Da diverse fonti di informazione si rilevano le grandi differenze sociali, linguistiche, economiche, religiose e di altra natura che vi sono fra la gente che abita nel nostro Paese, dal Brennero a Capo Passero, da Courmayeur a Marettimo.
È un dato di fatto inoppugnabile, tenendo conto che la riunione di tutti questi siti è avvenuta appena 163 anni fa, quando Cavour inviò Garibaldi in Sicilia, che il Generale attraversò senza molto combattere.
Dopo di che, superato lo stretto di Messina e raggiunta la costa calabra, arrivò a Teano e “consegnò” il territorio occupato a Vittorio Emanuele II, che intanto con “l’esercito” italiano era arrivato colà.
Fatto ciò lo stesso Re e il suo primo ministro Cavour pensarono che l’Italia fosse fatta. Poveri illusi.
Ancora mancava il tassello dello Stato del Vaticano, che fu annesso nel 1870, con la breccia di Porta Pia, e la successiva adozione di Roma Capitale.
Tutto il ventesimo secolo, bollato da due guerre sanguinarie – quella del 1915-1918 e quella del 1940-1944 – non sono servite a creare il senso comune di Nazione nel nostro Paese, per cui anche in questo quarto del ventunesimo secolo le differenze elencate all’inizio permangono quasi inalterate. E questo avviene nonostante i tentativi di rendere comuni gli obiettivi di crescita, tentando di creare un amalgama che non è ancora arrivato.
Quanto precede non ci deve sorprendere, perché tante altre nazioni del mondo hanno vita di moltissimi secoli e, com’è noto, il tempo favorisce comunione di intenti, abitudini e media gli obiettivi. Ad esempio, il popolo giapponese esiste dal settimo secolo dopo Cristo, con la creazione del primo stato centralizzato durante il periodo Yamato. Il suo territorio, frazionato in più di quattordicimila isole, non ha impedito che i giapponesi avessero un modo di condurre la loro vita di rispetto reciproco e una comunione di interessi propri di un popolo longevo.
Per venire all’Europa, ricordiamo che la Confederazione Svizzera, costituitasi ufficialmente nel 1848, è cominciata proprio agli albori del 1291. Anche in questo caso quel popolo ha radici antiche.
La Francia, già nel 843 d.C., era considerata una Nazione dopo il Trattato di Verdun. Dunque, essa ha avuto molti secoli per diventare un tutt’uno, che ha come riferimento l’Ile de France, quella regione in cui insiste Parigi che la rappresenta. Infatti si dice che “Parigi è la Francia”.
Non possiamo dimenticare però che la stessa Parigi è stata a lungo un agglomerato di case abitato dai Galli in condizioni modeste e che, molto prima ancora, fu conquistata dall’Impero Romano, che fondò la Normandia e proseguì nell’Isola britannica, ove occupò tutta la zona che oggi è costituita dallo stato del Galles, tanto che vi è una cittadina romana chiamata Bath ove vi sono le terme romane.
La storia fa i popoli, i secoli li rendono un insieme di persone differenti, ma che hanno il senso comune del benessere e del rispetto reciproco. Tutte caratteristiche che il Popolo italiano non ha e non potrebbe avere proprio perché ancora è un tenero “virgulto”.
Nonostante quanto precede, le generazioni di questo secolo hanno il dovere di tentare l’avanzamento civile, sociale, istituzionale, economico e soprattutto morale dei cinquantanove milioni di persone di tutte le età, generi, razze, stato sociale che convivono in un Paese, che sotto tanti aspetti è meraviglioso, ma non valorizzato sufficientemente.
Qual è l’elemento che può amalgamare tante persone? La cultura, fondata su sapere, sapienza, buonsenso e capacità di far utilizzare bene le ricchezze di ogni genere che vi sono.
Le qualità prima indicate dovrebbero selezionare una classe dirigente valida, che invece è formata da persone non adeguate, in quanto occupano posti di responsabilità ottenuti con la cultura del favore e non con la cultura del merito.
Questo deriva proprio dal fatto che ancora non si è riusciti a trovare quella linea mediana da Nord a Sud che faccia comprendere a tutti l’importanza dell’interesse generale, prevalente sempre sull’interesse personale.