PRIOLO (SR) – Si profila all’orizzonte un nuovo caso Ilva per il depuratore del sito industriale di Priolo. Orientativamente dal 10 gennaio, in commissione Senato, sarà esaminato e discusso l’emendamento al decreto Lukoil presentato dal senatore catanese di FdI, Salvo Pogliese, ex sindaco di Catania, per evitare la paralisi del petrolchimico di Priolo e di tutto il polo degli idrocarburi di Augusta.
Il provvedimento si è reso necessario dopo che l’amministratore giudiziario del depuratore Ias, Antonio Mariolo, alcuni giorni prima delle feste ha intimato alle aziende del Petrolchimico di avviare l’interruzione del conferimento dei reflui industriali nell’impianto, ponendo nuovamente al centro dell’attenzione il possibile blocco del depuratore per grave inquinamento ambientale, decretando a cascata, senza interventi idonei la paralisi dell’intero polo industriale della raffineria del sud che serve per oltre il 15% il fabbisogno nazionale di idrocarburi.
Secondo quello che emerge l’amministratore avrebbe appurato, come era evidente, che le prescrizioni disposte dalla Procura dopo il sequestro a giugno dell’impianto non sarebbero state rispettate. Nella nota inviata alla Regione, al Tribunale di Siracusa, alle aziende coinvolte nello smaltimento oltre che al Comune di Priolo, l’amministratore fa presente che in assenza di queste controdeduzioni da parte dei proprietari dell’impianto su procederà all’avvio delle procedure di divieto a conferire. L’amministratore giudiziario sta osservando l’ordinanza del Gip del tribunale di Siracusa che ha disposto l’avvio delle procedure per giungere all’interruzione dei conferimenti.
Il presidente della Regione Renato Schifani ha precipitosamente nominato l’ex magistrato Giovani Ilarda commissario liquidatore del consorzio Asi Sicilia orientale, proprietario del depuratore, per avviare una interlocuzione con la Procura per arrivare a una soluzione che possa impedire una paralisi e allo stesso tempo il blocco dal lavoro per migliaia di operatori. Contemporaneamente si sta muovendo il governo e l’emendamento presentato da Pogliese mira ad ottenere una proroga delle procedure, scavalcando di fatto la decisione della Procura. C’è da chiedersi dove sia il confine tra il disastro ambientale e la necessità nazionale di procedere alla raffinazione, pur in presenza di gravi inadempienze e irregolarità di chi ha gestito l’impianto dal 2016 ad oggi e anche prima.
Nel documento a modifica del decreto Lukoil, all’art. 1 si legge che “Qualora vi sia una assoluta necessità di salvaguardia della prosecuzione e dell’occupazione, nelle more degli interventi finalizzati al rispetto degli obblighi di legge in materia ambientale, ll ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica autorizza la prosecuzione dell’esercizio delle attività degli stabilimenti, degli impianti e delle infrastrutture che operano nel settore della raffinazione di idrocarburi per un periodo di tempo determinato, non superiore ai 36 mesi, a condizione che venga assicurata, tramite il commissario, la più adeguata tutela dell’ambiente e della salute secondo le migliori tecnologie disponibili”.
Nel paragrafo 6-ter c’è un passaggio relativo al superamento dell’impasse avviato dalla magistratura aretusea. E si fa presente che “i provvedimenti di sequestro adottati dall’autorità giudiziaria per inadeguatezza degli impianti di smaltimento dei rifiuti industriali presenti nell’area non impediscono, nel corso del periodo di tempo determinato, l’esercizio dell’attività di impresa”.
“La proposta di emendamento – si legge sempre nel documento – trae origine dalla crisi attualmente originata sul territorio della Regione siciliana dal sequestro giudiziario dell’impianto di trattamento rifiuti industriali. L’impianto di trattamento è indispensabile per l’attività delle raffinerie: se si ferma l’impianto (o viene disposto il distacco delle raffinerie), si blocca l’intera produzione industriale, rendendo del tutto vano anche il recente commissariamento della più grande raffineria del Polo industriale, la Isab, il cui asset societario è riconducibile al 100% alla russa Lukoil, disposto dal governo, a seguito dell’embargo Ue sul petrolio russo. Un intervento normativo volto ad assicurare la produzione dell’attività di trattamento dei rifiuti industriali per esigenze produttive strategiche d’interesse nazionale – conclude l’articolo a correzione – è quindi non solo coerente con l’amministrazione temporanea e il commissariamento già disposti per l’Isab, ma imprescindibile affinché tale commissariamento possa raggiungere l’effetto voluto di non interrompere la produzione industriale in un settore vitale per l’economia nazionale”.
A puntare i riflettori sulle gravi anomalie del depuratore è stata, lo scorso 28 novembre, la puntata di Report su Raitre. Da quel momento i riflettori sono stati nuovamente indirizzati sullo smaltimento dei reflui industriali, una bomba ad orologeria per l’ambiente circostante e una parte della Sicilia orientale. A giugno la Procura indagò 26 persone tra fisiche (19) e giuridiche (7) con l’accusa di disastro ambientale e a diede precise indicazioni alla Regione proprietaria per il 65% dell’impianto stesso, che non sarebbero state osservate. Sarebbe inoltre emerso che l’impianto non si sarebbe dotato di una autorizzazione integrata ambientale, documento necessario per dare il via libera all’attività di aziende grandi e pericolose dal punto di vista ambientale.
Enzo Parisi, responsabile di Legambiente Augusta, da tempo denuncia la situazione e specificatamente alla questione finita sui giornali ha detto che, secondo quanto appurato dagli inquirenti, il depuratore dal 2016 avrebbe sversato in mare una tonnellata e mezza al giorno di idrocarburi, per un totale sembra di 2500 tonnellate di veleni. Inoltre, sempre l’impianto non a norma, avrebbe immesso nell’atmosfera, tra il 2016 e il 2020 qualcosa come 77 tonnellate all’anno di sostanze nocive. Il tutto mentre in tutta la zona migliaia di persone continuano a vivere tranquillamente e d’estate si riversano sulle belle spiagge della zona.
Il prof. Riccardo Maggiore, docente di Chimica all’Università di Catania e uno dei maggiori esperti italiani in materia di depurazione, a novembre dichiarò. “La legge stabilisce dei limiti di immissione in fognatura. C’è un limite per gli idrocarburi totali che è di 10 milligrammi per litro. Per i solfuri il limite è 2 milligrammi per litro. I valori massimi ammessi in base a contratti avrebbero previsto per Priolo uno smaltimento pari a 200 mg per litro anziché 10. Venti volte più di quanto consentito dalla legge”.
Maggiore poi fa una considerazione sulle deroghe disposte per l’impianto e aggiunge che permettono sino al 40% in più di smaltimento rispetto ai valori massimi ammessi attraverso un pagamento di un maggiore onere facendo capire chiaramente che su tutta la questione ci sarebbe stata una volontà politica per scaricare i costi del privato sul pubblico, concludendo il suo pensiero soffermandosi sull’anomalia sulla nomina dei direttori del depuratore indicati dalle aziende private. Proprio quelle che poi conferivano i veleni nel depuratore. Insomma chi ha diretto negli anni tecnicamente il depuratore, sarebbero state le stesse aziende che poi hanno inquinato, in una sorta di binomio “controllori e controllati…”.