Inchiesta

Ponte, autostrade e ferrovie: un “super-cantiere” in Sicilia per recuperare il gap e sostenere l’edilizia

Dalle 10 alle 22 ore per andare da Trapani a Ragusa. È il tempo di percorrenza del treno più lento di Italia, che a causa di interruzioni e lavori che durano da dieci anni compie una tratta rocambolesca che tocca quasi tutte le province siciliane. A fotografare il disagio dell’infrastruttura ferroviaria siciliana ma in generale del sud Italia è l’ultimo rapporto di Legambiente Pendolaria. Basta osservare la differenza del numero di corse giornaliere tra una regione del sud, come la Sicilia (506) e una del nord, come la Lombardia (2137). Una differenza dovuta alla mancanza di un servizio, all’inefficienza degli interventi, che portano i cittadini ad affidarsi al molto più sbrigativo mezzo privato.

Lo stato delle ferrovie al Sud

“Nonostante dei timidi miglioramenti – si legge nel rapporto Legambiente – in Italia la transizione ecologica dei trasporti è ancora troppo lenta. A pesare soprattutto sul trasporto su ferro, con pesanti ripercussioni sul sud Italia, sono i continui ritardi infrastrutturali, i treni poco frequenti, le linee a binario unico, la lentezza nella riattivazione delle linee ferroviarie interrotte, chiuse e dismesse, e poi le risorse economiche inadeguate”.

I dati parlano chiaro: dal 2018 al 2022 le inaugurazioni di nuovi binari in città sono state inadeguate, parliamo di un ritmo di un chilometro e mezzo all’anno di nuove metropolitane. Nel 2018 sono stati inaugurati 0,6 km, nel 2019 e 2020 neanche un tratto di nuove linee, nel 2021 1,7 km, mentre nel 2022 il dato sale a 5,3 km grazie all’apertura della prima tratta della M4 a Milano. Oltre alle poche inaugurazioni l’altro punto dolente delle ferrovie è quello relativo all’età dei mezzi, o almeno lo è per il Sud, dove i pochi treni che circolano sono mediamente più vecchi (e quindi più inquinanti e meno efficienti) rispetto a quelli del nord del Paese.

L’età media dei convogli in circolo al meridione è infatti di 18,5 anni, in calo rispetto a 19,2 del 2020 ma molto più elevata degli 11,9 anni di quelli del nord. A rendere ancora più lente le corse è la condizione dei binari: nelle regioni del mezzogiorno prevale il binario semplice a quello doppio. Condizione che ostacola l’aumento del numero di corse e quindi la velocizzazione delle tratte. In Sicilia, per esempio, su un totale di 1.490 chilometri di rete ferroviaria solo 223 sono quelli a binario doppio: praticamente l’85% dell’infrastruttura prevede un solo binario.

E la situazione è simile in altre regioni del Mezzogiorno: in Calabria il binario unico è circa il 70% dell’intera infrastruttura regionale, in Sardegna si raggiungono picchi del 98%, in Molise il 91% della ferrovia non prevede alcun raddoppio. Situazione differente al nord, dove si trova la Lombardia in cui la metà della rete prevede il doppio binario, o addirittura in Liguria dove solo un terzo dell’infrastruttura è a binario unico. Paradosso nel paradosso, oltre a non essere stato toccato dagli investimenti sull’alta velocità il sud non può contare ancora sui raddoppi che consentono di aumentare la capacità dei treni.

Va anche detto però che Rfi, almeno in Sicilia, è al lavoro per migliorare la rete ferroviaria con investimenti miliardari che tuttavia vedranno i loro frutti non prima del 2026. Frutti che comunque appartengono a progetti già esistenti da anni, come conferma al QdS Luca Bianchi, direttore dello Svimez.

Le tratte più malconce del Sud

Pendolaria 2023 ha fotografato nel dettaglio la lentezza d’intervento su alcune tratte che aspettano di essere sistemate anche da decenni. È il caso, ad esempio, della Catania-Caltagirone in cui nei primi sei mesi del 2022 oltre il 26% delle corse ha subito ritardi o soppressioni. A peggiorare la situazione è il fatto che la linea non si ferma in realtà a Caltagirone ma dovrebbe proseguire fino a Gela, anche se è impossibile arrivare fino a lì per i treni in quanto la tratta è chiusa dal 2011 a causa del crollo del ponte nei pressi di Piano Carbone. I lavori di ripristino della tratta sono iniziati nel 2022 e dovranno concludersi entro il 2026.

Altra tratta interessata dai lavori di Rfi è la Palermo-Trapani via Milo, chiusa dal 2013 a causa di alcuni smottamenti del terreno. Anche in questo caso la fine dell’intervento è prevista nel 2026 e nel frattempo chi da Trapani vuole arrivare a Palermo o viceversa è costretto ad impiegare cinque ore e mezza (a fronte dell’ora e mezza di macchina). I paradossi non ci sono solo in Sicilia: tra Napoli e Bari, per esempio, non esistono treni diretti. Mentre la tratta Corato-Andria in Puglia è ancora inattiva dopo 6 anni e mezzo dal tragico incidente del 12 luglio 2016 che causò 23 morti.

