In ogni rapporto, in ogni relazione interpersonale non basta “dire, ma essere consapevoli del come, cosa, se e quando comunicare il “dire” e il “non dire”. Esistono dunque delle “regole” che agevolano la comunicazione.
La Psicologia della comunicazione ha un ruolo ed un compito fondamentale a maggior ragione nelle professioni sanitarie dove ogni parola, ogni silenzio è carico di significato e non si può tornare indietro se si commettono errori: il messaggio è stato inoltrato e da questo momento bisogna fare i conti con la sua interpretazione. La capacità di trasmettere una diagnosi nella relazione d’aiuto è determinante da parte del medico il quale deve comunicare la notizia nel modo più esaustivo e meno traumatico, trasmettendo la sua disponibilità all’ascolto, con partecipazione e considerazione dei valori, attenzione ed interesse ai problemi psicologici, sociali, culturali e spirituali di volta in volta differenti da un caso all’altro. Il medico deve focalizzare la propria attenzione sugli stati d’animo e sulle sensazioni sperimentate dai congiunti, accertarsi della comprensione della criticità attraverso l’invio di messaggi verbali e non verbali adeguati alla capacità di ricezione del caregiver, spiegare circa i mezzi di cura a disposizione che possono essere utilizzati.
L’obiettivo è di ridurre ai familiari il peso emotivo necessario alla comprensione, assimilazione ed elaborazione della nuova condizione del paziente e la loro, il passaggio da uno stato d’impotenza assoluta ad uno di potenza relativa. Il dialogo, il counseling hanno il compito di “accompagnare” chi in questi frangenti è esposto a fragilità che fino a qualche istante prima non aveva previsto. Nei vari dibattiti ci si è preoccupati di studiare il caso dei pazienti in quanto protagonisti della loro condizione, sostenendoli, monitorandoli nelle terapie per alleviare loro il dolore fisico e psichico, ma si è lasciato in sottofondo il dolore dei congiunti. Dovendo coadiuvare nelle scelte i medici e dovendo prendere decisioni all’impronta, i parenti assumono un ruolo determinante quando il paziente è ormai incontinente (non in grado di intendere e di volere). C’è un parallelismo di sofferenza fra il malato e il familiare.