Pubblica ammimistrazione

Pa, quanto costa il bubbone della malaburocrazia

I costi della burocrazia sono da tempo chiamati in causa come i principali responsabili della difficoltà che affronta l’Italia nel fare impresa. La regolamentazione pubblica è essenziale per prevenire i fallimenti di mercato, tutelare gli interessi collettivi e realizzare rilevanti obiettivi di politica economica e sociale, ma comporta costi economici e sociali che possono minare il livello di investimento, la produttività, la crescita e l’imprenditorialità e produrre effetti negativi su occupazione, investimento, produttività, crescita e sviluppo.

La globalizzazione e la crescente complessità dei fenomeni economici, la moltiplicazione dei livelli decisionali e di spesa hanno determinato un’incontrollata espansione della regolazione pubblica, e secondo l’antropologo Graeber mai come in questo periodo storico il genere umano ha passato tanto tempo ad occuparsi di “scartoffie d’ufficio” e di complicazioni burocratiche.

In realtà il vero problema non è la regolamentazione in sé, per quanto complessa, ma la sua applicazione discrezionale ed inefficiente: da diversi anni, infatti, il Rapporto Doing business della Banca mondiale segnala che l’efficienza burocratica costituisce uno dei principali fattori di competitività dei sistemi produttivi nazionali e locali, addirittura più rilevante dei livelli di tassazione e di altri fattori di natura finanziaria, e individua corruzione e malaburocrazia come principali fattori degli effetti negativi sul sistema produttivo e di welfare.

Calcolare l’impatto e il costo del fattore burocratico non è facile perché si tratta di associare un valore monetario ad oneri burocratici diretti ed indiretti, ma secondo una recente stima dell’Istituto Ambrosetti il costo annuo dell’attività burocratica a carico delle imprese ammonta a 57,2 miliardi, pari allo stipendio annuale medio di quasi 2 milioni di lavoratori ed al 3,3% del PIL. Si tratta di “oneri di transazione”, che comprendono costi organizzativi e di consulenza e assistenza tecnica amministrativa, legale e finanziaria, spese procedurali, oneri per il contenzioso e così via.

L’Ufficio studi della Cgia ha recentemente quantificato in 14,5 miliardi il costo annuo della burocrazia locale (251 euro pro capite, 334 per le amministrazioni comunali fino a 5 mila abitanti), e un report di PwC Italia certifica che per l’apertura di una nuova attività in Italia si spendono fino a 20 mila euro fra tasse, costi per i consulenti e oneri procedurali, e che un’azienda può impiegare fino a 312 ore all’anno per compilare documenti e completare pratiche amministrative. Nel Mezzogiorno questi adempimenti possono impegnare fino a 1200 ore.

Le varie patologie dell’attività di programmazione e gestione finanziaria e contabile determinano, inoltre, consistenti ritardi nei pagamenti della PA, che sottraggono ai creditori (soprattutto Piccole e medie imprese), circa 55,6 miliardi di euro. Nel complesso il pesante fardello di oneri e adempimenti e la vasta gamma di patologie amministrative costa al sistema produttivo e alla finanza pubblica nazionale circa 150 miliardi di euro in termini di debiti non pagati nei confronti delle imprese, sprechi di risorse che non consentono di ricondurre la pressione fiscale nella media Ue e costi del deficit logistico-infrastrutturale. A queste cifre bisognerebbe aggiungere il danno emergente e il lucro cessante derivanti dall’inefficienza burocratica, ossia le ingentissime risorse disponibili che non vengono spese e vengono quindi sottratte all’economia e alla società, e quelle che non vengono investite per timore delle lungaggini burocratiche e della moltiplicazione di oneri.

I dati dell’Agenzia della coesione territoriale certificano, infatti, che non si riesce a trasformare in infrastrutture e pagamenti alle imprese circa 200 miliardi già stanziati nei bilanci pubblici. A queste ingenti risorse, peraltro, potrebbero aggiungersi investimenti molto consistenti, atteso che il settore infrastrutturale italiano è considerato un mercato chiave per i principali investitori istituzionali globali: lo studio Ey Strategy and Transaction, Ey Infrastructure Barometer, sondaggio tra dirigenti senior di società, istituti finanziari e società di private equity del settore delle infrastrutture, rivela che il mercato italiano delle opere pubbliche “è reso attrattivo sia dal gap tra infrastrutture esistenti e infrastrutture necessarie sia dalle maggiori opportunità esistenti rispetto ad altri Paesi con economie mature, dove un processo di consolidamento è già in atto da anni.

