Fare oggi informazione? Un percorso a ostacoli nel tentativo di schivare il perenne tentativo di mettere il bavaglio a chi il buon giornalismo lo fa e lo difende senza se e senza ma. È con la conferenza sul tema “Mafia, antimafia e media” che si è conclusa la diciottesima edizione del “Progetto Educativo Antimafia”. A seguire anche questo ultimo appuntamento 115 scuole medie secondarie di secondo grado e alcune case circondariali, collegati online da tutta Italia.
“Introduco questo incontro raccontando la storia di Mario Francese – dice in apertura dell’incontro il direttore dell’Ansa Sicilia, Franco Nuccio – cronista di giudiziaria del Giornale di Sicilia durante gli ultimi anni Ottanta. Anni in cui si occupò dell’inchiesta giornalistica sulla realizzazione della Diga Garcia, nel corleonese, dove era in corso una colossale speculazione perché i terreni sui quali si sarebbe realizzato l’invaso se li stava accaparrando la mafia per poi rivenderli allo Stato”.
“Francese fece per la prima volta il nome di un signore sconosciuto che era Totò Riina che poi sarebbe diventato non solo il capo dei Corleonesi ma anche di Cosa nostra. Per quell’inchiesta Francese venne assassinato il 26 gennaio del 1979 mentre stava rientrando a casa dopo la sua giornata di lavoro al giornale. Lui fu solo uno degli 8 giornalisti uccisi in Sicilia dalla mafia come Cosimo Cristina, Giuseppe Spampinato, Peppe Alfano, Pippo Fava, Peppino Impastato, Mauro De Mauro, Mauro Ristagno, altri vennero uccisi dalla Camorra, altri ancora dall’ndrangheta, un prezzo altissimo pagato dai giornalisti per fare il loro mestiere e informare su quanto stava accadendo”.
“Il lavoro dell’informazione è un lavoro quotidiano – spiega Giuseppe Giulietti – un lavoro modesto, di ogni giorno che connette parole, cose e numeri come fa egregiamente l’agenzia Ansa. Pio La Torre, vado a memoria, venne assassinato insieme al suo compagno Rosario Di Salvo, unico parlamentare ucciso in carica. Andate a guardare quella fotografia spaventosa di una grande fotogiornalista come Letizia Battaglia in cui il presidente attuale raccoglie il fratello moribondo, immagine che dovrebbe farci capire la forza d’animo di questo presidente e di come le tante campagne che si organizzano contro di lui abbiamo radici antichissime. Il lavoro del Centro Pio La Torre, come anche quello dello stesso Pio, era di andare oltre la rappresentazione folcloristica della mafia. Tra le tante domande che ci hanno rivolto oggi gli studenti, ce n’è una di una scuola di Marsala che ci chiede se la mafia è un fenomeno solo siciliano? Ogni volta che si tenta di far finta che sia un fenomeno circoscritto alla Sicilia c’è sempre una punta di razzismo, ma c’è anche una punta di pericolosa ignoranza quando non di malafede. Pio La Torre aveva scorto, per questo poi ha pagato con la vita, le connessioni della mafia: la mafia e gli affari, la mafia e lo stato, la mafia e le aree agricole, la mafia e il riciclaggio del denaro nel Nord; la centralità nella roba per usare un’espressione che avrete ritrovato di sicuro tante volte nelle novelle e nel Don Gesualdo del Verga. Quello che vi dico è di diffidare del sensazionalismo, diffidate sempre di quelli che raccontano, che urlano la verità, che dicono di averla solo loro dove al centro non ci sono le notizie ma c’è una sorta di giornalista sceriffo. Diffidate di ogni sito e di ogni informazione dai toni urlati. Talvolta l’urlo nasconde loschi interessi, non vuole farti capire; bisogna diffidare della retorica dell’antimafia, ma anche della retorica di molti Comuni, ma non solo della Sicilia perché le stesse frasi le ho sentite nel Veneto o in Lombardia. Quando ci sono giornalisti che sono stati uccisi per fare il proprio dovere, spesso si alza una voce che dice “vogliono sporcare l’immagine della nostra regione, del nostro Comune”. Diffidate sempre. quando sentite “sporcare l’immagine”. Ricordate che l’oltraggio alla comunità, alla vostra vita, alla speranza non viene dall’immagine sporcata, non viene da un’inchiesta coraggiosa, non viene da chi accende la luce – sia esso poliziotto, giornalista, magistrato, parroco, insegnante -, ma l’oltraggio viene da chi vuole il buio da chi pretende l’oscurità da chi sino qualche anno fa addirittura negava che ci fosse la mafia in Sicilia, figuratevi nel resto dell’Italia”.
