Nel nostro Parlamento risiedono duecento senatori/trici, oltre ai cinque senatori/trici a vita e quattrocento deputati/e. I/le seicento parlamentari costituiscono l’élite o la crème della popolazione, vale a dire gli eletti.
Come tali, dovrebbero essere lungimiranti, cioè in condizione di guardare il futuro a dieci o quindici anni (se non di più) per sapere in che direzione debba andare il nostro Paese.
Ovviamente, come eletti, cioè “i primi o le prime della classe”, dovrebbero avere competenze vaste di ogni genere: letteratura, filosofia, storia, geografia, matematica, sociologia, economia, ecologia, antropologia, fisica, diritto e altro; oltre alla conoscenza di un paio di lingue e aver letto almeno qualche migliaio di libri in diversi campi.
È vero che i/le parlamentari quando si candidano devono per legge godere soltanto dei diritti civili e politici; è anche vero che la loro coscienza dovrebbe portarli/e a sapere se si ritengono idonei/e a rivestire una carica di tale enorme responsabilità. Infatti, il Parlamento approva le leggi e controlla il Governo perché gli dà o gli revoca la fiducia.
Come si vede dal rapido quadro delineato, la figura del parlamentare dovrebbe non soltanto essere di alto profilo, ma riconosciuta come tale.
È così nel nostro Parlamento? Non ci sembra, tant’è vero che al suo interno esiste una denominazione di tantissimi/e di quei membri, i/le quali, proprio perché sono “Yes men”, vengono denominati/e “Peones”.
Purtroppo gli “Yes men” o “Peones” nel Parlamento sono in grande maggioranza, per cui essi/e eseguono i diktat delle loro segreterie politiche e guai se vanno al di fuori degli “ordini” ricevuti.
È vero che ogni parlamentare è tutelato dall’articolo 67 della Costituzione, per cui una volta eletto/a non ha vincolo di mandato e quindi può tranquillamente collocarsi in qualunque gruppo parlamentare della Camera o del Senato. È anche vero, però, che ciascuno/a di essi/e è condizionato/a dall’inserimento nelle liste della seguente elezione e quindi chi non ha in sé i requisiti per fare il/la parlamentare, di fatto è un suddito/a delle stesse segreterie, le quali, appunto, hanno l’arma della candidatura con cui controllano gli eletti.
Quanto precede risulta a vista d’occhio essere uno scenario negativo, perché il nostro Popolo ha bisogno di guide, competenti, di grande capacità, atte a far crescere culturalmente ed economicamente il nostro Paese.
C’è un modo per correggere questa stortura? Sicuramente, ma confligge con quelli che hanno in testa una cosiddetta democrazia “pura” e perciò stesso irreale. Quale sarebbe il rimedio? La dimostrazione da parte di ogni candidato delle proprie competenze, anche attraverso le esperienze professionali e lavorative che sono state svolte antecedentemente alle candidature.
Invece, abbiamo trovato elenchi di disoccupati/e (perché non avevano presentato l’Unico) e altri/e che facevano i/le bibitari/e o le colf, tutti/e diventati/e parlamentari.
Quanto scriviamo è una delle ragioni, forse la più importante, del declino continuo del nostro Paese in questi ultimi sessant’anni che, come ricordiamo, ha condotto l’Italia al fallimento nel 1992, quando il presidente del Consiglio, Giuliano Amato, dovette prelevare coattivamente lo 0,6 per cento dai conti bancari di ogni cittadino/a.
Sulla Democrazia si discetta da sempre, ma una democrazia ammalata come la nostra è migliore o peggiore di un altro tipo di democrazia (come quella diretta o quella partecipativa) o ancora di una dittatura intelligente? A giudicare dalla crescita tumultuosa, economica e culturale, della Cina, dovremmo subito dire che il Paese asiatico ha un regime istituzionale migliore del nostro. Certo, là mancano le libertà politiche e di pensiero, fondamentali per la crescita umana.
Anche in Svizzera, ove vige una democrazia diretta, i settori economico e sociale stanno sviluppandosi continuamente.
La questione che portiamo alla vostra attenzione oggi è di tipo strutturale, ma non sembri di poco conto perché il risultato è quel microscopico 0,9 di crescita del Pil stimato per il 2023, ma soprattutto l’aumento delle diseguaglianze sociali e le difficoltà dei poveri, che, nonostante il lavoro in nero, aumentano di giorno in giorno, mentre dovrebbero diminuire, se la guida governativa fosse saggia, lungimirante e capace.