Investimenti regionali insufficienti

A far storcere il naso ancor più che le differenze sono i fondi che le diverse regioni destinano ogni anno alle loro ferrovie. Nemmeno a dirlo, le regioni con il servizio più efficiente spendono di più di quelle con il servizio più disastrato. In Sicilia, secondo i dati raccolti dall’associazione del cigno che fanno riferimento al 2020, solo lo 0,27% del bilancio regionale è stato predisposto per il materiale rotabile (57 milioni). In Lombardia gli stanziamenti regionali hanno superato quota 360 milioni di euro, con un’incidenza sul bilancio regionale dell’1,01%. I cittadini siciliani, a differenza di quelli lombardi, dovranno quindi aspettare di vedere i frutti degli investimenti previsti dal Pnrr (e quindi dallo stato con i soldi comunitari) per poter usufruire di un servizio che si avvicini a quello già esistente nel resto della penisola.

Ad oggi, i lavori previsti da Rfi sono: la linea Catania-Siracusa, l’ammodernamento e velocizzazione degli itinerari Palermo-Catania-Messina, Messina-Palermo e Messina-Siracusa, il ripristino della Palermo-Trapani via Milo, la chiusura dell’anello ferroviario di Palermo, la linea Palermo-Catania, il potenziamento del bacino di Augusta, l’elettrificazione della Palermo-Trapani (via Milo), la linea Palermo-Agrigento-Porto Empedocle, il collegamento con l’aeroporto Trapani Birgi, la tratta Ogliastrillo-Castelbuono e il ripristino della Caltagirone-Gela.

Le autostrade-cantiere

La scelta dell’autostrada rispetto al treno per i pendolari è resa evidente dalle condizioni appena descritte. Ma si tratta sempre di una scelta forzata: anche queste infrastrutture in realtà sono tutt’altro che in condizioni ottimali.

La Palermo-Catania (gestita da Anas) è un continuo slalom tra cantieri. La situazione peggiore però si registra nelle altre due tratte gestite dal Cas, la Messina-Catania (A18) e la Messina-Palermo (A20), dove oltre ai perenni cantieri (come quello per la frana di Letojanni il cui tratto è chiuso dal 2015) sono presenti situazioni di evidente pericolo rilevate anche dalla magistratura: sono 22 i viadotti della A18 messi sotto sequestro per le loro pessime condizioni, mentre nella A20 l’ultimo sequestro della magistratura è avvenuto a gennaio di quest’anno. Si tratta del viadotto Furiano interdetto al traffico dalla polizia stradale su ordinanza del Gip del tribunale di Patti, Andrea La Spada, a causa del “pericolo di crollo” dell’opera autostradale.

Anche nelle autostrade, tuttavia, sono previsti importanti investimenti. Di ieri è infatti la notizia di un nuovo piano di interventi sulla A19 da parte di Anas in fase di discussione con i vertici della giunta regionale siciliana. Si tratterebbe di un programma di nuovi investimenti per 250 milioni di euro, la velocizzazione dei cantieri attualmente aperti, la formazione di operai specializzati e un Piano di comunicazione per informare i cittadini sulle opere in corso. Un’iniziativa che arriva dopo la nota di protesta che il presidente della Regione Renato Schifani ha inviato nei giorni scorsi ai vertici della Spa, concessionaria della A19, e al ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini, lamentando il “preoccupante stato di abbandono e di degrado che dimostra una grave incuria nella gestione della manutenzione dell’infrastruttura”.

Secondo un report redatto dagli uffici dell’assessorato regionale delle Infrastrutture sulla A19, al momento ci sono 45 interruzioni, la quasi totalità delle quali senza nessun intervento in atto e senza operai. I cantieri attivi sono appena una decina.

Il nodo Ponte

L’infrastruttura delle infrastrutture in Sicilia è però quella che non esiste: il ponte sullo Stretto, che nella sua inesistenza costa ogni anno, secondo il bilancio 2021 della società Stretto di Messina, 533.476 euro allo Stato italiano. Praticamente 44,5 mila euro al mese di fondi pubblici. Di nuovo sul tavolo della politica nazionale questo ponte sembrerebbe essere pronto per la ripresa della realizzazione. Entro la fine di marzo ci sarà il Decreto ad hoc per il Ponte sullo Stretto, che disciplinerà il riavvio delle procedure di progettazione e di realizzazione dell’opera ed entro fine aprile verrà nominato il board della nuova società Stretto di Messina. È quanto emerso durante il tavolo per il collegamento stabile tra Calabria e Sicilia presieduto dal Vicepremier e Ministro Matteo Salvini. Nei prossimi giorni ci saranno ulteriori approfondimenti per aggiornare i flussi di traffico ipotizzati e l’impatto ambientale di una struttura che – secondo Salvini – sarà anche ecocompatibile e ridurrà in modo sensibile l’inquinamento.

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