Il ministero dell’Ambiente e quello delle Imprese tracciano una strada per scongiurare il fermo del depuratore Ias di Priolo (dove confluiscono i reflui industriali di tutto il petrolchimico di Siracusa e attualmente sotto sequestro), e di conseguenza per garantire agli impianti Isab di andare avanti. Lo fanno attraverso un decreto interministeriale di cinque articoli, atteso sia dal mondo industriale che da quello sindacale e ambientalista. L’obiettivo è “il bilanciamento tra le esigenze di continuità dell’attività produttiva e di salvaguardia dell’occupazione e la tutela della sicurezza sul luogo di lavoro, della salute e dell’ambiente e degli altri eventuali beni giuridici lesi dagli illeciti commessi”.
Sulla strada per raggiungere l’obiettivo i ministeri fissano tre paletti: 1) gli impianti Isab possono continuare a conferire i propri reflui nel depuratore Ias solo rientrando nei limiti di legge imposti dal testo unico ambientale sui metalli; 2) la società Isab avrà 36 mesi di tempo per adeguarsi alle eventuali prescrizioni che verranno sollevate dal ministero dell’Ambiente in sede di riesame dell’Aia (l’autorizzazione integrata ambientale senza la quale l’impianto non può operare); 3) sarà la Regione, e in particolare il presidente Renato Schifani, individuato come soggetto preposto al coordinamento, a finanziare e attuare le misure necessarie per riportare il depuratore Ias nella legalità, mettendo fine a quel disastro ambientale contestato dalla Procura di Siracusa che ne ha ordinato il sequestro.
Nelle more, però, le attività industriali proseguono e il depuratore, nonostante i ripetuti inviti dell’amministratore giudiziario alle industrie di interrompere i conferimenti, continua a ricevere gli scarti.
Se questo è il cuore del decreto ministeriale di ieri, è bene fare alcuni passi indietro per contestualizzare una situazione che tiene col fiato sospeso migliaia di lavoratori, le grandi aziende del petrolchimico e un intero territorio che da anni vive il dramma di dovere scegliere tra diritto al lavoro e diritto alla salute. Lo stabilimento Isab-Lukoil nei mesi scorsi diventa oggetto di una trattativa di vendita tra il gruppo Lukoil (che ne detiene la proprietà ed è penalizzato, seppur non direttamente toccato, dalle sanzioni internazionali a causa della guerra in Ucraina), e il fondo di investimenti cipriota Goi Energy. Per mettere l’impianto al riparo da qualunque rischio, il governo Meloni lo inserisce tra i siti di interesse strategico nazionale fino alla chiusura della trattativa.
Ma al di là della vendita, c’è un altro e probabilmente più grande problema da affrontare: la Procura di Siracusa, nell’ambito di un’indagine in cui si ipotizza il disastro ambientale, a giugno del 2022 sequestra il depuratore Ias di Priolo. La Ias spa (Industrie Acqua Siracusana) ha per socio di maggioranza la Regione ed è partecipata anche dai Comuni di Priolo e Melilli e dai colossi industriali del petrolchimico (oltre a Isab-Lukoil, anche Sonatrach, Sasol, Versalis). Secondo i magistrati, l’impianto non è strutturalmente in grado di depurare i veleni industriali e anzi avrebbe immesso in atmosfera 77 tonnellate all’anno di composti organici volatili, tra cui 13 tonnellate di benzene, cancerogeno. Una situazione, è la tesi degli inquirenti, di cui tutti gli attori in causa erano a conoscenza. Il sequestro è un terremoto, perché senza depuratore l’attività delle industrie si deve fermare. La stessa Procura e l’amministratore giudiziario nominato a guidare lo Ias, Antonio Mariolo, chiedono ripetutamente il distacco delle industrie dal depuratore. Che non avviene.
E qui si muove la politica. Il 5 gennaio un articolo inserito nel decreto Salva-Ilva ordina, senza mai nominarlo ma di fatto chiamandolo in causa, di non interrompere le attività del depuratore di Priolo. “Quando il sequestro ha ad oggetto stabilimenti industriali o parti di essi dichiarati di interesse strategico nazionale – dice quel decreto – ovvero impianti o infrastrutture necessari ad assicurarne la continuità produttiva, il giudice dispone la prosecuzione dell’attività”. Il depuratore è un “bene strumentale” dell’Isab, sito di interesse strategico nazionale. Quindi non può fermarsi.