La quantificazione del costo dell’inefficienza burocratica a carico di cittadini e imprese deve, altresì, comprendere il conto della corruzione, stimato da una recente ricerca dell’Istituto Rand in circa 237 miliardi. Non si tratta, evidentemente, di costi quantificati sulla base di parametri oggettivi e verificabili attraverso precisi e affidabili calcoli, ma della monetarizzazione di fattori eterogenei e di incerta consistenza quali la perdita di gettito tributario, il deficit di competitività, la lievitazione del costo di servizi e infrastrutture pubbliche, gli oneri di transazione per cittadini e imprese. I “costi” della corruzione comprendono tutti gli oneri diretti ed indiretti a carico di bilanci pubblici ed economia nazionale, e non possono sommarsi tout court a quelli della “semplice” inefficienza, ma contribuiscono evidentemente a farne lievitare la consistenza.

Gli effetti della malaburocrazia sono difficili da quantificare con precisione, ma le cifre fornite da questi attendibili studi e rilevazioni servono ad evidenziarne l’impatto negativo sull’economia nazionale. Basti considerare che, secondo le recentissime stime dell’Istituto Ambrosetti, allineando i livelli di efficienza della burocrazia italiana a quelli di Paesi come Francia, Spagna, Germania Regno Unito si conseguirebbero ingentissimi incrementi di PIL, pari a circa 146 miliardi (9,1%), al netto di qualsiasi erogazione di risorse pubbliche.

Al di là della quantificazione precisa dei danni a carico di cittadini e imprese, peraltro, la vasta gamma di forme di malaburocrazia rischia di erodere la capacità di spesa delle risorse del Piano di resilienza e rendere i quadri economico-finanziari non più sostenibili facendo lievitare il prezzo di appalti, servizi e prestazioni, e dilatare la durata delle procedure burocratiche e delle gare, le progettazioni, l’esecuzione delle opere, le liquidazioni. Simili evenienze comporterebbero conseguenze molto gravi: gare deserte, necessità di complesse procedure di adeguamento dei parametri economici e difficili trattative per incrementare il budget finanziario, gravi difficoltà delle imprese, lavori interrotti, opere incomplete, sospensione dei pagamenti dall’Europa e obbligo di restituzione di quanto incassato.

Le norme nazionali e regionali adottate negli ultimi anni hanno imposto elevati standard di qualità dei servizi e delle prestazioni pubbliche, la razionalizzazione delle società partecipate e la liquidazione di quelle inefficienti ed in perenne dissesto, la riforma del sistema di governo locale e dell’organizzazione burocratica regionale al fine di eliminare sovrapposizioni e conflitti di competenze che rallentano l’azione amministrativa ed inquinano le responsabilità, la semplificazione dell’attività amministrativa e delle procedure di appalto, la razionalizzazione del sistema sanitario, la riforma delle regole contabili che paralizzano o rallentano la spesa pubblica.

Nonostante alcune criticità queste norme hanno effettivamente creato le condizioni per un sostanziale incremento di efficienza delle attività e delle strutture burocratiche: riduzione dei termini di conclusione dei procedimenti e delle gare di appalto, deroghe alle procedure più complesse, “taglio” degli adempimenti e dei controlli preventivi più penalizzanti, limitazione dell’effetto paralizzante del contenzioso e possibilità di dar corso tempestivamente ai contratti pubblici, riduzione e congelamento di diversi vincoli amministrativi e finanziari, attenuazione della responsabilità dei dipendenti pubblici per contrastare la cd paura della firma, adozione di sistemi meritocratici in grado di premiare le amministrazioni e i dipendenti pubblici virtuosi, disciplina del potere di sostituire strutture e funzionari che rallentano l’attività amministrativa, sanzioni per enti e burocrati inefficienti, ecc.

A diversi anni dall’adozione di queste misure, però, le regole sulla semplificazione e sull’efficienza, in sostanza, sono rimaste sulla carta, a causa dell’incapacità di verificarne l’effettiva applicazione ed attuazione e le patologie che zavorrano il sistema economico sociale si sono cronicizzate, ed in certi ambiti addirittura aggravate. Ciò dimostra che l’efficienza non si può imporre per legge, ma richiede attente e costanti attività di monitoraggio e controllo e capacità di rilevare e sanzionare l’inefficienza, e che il nodo cruciale consiste nella capacità di calibrare l’attribuzione degli incarichi e il trattamento economico dei dipendenti pubblici in relazione a parametri concreti: rispetto dei termini procedimentali e delle disposizioni di semplificazione, condotta in conferenza di servizi, contenzioso provocato e relativi esiti, tempi di pagamento dei debiti verso le imprese.

