo si fa in moltissime università europee e non.
Questo processo serve a evitare che i/le giovani laureati/e dopo cinque o più anni si trovino di botto ad affrontare le questioni che vi sono nel mondo del lavoro e di cui non hanno cognizioni se non teoriche.
Nel mondo della medicina vi è stata l’innovazione recente che la laurea è abilitante, per cui gli/le universitari/e del sesto anno hanno l’obbligo di fare un tirocinio di sei mesi a fianco di un medico, che poi certificherà l’idoneità. Per cui, preso il “pezzo di carta”, possono iscriversi automaticamente all’albo dei medici ed esercitare la professione.
Ora, con tutto il rispetto per chi ha avuto questa meravigliosa idea, personalmente non metterei mai la mia salute nelle mani di un/a giovane medico appena laureato/a, senza esperienza, senza specializzazione e senza il periodo di preparazione per l’esame di stato.

La questione che poniamo – non da ora – riguarda la qualità delle professioni, cioè quel requisito essenziale che deriva dalla competenza, dalla conoscenza, dall’esperienza; in altri termini, da ciò che è assolutamente necessario per potere effettuare bene la propria attività.

Ma, si sa, nel nostro Paese in genere la qualità è l’ultimo requisito che si cerca, mentre si difendono gli incompetenti, i fanfaroni, quelli che non hanno voglia di lavorare o studiare e di tanta altra gente che vorrebbe vivere come parassita in quanto ci dovrebbe essere qualche altro che la mantiene.
Per fortuna il mondo va avanti perché ci sono persone qualificate che hanno un’enorme buona volontà e che si sacrificano per gli altri e per se stesse, che vogliono raggiungere buoni risultati contando sulle proprie forze, in quanto – come scriviamo sempre – “pensano con la propria testa e non con la testa degli altri”.
Andare dai migliori medici è una guarentigia per la nostra buona salute, che dovrebbe essere la nostra priorità.