Teatro

“Reconnect” in scena a Catania, uno spettacolo per scoprirsi

È andato in scena – nei giorni 12, 13, 18, 19 e 20 marzo al Roots di Catania – “Reconnect”, il primo spettacolo della rassegna di teatro contemporaneo “Rigenerazioni”. Niente voci, nessun dialogo, tanto pathos.

Il corpo, la musica e le luci sono gli unici strumenti di comunicazione in uno spettacolo che – in un momento decisamente complesso per la storia dell’umanità – è un simbolo di ripartenza e riapertura al confronto con il sé e con l’altro. Su QdS.it le interviste al regista Steve Cable e alla ballerina protagonista, Silvia Oteri.

Tre i grandi protagonisti della rappresentazione, come spiegato dallo stesso regista Steve Cable nell’introduzione che ha preceduto lo spettacolo del 20 marzo: lo spazio, volutamente ridotto e senza barriere tra pubblico e scena, Silvia Oteri – “regina” del palco con la sua innegabile intensità e la sua particolare energia – e le musiche di Andrea Cable, in perfetta sintonia con i movimenti del corpo, i sospiri e le espressioni della ballerina protagonista.

Uno spettacolo, tante storie e un messaggio per tutti

La nuova produzione di Teatro Argentum Potabile si rivela come uno spettacolo per poche persone, capaci di comprenderne la forza e di “tollerarne” l’intensità. Il suo messaggio, però, lo dovrebbero ascoltare tutti. “Reconnect” infatti invita alla riflessione, alla riscoperta di sé e al confronto con gli altri in un periodo segnato da dubbi, incertezza, paura dell’ignoto e della vicinanza all’altro.

La via prediletta dal regista Steve Cable è quella di evitare le parole e di privilegiare la forza espressiva del corpo e del volto, una scelta che si inserisce all’interno di un percorso verso un teatro non-verbale dal forte impatto emotivo. E proprio l’emozione è l’anima di “Reconnect”, che già dal titolo rivolge un invito a riprendere a dialogare con il proprio mondo interiore e con la realtà esteriore.

Dall’ingresso silenzioso ma straordinariamente potente di Silvia Oteri alla concitata scena finale e alla conclusione tra fumo e luci soffuse, ogni spettatore è attraversato da un vortice di emozioni. Ogni sguardo, ogni movimento, ogni sospiro, ogni intervento degli strumenti di scena… Tutto è studiato nei minimi dettagli per suscitare la reazione di chi osserva.

È vero che una storia in senso tradizionale non c’è, ma ognuno può leggere in “Reconnect” una storia diversa a seconda del proprio vissuto, rivedere il proprio passato e riflettere sul proprio presente in vista del futuro. Un futuro che appare particolarmente preoccupante per molti, ma che lascia ancora spazio alla speranza di un miglioramento, allo stupore e alla sensazione di imminente rinascita.

Il teatro, una “vocazione” per (ri)costruire relazioni

Rigenerazione e riconnessione sono una missione per chi fa teatro ed è indispensabile cercare sempre forme d’espressione adatte a raccontare una contemporaneità profondamente segnata dai drammi presenti e dalle sempre maggiori difficoltà legate al dialogo e alle relazioni con gli altri.

“Il teatro per noi è una missione, una vocazione, un modo per cambiare le cose, per incentivare il pensiero critico e l’immaginazione. Non è puro intrattenimento. Uno spettacolo come questo per alcuni è fastidioso e rischioso, ma l’arte deve essere così. Deve svegliarci un po’ e ricordarci le cose importanti della vita”, spiega il regista di “Reconnect”, Steve Cable, per ricordare la grande rilevanza del teatro e – più in generale – della cultura in un momento storico tutt’altro che semplice.

“È un lavoro importante il nostro e sono grata di fare parte di questo mondo. Sono tempi molto critici specialmente per quanto riguarda riconnettere la gente alla cultura”, aggiunge la ballerina Silvia Oteri, un’artista che dona anima e corpo per trasmettere emozioni e arrivare al cuore delle persone con un messaggio forte e d’impatto. Anche senza parole.

È quasi un piccolo “miracolo” comunicativo quello costruito da Silvia Oteri con la complicità di Steve Cable, Andrea Cable e tutti i collaboratori di “Reconnect”; una luce in fondo a un tunnel di instabilità e superficialità, che si può abbandonare solo recuperando valori e (ri)costruendo relazioni.

Marianna Strano