ROMA – “Bisogna legalizzare come in Olanda”, “Si deve criminalizzare come in Svezia”: è la continua diatriba mai finita sulla prostituzione che anima ancora il dibattito politico italiano, a distanza di 65 anni dall’introduzione della legge che ne ha definito regole e limitazioni. Ci riferiamo al ben noto quadro normativo individuato dalla Legge Merlin (la n. 75 del 1958), dal nome della prima firmataria, che ha sancito la fine delle “case chiuse” e, più in generale, ha determinato la fine della gestione e del controllo della prostituzione da parte dello Stato ma anche da parte di soggetti privati e pubblici.
La filosofia di fondo era quella di affermare la non punibilità dell’esercizio della prostituzione come reato e di sottolineare il valore della libera scelta della donna nell’esercizio della professione. Più chiaro a dirsi che a farsi. Se nel nostro Paese, infatti, ottenere guadagno dall’esercizio di pratiche sessuali non è un crimine e né la lavoratrice né il cliente possono ricevere alcun tipo di pena o multa, le lavoratrici del sesso, di fatto, non esistono. Lo dimostra il fatto che le sex workers in Italia devono pagare le tasse e rilasciare regolare fattura delle prestazioni svoltetramite la registrazione di regolare Partita Iva alla Camera di commercio, dunque come libere professioniste. Non esiste, però, di fatto un codice Ateco che qualifichi l’attività svolta, in quanto tutto rientra nella categoria “altre attività di servizi per la persona non classificabili altrove” (codice 96.09.09). Devono quindi attenersi alle disposizioni legislative di qualsiasi altra attività lavorativa, pena la possibile accusa di evasione fiscale, come già accaduto in passato in diversi casi dibattuti anche dalla Cassazione.
Che le prostitute esistono e lavorano, però, ce lo dicono i dati. Nel nostro Paese sono oltre 90 mila e hanno un giro da tre milioni di clienti per 4 miliardi di euro l’anno, stando alle ultime rilevazioni Codacons relative al 2020 (come già riportato in una precedente inchiesta del QdS). Una realtà consolidata quella del meretricio che in Italia, però, presenta ancora troppe ambiguità. Esercitare in casa non è legalmente un reato ma, secondo l’articolo 3 della legge Merlin, “chiunque avendo la proprietà o l’amministrazione di una casa od altro locale, li conceda in locazione a scopo di esercizio di una casa di prostituzione” e, “chiunque, essendo proprietario, gerente o preposto a un albergo, casa mobiliata, pensione, spaccio di bevande, circolo, locale da ballo, o luogo di spettacolo, o loro annessi e dipendenze o qualunque locale aperto al pubblico od utilizzato dal pubblico, vi tollera abitualmente la presenza di una o più persone che, all’interno del locale stesso, si danno alla prostituzione”, può essere accusato di favoreggiamento.
Indicazioni che lasciano terreno fertile all’illegalità e alla criminalità organizzata. Tolte le lucciole che decidono di intraprendere l’attività per libera scelta e anche le escort (in Italia sono 120 mila professioniste del sesso secondo una ricerca di Escort Advisor, il sito di recensioni di escort più visitato in Europa), c’è tutto un mondo di donne costrette a prostituirsi e vessate dal magnaccio di turno o dal clan mafioso della zona, che lucra su condizioni di reale difficoltà economica. E non è fantascienza. Secondo la mappatura del Numero Verde nazionale Antitratta del Ministero dell’Interno, per strada ci sono praticamente solo donne straniere, per il 70% europee, delle quali la maggioranza è rumena (55%) e albanese (23%), che hanno così superato le africane. Le lucciole italiane, invece, sono per lo più donne mature fuori dal controllo criminale.
Serve dunque un cambio di rotta che risolva gli evidenti limiti di una normativa che è ormai troppo vecchia e presenta evidenti limiti. A riscrivere la Merlin, abolirla o ammorbidirla, ci hanno tentato e continuano a farlo più volte i vari partiti politici con diversi Ddl, contrapposti tra la criminalizzazione del fenomeno o la tutela della professione. Giusto l’anno scorso il M5S, ha presentato il Ddl 2537 a firma della senatrice Alessandra Maiorino che segue il modello svedese.
