Il Pears (Piano Energetico Ambientale della Regione Siciliana) è ciò che la Regione avrebbe dovuto fare negli scorsi dieci anni (e non ha fatto) e quello che dovrebbe fare nei prossimi dieci anni. Si tratta di un aggiornamento del precedente documento del 2009, con aggiustamenti di vario genere, più di tipo teorico che reale.
Sembra quasi ciò che accade nella musica, ove il blues è un insieme di dodici battute che si ripetono in modo circolare, cui ciascun musicista apporta delle variazioni.
E così quello che c’è nel nuovo Pears: questioni che si ripetono stancamente con variazioni sul tema di poco conto, anche perché, nella maggior parte dei casi, gli obiettivi sono fumosi e generici e non vi sono progetti per realizzarli.
Insomma, si tratta del solito documento sul quale si impegnano molti dirigenti regionali e consulenti, che ha un certo valore teorico, ma quasi nessuno concreto.
Siamo delusi dalla lettura, seppur sommaria e a saltare, delle circa settecento pagine. Siamo abituati a renderci conto direttamente dei documenti e quindi non scriviamo per sentito dire. Questo modo ci ha portato alle considerazioni che abbiamo scritto.
Ma non si tratta di novità perché un po’ tutti i programmi fatti dai Governi regionali, almeno in questo secolo, sono sempre stati libri dei sogni che regolarmente non si sono mai realizzati, con la conseguenza che la Sicilia si trova nello stato drammatico che tutti possiamo constatare, sotto il profilo ambientale, territoriale, occupazionale, energetico, infrastrutturale e così via.
Ci sarà pure qualche responsabile di questa situazione, moralmente, politicamente e concretamente. Ma, come sempre, le responsabilità non trovano coincidenza con le sanzioni, per cui nessuno risponde per quello che non ha fatto o che ha fatto male.
Si dirà che politicamente i responsabili delle istituzioni si sottopongono al voto, il quale dovrebbe essere un esame, ma questo non è vero perché i cittadini tendono a dimenticare o a non ricordare, per cui le menzogne ripetute più volte vengono prese per verità.
Sull’energia, sulla decarbonizzazione, sulla necessità di purificare il territorio, in Sicilia si sono scritti romanzi. Appunto romanzi, perché tutto è rimasto come prima. Sol che si pensi che se si fossero messe in funzione tutte le attività relative, nella nostra Isola non vi sarebbe disoccupazione e la povertà si sarebbe rarefatta. Invece, abbiamo un milione di disoccupati e un milione di poveri, cui in qualche modo bisogna dar conto con attività assistenziali che sono il contrario dello sviluppo, il contrario della crescita, il contrario della civilizzazione di un Paese.
C’è un rimedio alla diagnosi che precede? Allo stato attuale non sembra, perché i siciliani si disinteressano sempre di più della Cosa pubblica, oppressi dai loro problemi e dai loro bisogni insoddisfatti. I giovani bravi e capaci fuggono perché non vedono sbocchi alle loro capacità. La nostra terra si depaupera sempre di più dei propri figli migliori.
In questo quadro, stona l’iniziativa della Regione di assumere oltre mille nuovi dipendenti, con un organico di tredicimila, di cui, secondo il presidente Musumeci, il settanta per cento non fa nulla e una metà potrebbe essere licenziata senza che nessuno se ne accorgesse.
La contraddizione che se ne deduce è evidente, perché se c’è personale in esubero non si vede la ragione per la quale se ne debba assumere dell’altro. Ci viene spiegato che quello attuale non ha competenze, ma questa spiegazione è un’autoaccusa nei confronti degli stessi responsabili delle istituzioni e dei dirigenti, che non hanno provveduto – nel decennio precedente – ad aggiornare con appositi e precisi corsi di formazione tutti i propri dipendenti, soprattutto in funzione delle innovazioni digitali.
Inoltre, l’Assemblea regionale non ha provveduto a delegificare e a semplificare le procedure, con la conseguenza che oggi chi chiede un’autorizzazione o una concessione si trova la porta sbarrata.
Pears e burocrazia, due facce della stessa medaglia. Pollice verso!