Editoriale

“Poliburocrazia”, il vero cancro del Paese

Tito Boeri e Sergio Rizzo hanno scritto un libro interessante intitolato “Riprendiamoci lo Stato”, in cui hanno coniato un termine riassuntivo del peggior cancro che grava sul nostro Paese: la “Poliburocrazia”. Sarebbe il connubio fra il sistema istituzionale e quello amministrativo. Il primo, attraverso il Parlamento, formula le leggi – seguite poi da decreti legislativi, decreti ministeriali e così via – il secondo, invece, le applica.

Le leggi, questo è il problema: non tanto perché siano severe, quasi implacabili e quindi da applicarsi senza alcun dubbio, quanto perché sono scritte in modo indecoroso, spesso da analfabeti del diritto e dell’italiano, i quali danno l’impressione che la loro performance abbia lo scopo di impedire ai cittadini di capire il senso e la portata delle norme. Si tratta di un grave vulnus che è sempre peggiorato di anno in anno e non sembra in stato di miglioramento.

Sorge la domanda: ma questo modo sempre più oscuro e intricato di formulare le leggi è frutto di incrementale ignoranza oppure di un disegno perverso che ha proprio lo scopo di non far capire la loro portata, quindi di confondere i cittadini e di consentire agli apparati burocratici di fare quello che vogliono nei meandri delle gallerie contorte?

Comprendiamo che qualcuno possa osservare che si tratti di una considerazione molto grave, ma i fatti parlano chiaro: le leggi ormai non le capisce quasi nessuno, salvo gli addetti ai lavori.
Anche i giudici e gli avvocati, nel districarsi fra le norme, hanno difficoltà a emettere sentenze eque e imparziali successive a memorie presentate dalle parti.

Ricordiamo che i giudici hanno l’obbligo legale di conoscere tutte le norme vigenti, non solo quelle approvate dal Parlamento italiano, ma anche quelle europee, anche se non citate nei processi (Iura novit curia). Non solo, ma devono tenere conto delle sentenze dei più alti gradi, cosicché il loro compito non è semplice e non sempre perviene alla necessaria equità delle decisioni che prendono.
Perché vi scriviamo queste cose? Per cercare di capire insieme la causa, forse la maggiore, del regresso del nostro Paese.

Se la ricchezza prodotta si misura in termine di Prodotto interno lordo (Pil), la cultura, la conoscenza e la competenza non hanno ancora trovato indici sufficienti per indicarle. Ma a giudicare dai concorsi pubblici, nei quali poca gente traghetta verso le mete agognate, dalle strampalate circolari ministeriali e dai livelli più bassi, dalle piattaforme che dicono come sia facile interloquire mentre è complicatissimo, e da altri elementi, emerge una triste e cruda verità: il nostro Paese si imbarbarisce sempre di più.
Qual è la causa? Diremmo piuttosto la responsabilità del ceto politico che ha il dovere di guidare il Paese verso la crescita e di ridistribuire la ricchezza prodotta in base alle necessità della popolazione.
C’è di più. Gli apparati burocratici molto spesso condizionano la politica con una sorta di rovesciamento del potere perché i parlamentari hanno un grado di cultura e competenza non elevato e un grado di professionalità modesto, per cui spesso non capiscono i testi delle norme che i burocrati portano alla loro attenzione e sono incapaci di valutarne la portata ed il contenuto.

“Poliburocrazia”, dunque, denominato il cancro maggiore del Paese da Boeri e Rizzo. Una parola che descrive in modo drammatico la parte più importante dell’Italia che dovrebbe trainare il popolo sotto il profilo economico e sociale.

La pochezza del ceto politico è dimostrata dal continuo blaterare dei leader che non trasmettono ai cittadini i fatti per come sono, ma che si inventano letteralmente questioni simili a quelle vere.
Per esempio, continuano a parlare di bollette, di inflazione, di aumento della povertà, ma non spiegano che questi fenomeni sono frutto di decisioni sbagliate, sia a livello del proprio governo che a quello dell’Unione europea nel suo complesso.

Un ceto politico-istituzionale che continua a volere aumentare la spesa pubblica in maniera indiscriminata, soprattutto quella corrente, dimentica, forse per incompetenza, che essa dovrebbe essere destinata agli investimenti.
Un anno così, fino alle elezioni del 2023, rischia di affossare il Paese e più ancora il Meridione.