La proposta segue il modello neoabolizionista della Svezia introdotto nel 1999 che prevede sanzioni per il cliente che acquista per il servizio, con l’obiettivo di disincentivare la domanda. La pena è graduale: si passa da una sanzione amministrativa pecuniaria, all’ammonimento del questore in caso di recidiva, fino alla sanzione penale, carcere incluso dai sei mesi fino ai tre anni. Un sistema che prevede anche una campagna di sensibilizzazione, informazione e supporto psicologico ed economico per tutte le donne che vogliano uscire dal giro. “Il messaggio che vogliamo dare è il seguente: il sesso, le persone e i corpi non sono una merce e non si possono acquistare. La prostituzione, come ha detto chiaramente la Corte costituzionale nella sentenza 141/2019, non è un lavoro. Bisogna smontare questo paradigma non detto, perché nella prostituzione la mercificazione della donna raggiunge il suo apice” aveva dichiarato la senatrice pentastellata intervistata un paio di settimane fa dal QdS.
La proposta, però, non è per niente piaciuta a chi le strade le batte ogni notte e conosce i reali rischi del sistema. “L’unico risultato del ddl Maiorino sarà di avere migliaia di persone in carcere” ha dichiarato infatti Pia Covre, che abbiamo intervistato sul tema. “Ormai in Europa abbiamo svariate ricerche che dimostrano che il modello svedese proposto anche dalla senatrice Maiorino è un fallimento, solo per citarne uno: secondo un rapporto di Amnesty International la legge approvata dal parlamento irlandese nel 2017, il cui scopo dichiarato era quello di proteggere dallo sfruttamento le vittime del traffico di esseri umani e le lavoratrici e i lavoratori del sesso, ha invece favorito la persecuzione e la violenza senza che lo Stato intervenisse a garantire protezione. Sono aumentate le aggressioni e gli abusi contro le/i sex workers”.
Ad accogliere le istanze della categoria, invece, ci aveva provato già 10 anni fa la senatrice del Pd Maria Spilabotte con il disegno di legge 1201/2013. La proposta prevedeva il pieno riconoscimento della professione tramite Partita Iva, l’iscrizione alla Camera di commercio, la possibilità per le sex workers di affittare case per esercitare senza che il proprietario rischiasse di essere accusato di favoreggiamento e, ancora, il diritto alla pensione. Stando all’attuale normativa nazionale, infatti, se è vero che le lavoratrici devono pagare le tasse, allo stesso tempo non vi è alcuna specifica per quanto riguarda il profilo contributivo che comprende infortuni, malattia e pensione.
Non è difficile comprendere che si tratta di una professione da classificare come “usurante” in quanto non può essere svolta per un eccessivo numero di anni, proprio per una questione di programmazione naturale. Ad essere inasprite, invece, secondo la Spilabotte dovevano essere le pene nei confronti dello sfruttamento nel settore: “chiunque costringa taluno a prostituirsi può essere punito con la reclusione dai 5 ai 10 anni”. Adesso però, la posizione del partito sembra molto diversa. Giusto qualche mese fa a senatrice del Pd Valeria Valente ha infatti dichiarato “Credo che permettere allo stato di guadagnare sul corpo delle donne sia lontanissimo dalla libertà: è sfruttamento e abuso. Giù le mani dalla legge Merlin!”.
Tale critica è una risposta alla proposta più volte avanzata dal numero uno della Lega, Matteo Salvini, che più volte ha ribadito la necessità di riaprire le case chiuse. Già nel 2019 aveva infatti dichiarato: “Ero e continuo a essere favorevole alla riapertura delle case chiuse. Continuo a ritenere che togliere alle mafie, alle strade e al degrado questo business, anche dal punto di vista sanitario, sia la strada giusta e che il modello austriaco sia quello più efficiente”.
La Lega, infatti, è intervenuta più volte sulla questione, tra cui il Ddl 1047, presentato il 7 febbraio del 2019 da Gianfranco Rufa. La proposta è quella di “vietare l’esercizio della prostituzione in luoghi pubblici” e consentire (ndr) “l’esercizio solo in abitazioni private”. Una novità importante riguarda il tema della salute delle sex workers, che diventa di cruciale importanza per un’attività che fa proprio del corpo la sua base di partenza. Come si legge nel Ddl, infatti, “è previsto l’obbligo di accertamento sanitario ogni sei mesi”. Una posizione all’avanguardia simile a quella di Germania e Olanda che tutelano il primario diritto alla salute delle prostitute. Per non parlare dell’impatto economico che la regolamentazione del settore potrebbe apportare al nostro Paese. Basti solo pensare che, ogni anno, in Germania il business della prostituzione fa guadagnare allo Stato cifre da capogiro: stimati circa 14,5 miliardi di euro grazie ai clienti delle oltre 400 mila lucciole, alcuni dei quali (come negarlo) sono proprio italiani.