Nel mirino delle mafie, ma anche dei regimi, delle oligarchie, ci sono proprio coloro che difendono la legalità. “Sono poliziotti, magistrati, sacerdoti, educatori, i giornalisti. Gli ultimi dati internazionali che arrivano dalle grandi organizzazioni li trovate sulla piattaforma di Libera – aggiunge Giulietti – , ma anche su quella del Consiglio Europeo che svolge un’attività istituzionale e su quella del sindacato europeo (EfJ) e ci dicono che sono in aumento le minacce contro i cronisti nel mondo, non più solo in Sicilia. Questo ci fa capire che la libertà di informazione è diventata un disvalore, quindi è giusto criticare i casi di malainformazione, ma anche ricordarsi che il giornalismo e i giornalisti, in Sicilia e altrove, sono nel mirino soprattutto per i casi di buona informazione. Ricordo che a Gaza sono morti 100 cronisti palestinesi, mai un massacro simile in altre parti del mondo. Per non parlare di paesi come la Colombia, il Messico, la Turchia, la Siria, la Russia, ma potrei andare avanti all’infinito”. I cronisti sotto tiro? “Oggi lo sono maggiormente quelli che si occupano ancora oggi delle trattativa stato mafia, di corruzione e di malaffare – conclude il portavoce di Articolo 21 – ed è sbagliatissimi ritenerlo un fenomeno dalle caratteristiche siciliane, Basti pensare che uno dei più grandi processi contro la ‘ndrangheta si è celebrato a Reggio Emilia. Cosa possiamo fare? Cosa potete fare voi ragazzi e ragazze? Quello che state facendo, educazione alla legalità con le scuole e una realtà come il Centro Pio La Torre, tenendo fermo o quello che Paolo Borsellino disse a Bassano del Grappa, “Parlatene, parlatene, parlatene”, andando contro chi lanciava moniti del genere “nascondetela, nascondetela la mafia”. Certo, c’è del cattivo giornalismo, ma la rappresentazione mediatica non riguarda solo la Sicilia. Bisogna sapere distinguere. Diffidate, per esempio, dai pezzi dove non ci sono nomi e cognomi. Un grande giornalista come Pippo Fava diceva “Un testo senza contesto non ha significato”. Per Andrea Camilleri, inoltre, bisogna stare “attenti a chi non illumina a sufficienza le positività, ma cancella la reazione al male”. A ciascuno di noi spetta di stare dalla parte della legalità e del contrasto alle mafie, dalla parte della Costituzione perché chi la contrasta è fuori dall’ordinamento repubblicano”.
Capace di rapire l’attenzione di tutti i ragazzi il racconto di Lara Sirignano, giornalista dell’Ansa, vincitrice del “Premio Francese 2024, peraltro la prima ad avere dato la notizia dell’arresto di Matteo Messina Denaro. “Per parlare di giornalismo vorrei partire da una storia, che in qualche modo contiene tutti e tre i temi scelti per questa conferenza – racconta Sirignano -. La mia storia comincia il 16 gennaio 2023 quando i Carabinieri dei Ros arrestano Messina Denaro, dopo 30 anni di latitanza, uno dei record maggiori nella latitanza in Cosa nostra. Tanto per capire Bernardo Provenzano fu arrestato dopo 28 anni. L’operazione che ha portato al suo arresto è stata chiamata “Tramonto”, dal titolo di una poesia che Nadia Nencioni, morta a 9 anni nella strage dei Georgofili a Firenze, aveva scritto pochi giorni prima di quel tragico giorno. I Carabinieri hanno voluto dedicare a lei questo arresto. A Messina Denaro e ai suoi prestanome sono stati sequestrati e confiscati beni per 4 miliardi di euro, un patrimonio sconfinato che però è solo la punta dell’iceberg. Mi piace ricordare che la legge che consente il sequestro e la confisca dei beni ai mafiosi porta il nome di Pio La Torre perché, come tutti i visionari, al pari di Falcone e Borsellino, mentre c’era chi negava l’esistenza della mafia, aveva intuito l’importanza di aggredire i patrimoni economici”.
