Editoriale

Pa: costi storici, piante organiche obsolete

Il nostro è un Paese vecchio, incapace di rinnovarsi nelle sue istituzioni, con una politica stantia dell’altro secolo e con una macchina amministrativa, quella della Pubblica amministrazione, che fa acqua da tutte le parti. Manca in ambedue i livelli l’innovazione, cioè l’adattarsi continuamente alle nuove esigenze degli eventi e soprattutto prepararsi a quelle esigenze che il futuro, anche non molto lontano, prospetta.

L’aspetto che più sorprende – ma non tanto – è che dell’analisi che precede non se ne rendano conto né le persone che si occupano di istituzioni politiche, né i professionisti che si occupano di Pubblica amministrazione. Delle due l’una: o vogliono restare ignoranti, nel senso che ignorano, oppure non capiscono la necessità di evolversi per venire incontro alle esigenze che si presentano e a cui non si danno risposte.

La questione che prospettiamo non sembri teorica perché non risolvendola non si danno ai/alle cittadini/e i necessari servizi con la necessaria qualità.

Veniamo alla spiegazione, o almeno al tentativo di darla, di una classe istituzionale che dice quello che dice, che lo dice come lo dice, ma che non parte da un disegno prospettico e cioè come vorrebbe che la Democrazia funzionasse da qui a quindici/vent’anni. Non si prospetta la necessità di redistribuire la ricchezza e, neanche a monte, come produrla. È vero che questo Governo ha creato la nuova denominazione di un ministero, chiamato “Delle Imprese e del Made in Italy”. L’intenzione è buona, la difficoltà sta nel trasformarla in atti concreti e in progetti prospettici pluriennali.

È vero che il ministro Adolfo Urso sta facendo il possibile e l’impossibile per progettare e realizzare il futuro, ma è anche vero che la situazione del nostro Paese si è incagliata in trent’anni (dal 1994 a oggi) in un sistema clientelare che distribuisce risorse a destra e a manca, violando principi di equità e non aiutando i veri bisognosi.
La questione che scriviamo riguarda tutti i partiti presenti in Parlamento perché “dotati” di una mentalità di basso profilo.

La considerazione che precede potrebbe sembrare nichilista per cui sorgerebbe la domanda: “Ma così nessuno si salva?” E la successiva domanda: “Nel nostro Paese non vi sono personaggi illuminati e capaci di disegnare un futuro progredito?”. Certo che ci sono, ma il sistema clientelare e la cultura del favore impediscono a queste personalità di occupare i posti giusti perché non vi vengono collocati, in quanto sarebbero indipendenti e, quindi, non omologati alla cultura dei favori, una delle maledizioni del nostro Paese.

L’altro gravissimo problema che grava sulla Comunità nazionale è la Pubblica amministrazione dei tre livelli, la quale è una macchina scassata che non funziona e che, quindi, non attua nel modo giusto e nel tempo giusto le direttive del ceto politico, con la conseguenza che i risultati sono scadenti, modesti e di non buona qualità.
Anche in essa impera la cultura del favore, per cui i pubblici dipendenti qualificati e provenienti dai concorsi pubblici sono in minoranza.

Citiamo due elementi probatori delle disfunzioni della Pubblica amministrazione.
Il primo riguarda le piante organiche, le quali sono quelle dell’era pre-digitalizzazione. Non solo, ma esse non tengono conto di una moderna ed efficiente organizzazione, appunto basata su digitalizzazione e formazione continua, che hanno cambiato completamente il modo di lavorare, determinando elementi di quantità e qualità profondamente diversi dal passato.
Vi è un secondo fatto clamoroso di cui quasi nessuno parla e cioè che molti bilanci e previsioni finanziarie sono redatti sui costi storici, i quali sono ampiamente superati dalla realtà odierna e da quella futura.

Una vera riforma dell’organizzazione pubblica dovrebbe basarsi su modelli di funzionamento proiettati nel futuro, basarsi esclusivamente sulla digitalizzazione e, quindi, sulla contabilizzazione di costi effettivi e reali e non di quelli ammuffiti dei decenni precedenti.
Per far questo ci vogliono professionisti di alto livello che si tengono lontani dal settore pubblico e che quando vengono chiamati non sono ascoltati.