Le speranze di una corretta regolamentazione di una realtà che esiste nel nostro Paese, sebben ben nascosta sotto il tappeto dei servizi alla persona, sembra però sempre più lontana o, quantomeno, da ridiscutere. Che dire, infatti, del partito numero uno alla guida del Governo? “Come donna considero una sconfitta la questione della riapertura delle case chiuse e della prostituzione. Penso anche, però, che dobbiamo fare i conti con il fatto che questo fenomeno non lo stiamo sconfiggendo e per questo comprendo la posizione di chi pone il tema di regolamentarlo” aveva infatti dichiarato la premier Meloni nel 2018. Eppure, stando ai recenti avvenimenti, il partito non sembra essere così compatto sulla questione. Proprio lo scorso 13 ottobre, infatti, Edmondo Cirielli (viceministro degli Affari Esteri) ha avanzato un Ddl per punire gli atti osceni in luogo pubblico “chiunque si mostra nudo o compie atti osceni è punito con la reclusione da tre mesi a tre anni”. L’obiettivo è quello di contrastare “in maniera più adeguata il degrado che affligge la nostra collettività”.
ROMA – Per cercare di comprendere al meglio la visione del partito numero uno alla guida del Governo, abbiamo intervistato Imma Vietri capogruppo in commissione Affari Sociali della Camera Senato per Fratelli d’Italia.
Qual è la posizione di FdI sul tema prostituzione?
“Il nostro partito è da sempre schierato contro il fenomeno della prostituzione. L’obiettivo deve essere estirparlo alla radice rafforzando, come già fanno quotidianamente le forze dell’ordine, il contrasto alle organizzazioni criminali che vivono anche di questo. La maggior parte delle prostitute è straniera e spesso vive in condizione di semischiavitù. Il principale obiettivo è quello di sconfiggere chi gestisce questo mercato e dunque di regolamentare e limitare l’arrivo di stranieri. Aggiungo che ieri è stato dato l’ok definitivo alla commissione Antimafia anche in questa legislatura. Fratelli d’Italia ha voluto ampliare il raggio d’azione anche alle mafie straniere. Sa perché? Perché spesso sono pericolose e criminali come quelle italiane. La mafia nigeriana, ad esempio, alla quale facciamo esplicito riferimento nella legge istitutiva della Commissione, gestisce un enorme traffico di organi e di prostitute, che fanno venire clandestinamente nel nostro Paese”.
Quali sono le possibili forme di regolamentazione del fenomeno?
“Non penso che uno sfruttamento si possa regolamentare. Però occorre fare una riflessione sulla via che può portare a dei risultati più efficaci, che potrebbe essere quella adottata dalle Nazioni del nord Europa che punta a disincentivare la domanda. Un tentativo che vale la pena fare. Certo, è una strada più faticosa che passa per una rivoluzione culturale, e che si lega a un discorso più generale di rispetto della donna e del suo corpo e che, oltre alla prostituzione, investe problematiche come lo stalking, fino all’estrema conseguenza del femminicidio”.
L’abolizione della legge Merlin e la riapertura delle case chiuse non potrebbe essere un modo per contenere la criminalizzazione del fenomeno e tutelare la salute di sex workers e clienti?
“In Europa ci sono alcuni Paesi (Paesi Bassi, Germania, Austria, Svizzera, Grecia, Ungheria e Lettonia) nei quali esiste un sistema teso alla legalizzazione e alla regolamentazione del fenomeno, con l’individuazione di luoghi preposti all’esercizio dell’attività, con l’imposizione di tasse e restrizioni e con la prescrizione di controlli sanitari obbligatori per le prostitute. Ma questi Paesi non hanno gli stessi problemi, anche in termini di sicurezza e di criminalità, che ha l’Italia. È evidente, poi, che maggiori controlli sul territorio, anche ma non solo per semplici questioni di decoro urbano, potrebbero portare a un disincentivo per l’intero mercato della prostituzione”.
Trovare un’adeguata collocazione lavorativa del settore, come richiesto dalle associazioni di categoria, non potrebbe essere una fonte di introito fiscale per lo Stato, considerato che si tratta di una realtà esistente?
“Uno degli aspetti più gravi è che la società ha imparato a convivere con questa terribile piaga. Facendo finta di non capire o di non vedere che queste donne che si trovano in strada (e non solo) sono schiave di qualcuno che le usa come macchinette da soldi. Quindi, secondo me, non ha senso colpire le prostitute che sono solo delle vittime. Da donna, considererei una sconfitta per il genere femminile la regolamentazione del fenomeno; però, visto che non si riesce a sconfiggerlo e che anzi è in costante crescita, capisco la posizione di chi vorrebbe in qualche modo legalizzare la prostituzione”.