L’inefficienza dilagante nella Pubblica amministrazione siciliana è un lusso che non possiamo più permetterci. E non è solo la ricostruzione post-pandemica ad imporci l’imperativo categorico della produttività.
In passato abbiamo sempre lamentato la carenza di risorse economiche adeguate per cambiare le cose. Il Pnrr ha ribaltato ogni prospettiva e ci mette adesso su un piatto d’argento una massiccia disponibilità finanziaria ma sappiamo bene che il paracadute lanciato dall’Ue da solo non ci salverà dallo schianto se non sapremo spendere bene i fondi a nostra disposizione. Il livello estremamente carente della nostra classe politica e burocratica è sotto gli occhi di tutti: imprese e cittadini lo toccano con mano quotidianamente e di tale carenze la Sicilia ha fatto le spese in termini di mancato sviluppo economico.
Una burocrazia scadente non è solo quella dell’ufficio dove il telefono squilla a vuoto o dello sportello che impiega tempi biblici per rispondere alle istanze dei cittadini. L’inefficienza amministrativa investe certamente le prestazioni essenziali per i cittadini, quanto meno in prima battuta, ma a ben guardare le ricadute sono molto più pesanti e profonde: queste hanno a che fare con la pianificazione territoriale, con le infrastrutture, con la capacità di attrarre investimenti e di localizzare nuove attività produttive.
Non ci siamo mai stancati di denunciare, attraverso le colonne di questo giornale, i danni gravissimi prodotti in questi anni dalle assunzioni clientelari e dalla gestione dissennata della cosa pubblica. Danni che abbiamo voluto provare a quantificare: 10,5 miliardi. Una cifra impressionante che deve far capire ai siciliani quanto sia necessario e urgente un cambio di passo. Oggi e non domani.
Uno studio della Banca d’Italia ha permesso di rilevare come in Sicilia vi sia una dilatazione del 60% rispetto alla media nazionale dei tempi di realizzazione delle opere pubbliche. Quando va bene, nell’Isola ci vogliono circa 5 anni e 4 mesi per completare un’opera e in media i tempi morti su attestano sugli otto mesi. Quando non va bene, l’opera non viene ultimata. E a proposito di opere ferme, la Sicilia è la regione italiana con il più elevato numero di grandi opere incompiute: ben 162, pari al 25,3% del dato totale nazionale (640). Uno spreco in termini economici di 488 milioni di euro. Ma se guardiamo anche alle opere in ritardo, la stima di Ance Sicilia sale a 5 miliardi.
Secondo uno studio condotto dall’Istituto Ambrosetti, il pesante fardello degli oneri burocratici sottrae al sistema produttivo nazionale ben 57 miliardi di euro (l’indagine fa riferimento al 2017 ma è l’unico dato disponibile al momento), di cui circa 3 miliardi a carico delle imprese siciliane.
Alla Regione non c’è una misurazione della qualità dei servizi ma ne possiamo invece misurare, in termini di spreco economico, l’inefficienza. A tal proposito, una voce certamente significativa è quella del contenzioso con imprese e cittadini: 580 milioni di euro.
Nella Relazione della Corte dei Conti sul rendiconto generale della Regione siciliana (esercizio finanziario 2019) sono elencate alcune cifre significative su stipendi e pensioni. Per gli stipendi la Regione ha speso 725 milioni, per le pensioni 675 milioni. Quest’ultimo dato comprende anche somme non direttamente correlate ai trattamenti, quali quelle versate per le spese di funzionamento del Fondo Regioni. Totale 1,4 miliardi di euro.
“Gli enti regionali nel 2019 sono stati destinatari di trasferimenti da parte della Regione per un totale di 194 milioni”, scrive la Corte dei Conti nella Relazione sul rendiconto generale 2019, lamentando tra l’altro che “i controlli cui sono sottoposti gli enti regionali devono essere considerati insufficienti, lacunosi e frammentari, anche sotto il profilo dell’attenzione da riservare al corretto impiego delle ingenti risorse confluite in un settore pletorico e da tempo destinato ad un complessivo riordino”. Gli oneri per la retribuzione del dipendenti delle partecipate ammontano a quasi 273 milioni. Totale 467 milioni di euro.
Che fine ha fatto l’amministrazione snella e protesa verso la digitalizzazione promessa dalla politica? Una promessa mancata, ahinoi, anche dal presidente Nello Musumeci.
Abbiamo smesso di contare le volte in cui il politico di turno ha promesso che avrebbe “cancellato” l’odiosa pratica dei premi a pioggia ai burocrati della Regione siciliana.
Abbiamo smesso di contare ormai anche tutte le volte in cui veniva annunciato l’agognato cambio di passo verso la meritocrazia e la produttività “misurata” con obiettivi chiari e concreti.
Intanto, però, mentre i dirigenti diminuiscono per effetto dei pensionamenti (siamo passi da 1.087 a 866 unità), lo stanziamento per le indennità di risultato è passato dai 7,5 milioni del 2019 agli 8 milioni tondi tondi del 2020.
Non ci sarebbe nulla di anomalo se all’attribuzione di tali premi corrispondesse un alto livello di servizi prodotti alla collettività. Ma così, non è.