Nel frattempo, però, si rimettono in discussione le Aia (le Autorizzazioni di impatto ambientale). Lo fa la Regione, competente sul depuratore, che sospende l’autorizzazione e poi concede una serie di proroghe per scongiurare la revoca definitiva. E lo fa il ministero dell’Ambiente, competente per le industrie, che avvia il procedimento di riesame delle Aia. Contro quest’ultimo provvedimento Isab, Versalis, Sonatrach e Sasol presentano ricorso.
E veniamo a oggi. I ministeri dell’Ambiente e delle Imprese danno il via libera a Isab per continuare a operare conferendo gli scarti industriali al depuratore dei veleni. Ma, scrivono, rispettando i “livelli di concentrazione degli inquinanti inferiori a quelli attualmente consentiti dai contratti d’utenza in essere, e allineati per quanto ragionevole ai livelli di concentrazione ammessi per lo scarico di reflui in fognatura”. Si tratta dei limiti imposti dal testo unico ambientale su metalli come arsenico, nichel, mercurio, ferro, selenio, ma anche sugli idrocarburi e sui solventi. Limiti, molto più stringenti degli attuali, che avrebbero in parte sorpreso il mondo industriale e che ora preoccupano non poco.
A vigilare saranno “l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), con il supporto dell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente (ARPA) della regione Siciliana, in contraddittorio con le imprese interessate”, “riferendo all’Autorità Competente lo stato di attuazione degli interventi strutturali e gestionali previsti, sulla base di una relazione semestrale trasmessa da ISAB S.r.l., contenente la descrizione delle attività condotte, dei cronoprogrammi aggiornati di tutti gli interventi e degli esiti delle attività di monitoraggio eseguite nel periodo di riferimento”.
In attesa di capire cosa verrà chiesto dal ministero dell’Ambiente alle industrie nel procedimento di riesame dell’Aia, il decreto fissa già un periodo massimo di 36 mesi entro il quale Isab dovrà adeguarsi. E le altre industrie che non sono state dichiarate siti di interesse strategico nazionale? Il procedimento di Riesame di Isab, si legge nel decreto di oggi, “dovrà essere coordinato con gli analoghi procedimenti in corso per il riesame delle AIA delle altre installazioni dell’area industriale che conferiscono direttamente o indirettamente i propri reflui presso I.A.S., ossia SASOL Italy S.p.A., Sonatrach S.r.l, ERG Power S.r.l, Versalis S.p.A”. I ministeri danno dunque l’indicazione di procedere con tempi coordinati.
C’è infine il capitolo depuratore. E qui la patata bollente viene lasciata interamente al presidente Schifani, individuato come “soggetto unico” incaricato di predisporre e coordinare tutte “le misure organizzative, finanziarie e operative” necessarie affinché l’impianto torni nella legalità. L’elenco di cosa è necessario sta già nell’Aia che la Regione aveva rilasciato al depuratore a luglio del 2022 (quindi dopo il sequestro). Un lungo elenco di 58 prescrizioni (che vanno dall’aggiornamento del sistema di gestione ai limiti della capacità di trattamento, dagli sversamenti alle emissioni in atmosfera e quelle odorigene, e molto altro) che l’amministrazione giudiziaria ha definito impossibile da ottemperare nei tempi imposti inizialmente dalla Regione. Motivo per cui l’Aia è stata sospesa. Adesso il decreto ministeriale incarica Schifani di procedere “alla rapida progettazione e realizzazione”, ma non precisa una tempistica.
I ministeri dell’Ambiente, delle Imprese e delle Infrastrutture si riservano solo una funzione consultiva e di controllo all’interno di un tavolo tecnico di cui faranno parte anche rappresentanti degli assessorati regionali al Territorio e alle Attività produttive, dell’Ispra e dell’Arpa. È a questo tavolo che Schifani dovrà “sottoporre un cronoprogramma degli interventi” e riferire “almeno ogni tre mesi” sull’andamento.