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Prete confessa abusi su minorenni, 12 anni nel processo lampo a Catania

Processo di secondo grado lampo a padre Pio Guidolin arrestato il primo dicembre del 2017 da carabinieri a Catania per violenza sessuale su minorenni.

Il sacerdote ha presentato una confessione scritta alla Corte d’appello che ha chiuso il procedimento lo stesso giorno della prima udienza e lo ha condannato a 12 anni di reclusione.

Il Pg Maria Aschettino aveva chiesto dieci anni. In primo grado gli erano stati comminati 14 anni col rito abbreviato.

Secondo l’accusa padre Guidolin avrebbe cosparso i minorenni di olio santo prelevato dai locali della sua chiesa, nel popoloso quartiere del Villaggio Sant’Agata, ammantando i suoi gesti di una valenza spirituale e proponendoli a ragazzini come atti purificatori in grado di lenire le loro sofferenze interiori.

Una delle piccole vittime che aveva opposto resistenza alle azioni del sacerdote, rivelando gli abusi subiti negli anni, era stato isolato dalla comunità di fedeli e, accusato di calunnie, aveva tentato il suicidio.

Esprimo il mio “completo pentimento per i fatti per cui sono accusato”, dopo “una lunga riflessione” che “ha fatto di me un’altro uomo”, perché ho “fatto molto male” e sono “profondamente amareggiato e pentito”.

Così ha scritto nella sua “confessione” vergata a mano, padre Pio Guidolin.

“Mai e poi mai – ha aggiunto – succederanno nella mia vita futura fatti analoghi. Ho fatto molto male, oltre che a questi ragazzi, anche alle persone che credevano in me e di ciò sono profondamente amareggiato e pentito”.

Don Guidolin, nella missiva, chiede alla Corte d’appello di Catania di avere “considerazione del mio stato d’animo di oggi” che lo vede come “un uomo profondamente cambiato”. Il legale del sacerdote, l’avvocato Vittorio Lo Presti, ha chiesto alla Corte d’appello gli arresti domiciliari per don Pio, detenuto da 23 mesi.

Durante le indagini dei carabinieri, coordinate dal procuratore Carmelo Zuccaro, dall’aggiunto Marisa Scavo e dal sostituto Laura Garufi, inoltre è emerso che il sacerdote, per esercitare pressione psicologica nei confronti dei genitori delle piccole vittime che avevano deciso di denunciare i fatti, abbia anche millantato la possibilità di far intervenire esponenti della criminalità organizzata etnea per indurli a desistere dal loro proposito.