In un contesto di grave emergenza finanziaria e conclamato handicap infrastrutturale l’efficienza amministrativa costituisce una componente essenziale delle politiche pubbliche. I dati sui costi, diretti e indiretti, della burocrazia siciliana a carico dei bilanci pubblici e di cittadini e imprese contribuiscono quindi a spiegare le condizioni di grave difficoltà del sistema socio-economico regionale e l’inadeguatezza del livello di servizi e prestazioni pubbliche offerte da una Regione dotata di ampia autonomia normativa, amministrativa e finanziaria, che ha adottato negli ultimi anni decine di disposizioni normative intestate alla semplificazione e all’efficienza.
Nella fase di massima espansione della specialità siciliana e della spesa pubblica l’ampia autonomia e le ingenti risorse garantite dallo Statuto siciliano sono state utilizzate per strutturare politiche pubbliche incentrate sulla distribuzione a pioggia di fondi pubblici e sulla creazione di una galassia di enti e strutture burocratiche elefantiaca e molto costosa, che assorbe una quota consistente di risorse sottraendole alle prestazioni sociali, al finanziamento degli enti locali e delle infrastrutture, all’investimento produttivo. I recenti blocchi del turn over hanno alleggerito il costo del personale (tuttora esorbitante) ma ne hanno ulteriormente impoverito le competenze impedendo di sostituire i dipendenti collocati in quiescenza con nuovo personale qualificato, e ciò ha aggravato i problemi di efficienza.
Al di là del peso sui bilanci pubblici, infatti, la burocrazia siciliana produce a carico di cittadini e imprese, un costo indiretto altrettanto rilevante in termini di oneri burocratici relativi a costi organizzativi e di consulenza e assistenza tecnica amministrativa, legale e finanziaria, spese procedurali, oneri per il contenzioso, cui bisogna aggiungere il “costo” dell’inefficienza delle prestazioni erogate ai cittadini (emblematico il caso della cd migrazione sanitaria), dei ritardi nel pagamento dei debiti verso le imprese e nella realizzazione delle infrastrutture che zavorrano la competitività dei sistemi produttivi territoriali e fa perdere consistenti quote di export ogni anno.
Da diversi anni la strategia di semplificazione si è incentrata sulla razionalizzazione delle regole dell’attività amministrativa, trascurando l’efficienza dell’apparato burocratico, che costituisce il nodo centrale del fenomeno della malaburocrazia.
Moltiplicazione delle strutture burocratiche, deficit di competenze, assenza di stimoli ed incentivi, inefficienza dei controlli generano un clima di irresponsabilità diffusa e superficialità che costituisce una delle cause primarie dell’eccesso di oneri amministrativi, della durata abnorme dei procedimenti amministrativi, dell’alto tasso di contezioso con cittadini e imprese, e della vasta gamma di disfunzioni che vanificano le norme di semplificazione, riducono consistentemente i benefici della spesa pubblica sul sistema socio economico, allontanano gli investimenti, caricano sui bilanci pubblici i costi dell’inefficienza e del contenzioso, ostacolano la realizzazione dei diritti dei cittadini e l’attività di impresa e relegano la Sicilia agli ultimi posti delle graduatorie di efficienza.
Una situazione così consolidata difficilmente si potrà risolvere con il semplice innesto di un numero limitato di figure professionali qualificate nell’ambito di strutture inefficienti.
Al di là della carenza di competenze funzionali alle nuove esigenze delle politiche pubbliche, infatti, il vero handicap dell’amministrazione regionale consiste nell’incapacità di misurare e valutare correttamente l’efficienza e la produttività del personale, delle strutture burocratiche e della vasta galassia di enti e società che gravitano nell’orbita pubblica, e nell’inefficacia degli strumenti di responsabilizzazione.
I rapporti della Corte dei conti e dell’Anac certificano che la Regione non è in grado di valutare l’utilità delle società partecipate e di misurare la performance delle strutture burocratiche e del personale e la rispondenza dei risultati agli obiettivi di efficienza, le norme che dovrebbero rendere dirigenti e dipendenti responsabili dei risultati raggiunti sono state attuate in maniera incompleta, i controlli interni risultano del tutto inefficaci, e di conseguenza vengono premiati anche i dirigenti a capo delle strutture più inefficienti che dilatano a dismisura la durata dei procedimenti amministrativi e generano elevati volumi di contenzioso e ingenti oneri a carico dei bilanci pubblici.
Questo scollamento tra obiettivi di efficienza, risultati e retribuzione premiale risulta pienamente confermato dalla relazione sulla performance della Regione, ove viene eloquentemente rilevato che la “rappresentazione del grado di realizzazione degli obiettivi operativi … non incide, in ogni caso, sulla valutazione individuale dei dirigenti”. La stessa Regione certifica che risultati poco encomiabili non precludono l’erogazione della retribuzione di risultato.
Pertanto, al di là delle norme di semplificazione e delle auspicabili iniezioni di personale qualificato, il nodo cruciale consiste nella capacità di misurare e ridurre gli oneri burocratici, razionalizzare l’organizzazione burocratica, valutare la qualità dell’attività amministrativa e dei servizi pubblici, garantire il conseguimento degli obiettivi di efficienza rendendo dirigenti e dipendenti responsabili dei risultati raggiunti in relazione a parametri concreti e misurabili: rispetto dei termini procedimentali e delle disposizioni di semplificazione, contenzioso provocato e relativi esiti, tempi di pagamento dei debiti verso le imprese.
Se la permanenza nell’incarico e l’entità della retribuzione dipendono dai risultati ottenuti si mette in opera un potente incentivo all’efficienza.
di Dario Immordino e Patrizia Penna