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Eccezionale, ma anche stupefacente, l’arresto di Messina Denaro. “Quando il 16 gennaio ho dato la notizia dell’arresto – prosegue Sirignano – la sorpresa maggiore è stato intanto il luogo in cui è stato arrestato. Immaginavo che avvenisse come per Bernardo Provenzano, Benedetto Spera o anche i grandi latitanti, trovandolo in un casolare sperduto in mezzo alle campagne siciliane. Invece si trovava alla Clinica La Maddalena, un centro di eccellenza della sanità siciliana, aspettando di sottoporsi a cure mediche. Significativo scoprire che non era rimasto nascosto in alcun luogo segreto, ma a Campobello di Mazara, a 8 km dal suo paese che era Castelvetrano. Nonostante la quantità enorme di microspie piazzate in quella zona, non è stati mai possibile trovarlo. Si nascondeva in bella vista utilizzando l’identit6à di un geometra nipote di un capomafia, quindi abbastanza singolare. Scopriamo anche che ha fatto una vita normale, da cittadino comune: andava al ristorante, faceva affari, aveva una quantità smisurata di fidanzate, viaggiava. Forse il segreto della sua latitanza è stato vivere da uomo qualunque. Lui stesso, nel suo delirio che sta l’onnipotenza e l’arroganza, ha detto ai Pm, utilizzando un proverbio, che aveva seguito una regola: “se vuoi nascondere un albero, piantalo nella foresta”.
Fondamentale il lavoro degli inquirenti frutto di una sinergia costante. “Se parliamo di antimafia – dice ancora la giornalista dell’Ansa – dobbiamo riferirci anche a magistrati, Carabinieri, Polizia, Finanzieri che fanno un lavoro di sacrificio, a vote anche frustrante volta si arriva al traguardo, tante volte si manca. Quando pensiamo al rischio pensiamo all’attentato, all’omicidio. Voglio ricordare un Carabiniere che si chiamava Filippo Salvi, nome di battaglia Ram perché era un grande esperto di elettronica. Aveva 36 anni ed è morto mettendo una microspia in una zona impervia del trapanese, cadendo da un’altezza rilevante. Questa è antimafia come antimafia è la Palermo che batteva le mani fuori dalla caserma di corso vittorio ai magistrati e militari dei Ros dopo la cattura di Messina Denaro. Una città che negava l’esistenza di Cosa nostra e storceva la bocca davanti alle macchine di scorta, ha fatto veramente tanta strada. L’antimafia siete voi studenti e insegnanti; antimafia è il centro pio la torre che, senza retorica, porta avanti un grande impegno perché la strada della cultura è la strada per vincere”.
I media? Qual è il loro ruolo oggi? “I media hanno una grande responsabilità perché siamo responsabili del racconto di quello che accade, della realtà. Contribuiamo alla costruzione del buon cittadino. Per tanto tempo la stampa è stata freddina rispetto a certi temi, infatti quei colleghi che avevano intuito la gravità di certi fenomeni sono stati isolati e hanno pagato con la vita il proprio impegno. Giovanni Falcone diceva che “si muore perché si rimane soli”. La stampa è cambiata, così come è cambiate la società. Io non ho paura perché non mi sento sola. Ho una rete di solidarietà da parte dei colleghi che è forte perché lavoro in una redazione che mi tutela a sostiene e perché le cose sono veramente cambiate. Un errore che abbiamo fatto è raccontare una mafia invincibile, non è vinta ma non ha vinto, è sicuramente indebolita visto che i grandi capi sono dietro le sbarre e la forza economica, così come quella militare, è scemata. Noi cronisti abbiamo la responsabilità di sapere che non siamo protagonisti ma narratori, dobbiamo raccontare quel che vediamo avendo come fari la ricerca della verità, i fatti e l’equilibrio. Dovrebbe essere il nostro lavoro”.
Una conferenza, quella che ha concluso il “Progetto educativo antimafia”, che anticipa diverse altre iniziative. “La più importante il 30 aprile per l’anniversario dell’uccisione di Pio La Torre e Rosario Di Salvo – ricorda il presidente emerito del Centro “Pio la Torre”, Vito Lo Monaco”- ma più vicina quella all’Istituto Tecnico “Vittorio Emanuele” di Palermo, dove Pio La Torre seguì i suoi studi, preceduta da un’assemblea delle associazioni antimafia. Numerose tappe che vedranno anche e soprattutto gli studenti protagonisti di percorsi di legalità veramente concreti. Un’antimafia che non si alimenta di parole, ma di azioni concrete, quotidiane, condivise”.