Non a caso le relazioni della Corte dei conti degli ultimi anni evidenziano l’inefficienza dei controlli sulla qualità dei servizi e della legislazione e sull’impatto della regolazione. In sostanza quando si adotta una legge o un atto normativo o amministrativo non se ne conoscono i potenziali effetti, e le istituzioni pubbliche non sono in grado di valutare se le prestazioni e i servizi resi a cittadini e imprese siano proporzionali alle risorse investite, non conoscono le cause delle criticità e non sono in grado di apportare i correttivi necessari. Ciò comporta lo spreco di ingenti risorse, di attività amministrativa (che si rivela in certa misura inutile o controproducente), la dilatazione dei tempi burocratici e la moltiplicazione degli oneri e degli adempimenti, che produce, a cascata, la riduzione degli investimenti essenziali allo sviluppo territoriale.

I sistemi di misurazione e valutazione della performance adottati dalla generalità delle PP.AA., che dovrebbero definire gli obiettivi di efficienza e rendere la P.A. in grado di valutare i risultati delle strutture burocratiche e dei dipendenti, spesso non prevedono obiettivi concreti ed effettivamente misurabili, in grado di produrre effettivi incrementi di efficienza, rilevazioni sul soddisfacimento degli utenti delle attività pubbliche, né strumenti affidabili di verifica dei risultati raggiunti in termini di efficacia, efficienza ed economicità dell’azione amministrativa.

L’analisi degli effetti delle regole pubbliche e la misurazione dei costi sopportati da cittadini e imprese nel rapporto con la pubblica amministrazione, previste da oltre 10 anni, non sono mai entrate pienamente a regime, ma le rilevazioni statistiche e le prime applicazioni hanno rivelato che il loro corretto utilizzo consentirebbe di eliminare una ingente mole di oneri e costi di transazione, sino a 30 miliardi. Secondo le stime del Politecnico di Milano, la trasformazione digitale nella pubblica amministrazione produrrebbe un beneficio di 35 miliardi di euro per la stessa Pa e di 25 per le imprese, mentre il riassetto delle strutture burocratiche e il coordinamento tra amministrazioni statali, regionali e locali consentirebbe di eliminare le sovrapposizioni e duplicazioni di competenze che rallentano l’azione amministrativa, favoriscono la proliferazione di adempimenti e inquinano le responsabilità.

In queste condizioni l’allineamento agli standard europei dovrebbe realizzarsi attraverso interventi strutturali sui principali fattori di complicazione dell’attività pubblica: complessità dell’assetto istituzionale, sovrapposizione di competenze normative ed amministrative, difficoltà di coordinamento tra livelli di governo amministrazioni ed enti pubblici, ipertrofia normativa, moltiplicazione dei centri di spesa, di programmazione e gestione, deficit di digitalizzazione, criticità del sistema di reclutamento del personale pubblico, inattuazione delle norme sulla semplificazione sulla misurazione e valutazione della performance delle strutture burocratiche e del personale, cd burocrazia difensiva, deresponsabilizzazione di funzionari pubblici, carenza di sistemi di controllo e dei procedimenti sanzionatori.

Al netto dei fattori che richiedono impegnative riforme (semplificazione dell’assetto istituzionale e normativo) l’opera di efficientamento potrebbe cominciare dalla “semplice” attuazione di strumenti ampiamente conosciuti e previsti dalla normativa vigente: misurazione degli oneri amministrativi ed eliminazione di quelli non necessari, controlli efficaci sul rispetto dei termini procedimentali, concreta attività di sfoltimento di enti e strutture pubbliche, “partendo dai casi in cui più evidente è la duplicazione delle competenze e la sostanziale mancanza di un interesse pubblico attuale alla loro sopravvivenza”, informatizzazione dei procedimenti, condivisione delle basi informative.

Bisogna inoltre garantire l’attuazione effettiva delle norme taglia oneri da parte delle strutture burocratiche, rendendo dirigenti e dipendenti responsabili dei risultati raggiunti dalla propria struttura in relazione a obiettivi concreti e misurabili. Invece, in diverse occasioni, la Corte dei conti ha rilevato che la retribuzione di risultato (che impegna consistenti risorse) viene riconosciuta anche ai responsabili di strutture amministrative che accumulano ritardi e contenzioso; e in alcune circostanze sono stati premiati con il trattamento accessorio e progressi di carriera dirigenti e dipendenti condannati per gravi episodi di spreco di risorse pubbliche. Se la permanenza nell’incarico e l’entità della retribuzione dipendono dai risultati ottenuti, si mette in opera un potente incentivo all’efficienza.